ANSA/ALESSANDRO DI MEO

L'intervista

La vita agra del centrosinistra in Veneto

Francesco Gottardi

La regione viene travolta dal Covid? Luca Zaia si rafforza. Scoppia la crisi? Lui raggiunge il 79 per cento. “Lo scoramento c'è”, dice il capo dell’opposizione Lorenzoni. Conversazione su una irrilevanza rimediabile

Ci sono domande che chiamano risposte ovvie. È il come vi si risponde, a racchiudere tutta la storia. Esempio: certe volte non le sembra di combattere contro i mulini a vento? “Il nostro lavoro vale e lascerà il segno”, dice Arturo Lorenzoni, altrimenti non parlerebbe al Foglio da portavoce dell’opposizione in Veneto. La più esigua di tutte, nelle regioni italiane: 15,72 per cento dei consensi alle elezioni del 2020. Contro il bulgaro, inarrivabile 76,79 conquistato da Luca Zaia: “Eppure la partita è ancora da giocare, per quanto difficile. Quando in Consiglio ci vengono bocciate perfino le proposte più trasversali per puro ostruzionismo, allargo le braccia. Lo scoramento c’è. Ma poi mi alzo la mattina e vale sempre la pena di andare avanti”.

 

Anche quando i conti non tornano. La seconda ondata ha travolto i veneti come nessun altro: Zaia resta saldamente il presidente più amato d’Italia – 79 per cento dei gradimenti, sondaggio Swg di marzo. Zaia inanella gaffe in conferenza stampa: assist per Crozza, parodia tv che strappa sorrisi a tutte le latitudini – ormai chi non la conosce, la sede della Protezione civile di Marghera. E il centrosinistra locale? Dopo la batosta dello scorso settembre, non più pervenuto. “Ma noi in questo periodo abbiamo presentato 200 interrogazioni al Consiglio regionale”, si lamenta Lorenzoni, “ottenendo risposte solo nel 40 per cento dei casi. Elusive, in ritardo. Con il pretesto del ‘sapete com’è, c’è il Covid’, il regolamento interno viene puntualmente disatteso. Il problema più grosso è che abbiamo meno di un quinto dei consiglieri totali – 10 su 51 –, la soglia necessaria per chiedere sedute straordinarie e incidere sull’agenda di governo”. Questi numeri però sono lo specchio del risultato elettorale. “Non dico che sia in corso un attentato alla democrazia. Ma la nostra voce fatica a uscire: c’è una difficoltà oggettiva a trattare le questioni sgradite al presidente”.

 

O a farle arrivare a lui. “Il 4 maggio Zaia si è presentato in Consiglio regionale”, dove Lorenzoni fa parte del gruppo misto, “per la prima volta dopo 200 giorni esatti. Li ho contati, sapete?”. L’occasione era irrifiutabile: una commissione d’inchiesta partita dall’opposizione per fare chiarezza sulla gestione della pandemia. “Ora stiamo trattando le condizioni d’ingaggio, ma sarà difficile. La Lega è già pronta a distogliere il focus dal quadrimestre ottobre-gennaio, quando il Veneto ha avuto più del doppio dei contagi – e 7.000 morti – rispetto alla media nazionale”. Alle spalle la rottura con Crisanti: “Zaia dice che nella terza ondata abbiamo fatto bene anche senza di lui”, invidiato stratega anti-Covid non più di un anno fa. “Ma noi in inverno eravamo rimasti zona gialla ad oltranza, scegliendo i tamponi rapidi nelle Rsa. Avremmo potuto fare meglio? È un obbligo morale chiederselo, capire sulla base di quali dati ha agito la regione. Altro scoglio che complica le cose: nessun operatore sanitario parla formalmente con l’opposizione. Ne va della carriera”.

 

 

Arturo Lorenzoni, candidato per il centrosinistra alla presidenza del Veneto alle elezioni regionali 2020 (ANSA/NICOLA FOSSELLA)

 

È davvero così, undici anni di Zaiastan? “Rifiuto il termine giornalistico”, frena il portavoce, “ma si sta affermando un sistema incancrenito. C’è una direzione non equilibrata, da cui tutti hanno paura di staccarsi. E siccome loro hanno vinto con questi numeri, ritengono di poter fare qualsiasi cosa. Un’autolegittimazione incomprensibile”. Auguri a chi è fuori dal coro: “Anche durante le conferenze percepisco un forte atteggiamento di sudditanza. Zaia è abilissimo a rimbrottare i giornalisti, a eludere le domande scomode. Il colmo è che poi accusa l’opposizione di pretendere troppo spazio mediatico”. Se la fortuna è cieca, dicesi, la sfiga ci vede benissimo: “Quella campagna era già di per sé un’impresa. Mi venne il Covid alla vigilia della tribuna elettorale, con tanto di ricovero. Allora Zaia, che aveva tutto l’interesse a evitare il confronto, scelse di non prendervi parte per rispetto dell’avversario in malattia. Si è giocato la carta del galantuomo, capite?” Capolavoro.

 

Eppure dentro l’establishment non tutto splende: “Hai ragione, mi ha detto più di un consigliere di maggioranza in varie occasioni. ‘Però non posso votare contro il gruppo’. È il rovescio di una classe dirigente che a Zaia deve tutto”, spiega Lorenzoni, oltre la politica una cattedra in economia dell’energia all’Università di Padova. “Come rosicchiare un po’ di consenso? Influenzando l’agenda: programmazione, sviluppo del territorio. Rifiuti e trasporti. Tutti temi divisivi, complessi, che il presidente evita con cura: la chiave del suo successo è proprio nel distogliere l’attenzione dalla sostanza, solleticando l’orgoglio dei veneti con grande efficacia. Risorse, bellezza del territorio, forza del popolo. Senza mai impicciarsi nei fatti altrui: servizi scadenti, ma poche tasse e norme. Più da motivatore che politico”. Un sospiro: “Servirebbe altro”. Tipo? “Noi come opposizione cercheremo di far capire ai cittadini i danni della sua latitanza. Ho grande fiducia che il Veneto recuperi in fretta dalla crisi economica: ad accompagnarlo ci vorrà una politica innovativa. Qui c’è chi paragona la Lega alla forza capillare della vecchia Dc”, con Zaia – il governatore nega – alternativa moderata a Salvini sul piano nazionale. “Oggi però il fermento sociale non si identifica nella Lega. E viceversa la Lega manca di coerenza politica”.

 

Un caso su tutti: lo scorso gennaio Elena Donazzan, assessore all’istruzione del Veneto, fu sorpresa a cantare ‘Faccetta nera’ alla radio. Immediata la mozione di Lorenzoni. “E non passa. Nel privato Zaia si è molto adirato con Donazzan”, eletta con FdI, “però poi non è nemmeno venuto in aula. E il Consiglio ha sbrigato la questione con discorsi di circostanza, sul Veneto erede della tradizione partigiana democristiana di Tina Anselmi salvo però difendere chi promuove canzoni fasciste. Cortocircuito puro, alzo le mani al cielo. Ma il guaio di fondo è un altro: quanta gente si interessa davvero a queste battaglie?” Tombola. Il banco vince, Zaia pure.

 

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