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l'ombra di biden

Draghi ricuce tra Macron e la Nato. Il nuovo ruolo dell'Italia, in asse con Washington

Valerio Valentini

Al Consiglio europeo il premier media tra Stoltenberg e il presidente francese: "Sì alla difesa comune eruopea, ma in sintonia con l'alleanza atlantica". La rinnovata intesa tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca. La nomina di Gabrielli e i possibili cambiamenti ai vertici dei servizi

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Le coincidenze, certo, aiutano. La Brexit che si consuma, l’arrivo di Joe Biden, la Merkel che cede il passo dopo sedici anni. E però questa congiunzione degli astri testimonia di come forse non tutto sia stato casuale, nell’apparente insensatezza della crisi di fine anno. E infatti quando Mario Draghi, ieri mattina, ha preso la parola durante il Consiglio europeo dedicato alla Difesa, ha detto proprio quello che Jens Stoltenberg s’attendeva: e cioè che “il percorso di costruzione di un’autonomia strategica dell’Ue deve essere declinato in complementarità con la Nato, anche alla luce del rinnovato impegno transatlantico della nuova Amministrazione Usa”. Parole non proprio di maniera, quelle di Draghi. Visto che subito prima di lui, nella videoconferenza dei leader europei insieme al segretario generale della Nato, era intervenuto Emmanuel Macron a ribadire l’impegno europeo ad “agire in modo autonomo” su difesa e sicurezza. Vecchia fissazione, quella del presidente francese, che s’è spinto forse là dove nessuno, negli ultimi decenni, aveva osato, dall’Eliseo: fino, cioè, a diagnosticare la “morte cerebrale” della Nato, nel novembre  2019, quando la rielezione di Donald Trump  pareva scontata. 

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Le coincidenze, certo, aiutano. La Brexit che si consuma, l’arrivo di Joe Biden, la Merkel che cede il passo dopo sedici anni. E però questa congiunzione degli astri testimonia di come forse non tutto sia stato casuale, nell’apparente insensatezza della crisi di fine anno. E infatti quando Mario Draghi, ieri mattina, ha preso la parola durante il Consiglio europeo dedicato alla Difesa, ha detto proprio quello che Jens Stoltenberg s’attendeva: e cioè che “il percorso di costruzione di un’autonomia strategica dell’Ue deve essere declinato in complementarità con la Nato, anche alla luce del rinnovato impegno transatlantico della nuova Amministrazione Usa”. Parole non proprio di maniera, quelle di Draghi. Visto che subito prima di lui, nella videoconferenza dei leader europei insieme al segretario generale della Nato, era intervenuto Emmanuel Macron a ribadire l’impegno europeo ad “agire in modo autonomo” su difesa e sicurezza. Vecchia fissazione, quella del presidente francese, che s’è spinto forse là dove nessuno, negli ultimi decenni, aveva osato, dall’Eliseo: fino, cioè, a diagnosticare la “morte cerebrale” della Nato, nel novembre  2019, quando la rielezione di Donald Trump  pareva scontata. 

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Ora che  Biden segna il ritorno del multilateralismo, si apre  uno scenario nuovo. E l’Italia, con Draghi, può giocare un ruolo centrale. “A differenza di Macron - ci spiega Giampiero Massolo, diplomatico di lungo corso, già a capo dei servizi segreti italiani e ora presidente di Ispi e Fincantieri - Draghi, come dimostrano anche le sue dichiarazioni programmatiche in Parlamento, si colloca nel solco dell’impostazione italiana più tradizionalmente attenta alla complementarità nel rapporto transatlantico, che vogliamo per nulla  contraddittorio  con il processo di integrazione europea. In tal senso - prosegue Massolo -  il campo della difesa europea può essere uno di quelli dove l’Italia può svolgere un ruolo significativo tra Stati Uniti e Europa”.

 

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D’altronde, che il clima fosse cambiato se n’era accorto anche Lorenzo Guerini all’ultima ministeriale della Nato, la prima dell’èra Biden, quando s’era visto applaudire dagli altri ministri della Difesa  dell’Alleanza atlantica, contenti per la sua riconferma a Palazzo Baracchini. Rallegramenti non del tutto disinteressati, visto che di lì a pochi minuti si sarebbe concretizzata  la candidatura italiana ad assumere il comando della missione militare in Iraq, dopo il disimpegno statunitense.

 

Segnali, certo. Come pure lo è stato lo zelo del Quirinale nel riconfermare  nell’esecutivo di Draghi di tutti i ministri del Conte II (Guerini, in primis, e poi  il fu filocinese Luigi Di Maio, e poi l’ultimo, Enzo Amendola, ripescato  come unico uomo nella pattuglia tutta al femminile dei sottosegretari del  Pd) che più di altri hanno saputo accreditarsi come interpreti della linea atlantista. E certo anche la promozione di Franco Gabrielli ad autorità delegata per l’intelligence, avvenuta anche questa non senza la benedizione del Colle, pare rispondere a una rinnovata sintonia con l’ambasciata di Via Veneto, al punto che neppure ai vertici dei servizi si escludono ora dei cambi di organigramma. D’altronde Sergio Mattarella è uomo che gli umori americani ha imparato a intercettarli, e interpretarli, in tempi non sospetti: era lui il vicepremier, con delega ai Servizi, di quel governo D’Alema che, a fidarsi delle memoria di Francesco Cossiga, nacque proprio per assecondare la richiesta arrivata da Washington di un intervento militare in Serbia. E insomma forse le coincidenze c’entrano, certo. Ma Draghi non è arrivato per caso.

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