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Quando la Castelli accusava Draghi di conflitto d'interessi sui derivati

Domenico Di Sanzo

Non solo Carlo Sibilia. Anche la sottosegretaria grillina all'Economia nel 2015 si avventurava in accuse complottiste contro l'allora presidente della Bce

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Quello dei sottosegretari del M5s nel governo di Mario Draghi è il contrappasso perfetto. La dimostrazione più potente della normalizzazione del grillismo. Il tutto screenshot alla mano. E sì, perché non c'è solo l'ineffabile Carlo Sibilia, i cui tweet del 2017 sono stati smascherati dal Foglio. Sibilia, riconfermato al Viminale, avrebbe voluto arrestare Draghi, definendolo poco simpaticamente "bankster", con un improbabile mashup linguistico tra le parole bank e gangster. Nell'antologia delle vecchie pepite dei grillini di sottogoverno, non poteva mancare Laura Castelli. Ex barricadera No-Tav, già pentastellata ortodossa, ora campionessa dei cosiddetti governisti. Al Ministero dell'Economia nel Conte uno, nel Conte due e con Draghi. L'ex governatore della Bce che anche per lei era come la criptonite. Anzi, peggio. Da sempre interessata ai temi economici, Castelli già nel 2015 si avventurava in dissertazioni sui contratti per i derivati sottoscritti dal dipartimento del Tesoro negli anni '90. 

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Quello dei sottosegretari del M5s nel governo di Mario Draghi è il contrappasso perfetto. La dimostrazione più potente della normalizzazione del grillismo. Il tutto screenshot alla mano. E sì, perché non c'è solo l'ineffabile Carlo Sibilia, i cui tweet del 2017 sono stati smascherati dal Foglio. Sibilia, riconfermato al Viminale, avrebbe voluto arrestare Draghi, definendolo poco simpaticamente "bankster", con un improbabile mashup linguistico tra le parole bank e gangster. Nell'antologia delle vecchie pepite dei grillini di sottogoverno, non poteva mancare Laura Castelli. Ex barricadera No-Tav, già pentastellata ortodossa, ora campionessa dei cosiddetti governisti. Al Ministero dell'Economia nel Conte uno, nel Conte due e con Draghi. L'ex governatore della Bce che anche per lei era come la criptonite. Anzi, peggio. Da sempre interessata ai temi economici, Castelli già nel 2015 si avventurava in dissertazioni sui contratti per i derivati sottoscritti dal dipartimento del Tesoro negli anni '90. 

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È il 12 ottobre di sei anni fa quando la Castelli, all'epoca deputata del M5s in Commissione Bilancio, condivide pubblicamente sul suo profilo Facebook personale un articolo de L'Espresso. Ecco il titolo, vagamente complottardo: "Derivati sul debito pubblico, il grande segreto". Nel pezzo si parla dell'acquisto di derivati da parte del Ministero del Tesoro, di cui l'attuale premier Draghi è stato Direttore Generale dal 1991 al 2001. Operazioni effettuate con alcune banche d'affari come Morgan Stanley a metà degli anni Novanta. 

 

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Illuminante l'osservazione della Castelli d'antan. "Come si fa a pensare che siano stati acquistati per fare del bene? Mario Draghi era dirigente del Tesoro quando comprava derivati dalla Morgan Stanley - scriveva la Castelli - dopo pochi mesi lascia l'incarico e va a lavorare per la stessa banca. Appena assunto, la banca esercita quella strana clausola contrattuale di recesso unilaterale che costerà ai cittadini italiani 2,5 miliardi". Un'accusa grave. Peccato mortale imperdonabile per i grillini. Conflitto di interessi. E giù commenti indignati da parte dei followers della deputata che era entrata a Montecitorio per aprire il Parlamento a mo' di scatoletta di tonno. La stessa tesi sostenuta in passato dall'attuale viceministra del Mef nel governo Draghi ora è propagandata da Alessandro Di Battista. L'ex deputato del M5s che ha invitato a fare una "sana e robusta opposizione" al nuovo governo. Dibba ripropone le accuse su Tpi, il giornale online per cui collabora, in diversi articoli. Nonostante la pretestuosità delle trame descritte, Di Battista è più preciso della Castelli del 2015. Infatti scrive correttamente che Draghi nel 2002, poco dopo la fine del suo incarico al Tesoro, è diventato vicepresidente della banca di investimenti Goldman Sachs. Non è andato a lavorare per Morgan Stanley, come scriveva la sua attuale viceministra ai tempi della scatoletta di tonno. Insomma, la Castelli accusava il suo premier di conflitto di interessi e riusciva pure a sbagliare banca.

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