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Scommettere sulla Lega dei Draghi

Claudio Cerasa

Il governo Draghi ha bisogno di una maggioranza larga (forza Lega) ma per governare non ha bisogno di avere i galli nel pollaio (Salvini &co). La terza via per romanizzare i barbari: più fiducia, meno Zelig

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Il succo della giornata di ieri, per quanto riguarda il futuro della maggioranza Etiopia (verde-azzurro-giallo-rossa), coincide con la gestione politica di una patata bollente di nome Matteo Salvini, che ormai da diversi giorni è diventata la principale ossessione del Pd, del M5s e anche di alcune cancellerie europee. Il tema è grosso modo sintetizzabile così ed è un tema che ormai arriva forte e chiaro anche alle orecchie del Quirinale: per quanto la conversione europeista della Lega sia evidente, e persino clamorosa, siamo proprio sicuri che il governo Draghi possa permettersi di essere ostaggio del nuovo Zelig della politica italiana? Il Partito democratico, in modo più sottile, e il M5s, in modo meno sottile, anche ieri hanno messo in campo la loro moral suasion per provare a sensibilizzare sul problema il presidente incaricato e per provare a cancellare dal perimetro della maggioranza i colori della Lega. Il tentativo esiste, non c’è dubbio, e non c’è dirigente del Pd e del M5s che non sarebbe sollevato se Draghi decidesse di passare dalla maggioranza Etiopia (verde-azzurro-giallo-rossa) a quella Ursula (azzurro-giallo-rossa).

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Il succo della giornata di ieri, per quanto riguarda il futuro della maggioranza Etiopia (verde-azzurro-giallo-rossa), coincide con la gestione politica di una patata bollente di nome Matteo Salvini, che ormai da diversi giorni è diventata la principale ossessione del Pd, del M5s e anche di alcune cancellerie europee. Il tema è grosso modo sintetizzabile così ed è un tema che ormai arriva forte e chiaro anche alle orecchie del Quirinale: per quanto la conversione europeista della Lega sia evidente, e persino clamorosa, siamo proprio sicuri che il governo Draghi possa permettersi di essere ostaggio del nuovo Zelig della politica italiana? Il Partito democratico, in modo più sottile, e il M5s, in modo meno sottile, anche ieri hanno messo in campo la loro moral suasion per provare a sensibilizzare sul problema il presidente incaricato e per provare a cancellare dal perimetro della maggioranza i colori della Lega. Il tentativo esiste, non c’è dubbio, e non c’è dirigente del Pd e del M5s che non sarebbe sollevato se Draghi decidesse di passare dalla maggioranza Etiopia (verde-azzurro-giallo-rossa) a quella Ursula (azzurro-giallo-rossa).

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Eppure il punto è che a non voler rinunciare alla Lega non è solo il partito di Renzi (“più largo è il governo e meglio è”) o quello di Berlusconi (che ha persino detto a Salvini che senza la presenza del leader della Lega al governo potrebbe saltare persino la presenza al governo di Forza Italia) ma è anche lo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, che, a quanto si capisce, ha in mente uno schema politico di questo tipo che se venisse confermato sarebbe saggio: fidarsi di Salvini non sarà semplice, e le svolte repentine hanno di solito la caratteristica di essere delle svolte che potrebbero svanire con la stessa velocità con cui si sono materializzate, ma fidarsi della Lega invece è possibile e vale la pena provarci.

 

E per questo, siamo pronti a scommetterci, l’ex governatore della Bce farà di tutto per non far perdere all’Italia non solo la partita del Recovery, delle riforme, della vaccinazione di massa – obiettivo un milione di vaccinazioni a settimana – ma farà di tutto anche per non far perdere al nostro paese, d’accordo su questo con il presidente della Repubblica, l’occasione di mettere il suo governo al servizio della romanizzazione dei barbari. In politica confondere causa ed effetto è un errore blu e non c’è dubbio che l’ingresso della Lega nella coalizione di governo avverrà per ragioni legate squisitamente alla particolarità del mandato ricevuto al Quirinale da Mario Draghi – “Avverto – ha detto la scorsa settimana il capo dello stato – il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Ma il motivo per cui anche gli avversari politici della Lega, di fronte al suo possibile ingresso in maggioranza, dovrebbero gioire, più che gufare, è che costringere Salvini ad archiviare il salvinismo è una notizia semplicemente entusiasmante per chiunque abbia a cuore il futuro europeista del nostro paese.

 

E se il metodo Draghi verrà confermato dall’ex governatore della Bce nella costituzione del suo governo – metodo che prevede la valorizzazione nella sua squadra di persone di fiducia e che di solito prevede la comunicazione di un incarico nel momento in cui quell’incarico deve essere accettato: dunque è probabile che molti ministri scopriranno di essere ministri solo quando Mario Draghi si chiuderà al Quirinale in una stanza con Sergio Mattarella – ci sono buone possibilità che la partecipazione della Lega alla maggioranza Etiopia possa avere come effetto collaterale anche quello di dare maggiore coraggio a tutti coloro che nel partito di Salvini (da Giancarlo Giorgetti a Luca Zaia passando per Massimo Garavaglia e Riccardo Molinari) con discrezione chiedevano da tempo allo stesso Salvini di superare la stagione del nazionalismo.

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Avere la Lega nell’esecutivo Recovery, dunque, è cosa buona e giusta. Ma se il presidente incaricato dovesse proporre al presidente della Repubblica, anche per evitare di trasformare il Consiglio dei ministri in un piccolo pollaio, una lista dei ministri senza i leader dei partiti, e dunque anche senza Matteo Salvini, ponendo come motivazione del no a Salvini la linea del tutti i leader dentro o tutti i leader fuori, sarebbe una mediazione politicamente inattaccabile e persino auspicabile. Dare finalmente la possibilità al M5s di emanciparsi dalla stagione di Rousseau (sarebbe stato un sogno presentare il proprio governo senza tenere conto dei tempi della piattaforma grillina) e dare finalmente la possibilità alla Lega di emanciparsi dalla stagione del nazionalismo (magari offrendo il palcoscenico principale a chi l’agenda Draghi la sostiene da più tempo di Salvini): non saranno queste le priorità dell’agenda Draghi, ma il futuro del suo governo, e in parte dell’Italia, forse passa ancora da qui. La Lega al governo sì, lo Zelig al governo per ora no, grazie.

 

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