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il caos a cinque stelle

Il rodeo del Senato. Cinquanta sfumature di dissidenza nel M5s

Valerio Valentini

Crimi riunisce i colonnelli di Palazzo Madama a cena: "Rafforziamo l'alleanza con Pd e Leu". Poi avverte: "Draghi non ammette i nostri malumori". Di Maio teme la Taverna. Buffagni critica il capo politico grillino e manda messaggi in bottiglia a Giorgetti per restare al Mise

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Siccome la situazione è sempre grave, quando si parla della dialettica interna al M5s, ma si ferma sempre parecchi passi prima di farsi seria, ecco che a ora di pranzo salta fuori pure il nome di Antonio Ingroia. “Sono in corso degli approfondimenti, ma è ancora prematuro”, dice Bianca Laura Granato, senatrice calabrese già risoluta a mollare il M5s: “Io mercoledì voterò No”. Pare che il contatto sia avvenuto. Solo che per costituirlo davvero, questo fantomatico gruppo di fuoriusciti, bisogna avere almeno dieci membri, e utilizzare un simbolo che si sia presentato alle elezioni del 2018: come quello della “Lista del popolo”, dell’ex pm, appunto. “In effetti è difficile capire quanti saremo a votare contro, perché in questo caso fino all’ultimo minuto potranno esserci ripensamenti”, dice Elena Botto, senatrice ligure pure lei orientata sul No, ma con la ferma intenzione di restare nel M5s. “Per questo chiedo a Vito Crimi di lasciare libertà di coscienza sul voto di mercoledì”. E d’altronde, dopo il post in cui Davide Casaleggio ha invitato i gruppi parlamentari ad astenersi, è tutto lecito. E così c’è chi, come fa Mattia Crucioli, non ammette incertezze: “Io mi sento già un esponente dell’opposizione”. E chi, pur non nascondendo perplessità, si dice attendista. “Molto dipenderà dal discorso che Mario Draghi terrà in Aula”, dice Laura Bottici.

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Siccome la situazione è sempre grave, quando si parla della dialettica interna al M5s, ma si ferma sempre parecchi passi prima di farsi seria, ecco che a ora di pranzo salta fuori pure il nome di Antonio Ingroia. “Sono in corso degli approfondimenti, ma è ancora prematuro”, dice Bianca Laura Granato, senatrice calabrese già risoluta a mollare il M5s: “Io mercoledì voterò No”. Pare che il contatto sia avvenuto. Solo che per costituirlo davvero, questo fantomatico gruppo di fuoriusciti, bisogna avere almeno dieci membri, e utilizzare un simbolo che si sia presentato alle elezioni del 2018: come quello della “Lista del popolo”, dell’ex pm, appunto. “In effetti è difficile capire quanti saremo a votare contro, perché in questo caso fino all’ultimo minuto potranno esserci ripensamenti”, dice Elena Botto, senatrice ligure pure lei orientata sul No, ma con la ferma intenzione di restare nel M5s. “Per questo chiedo a Vito Crimi di lasciare libertà di coscienza sul voto di mercoledì”. E d’altronde, dopo il post in cui Davide Casaleggio ha invitato i gruppi parlamentari ad astenersi, è tutto lecito. E così c’è chi, come fa Mattia Crucioli, non ammette incertezze: “Io mi sento già un esponente dell’opposizione”. E chi, pur non nascondendo perplessità, si dice attendista. “Molto dipenderà dal discorso che Mario Draghi terrà in Aula”, dice Laura Bottici.

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Alla fine gli smottamenti non dovrebbero essere enormi: sette o otto al Senato, altrettanti alla Camera, sono i potenziali scissionisti. Anche se, nel rodeo grillino, perfino i due gruppi sono in conflitto: gli eletti a Palazzo Madama considerando troppo accomodanti le posizioni dei loro colleghi a Montecitorio, chiedono autonomia di scelta in vista della fiducia. Anche per questo giovedì scorso Vito Crimi ha riunito alcuni dei colonnelli di Palazzo Madama a cena: con lui c’erano, tra gli altri, Stefano Patuanelli, Andrea Cioffi e Paola Taverna. Hanno provato a serrare le fila, ribadendo la necessità di stringere i lacci dell’alleanza con Leu e Pd. “Con Zingaretti mi sento costantemente”, ha spiegato Crimi. E forse in qualche modo la diplomazia della pace s’è attivata davvero, se alla fine, almeno sulla questione della prescrizione, si è trovato il modo di evitare spargimenti di sangue. “Apprezziamo l’atteggiamento sobrio della nuova ministra Cartabia, per cui saremo collaborativi”, dice il calendiano Enrico Costa, primo firmatario dell’emendamento che avrebbe troncato la riforma di Bonafede. E così mercoledì si eviterà di spaccare la maggioranza a Montecitorio proprio mentre al Senato si vota la fiducia.

 

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Ma è appunto Palazzo Madama a turbare il sonno di Luigi Di Maio, che tiene d’occhio le mosse della Taverna. “Che fa Paola?”, continua a indagare coi suoi fedelissimi. Ma certo non è la sola incognita, la vicepresidente del Senato. Sono in tanti a recitare due parti in commedia. C’è Giancarlo Cancelleri che aizza la protesta del M5s in Sicilia per tentare di incassare una riconferma da viceministro al Mit. E c’è Stefano Buffagni che da un lato ne dice di ogni su Crimi, dall’altro fa arrivare messaggi in bottiglia a Giancarlo Giorgetti, per assicurarsi la sua permanenza al Mise. L’idea, in fondo, è sempre la stessa: se ci mostriamo insofferenti, se minacciamo sfracelli in Aula, incasseremo di più. Solo che Crimi, che con Draghi ci ha parlato, ai suoi ha provato a spiegare che la musica è cambiata: “Il premier ci ha spiegato che i conti interni ai vari partiti ce li regoliamo tra noi. Quindi più ci agitiamo, e meno otteniamo”, ha spiegato ai suoi colleghi.

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