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Lo spettacolo dei neodraghisti

Giuliano Ferrara

Conte, la vita ingrata e le disinvolture degli ex adoratori del truce

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La vita è ingrata, si sa. Conte non lo vogliono i grillozzi, non lo vogliono i piddini di Siena, già non lo vuole più nessuno. Dice che non entrerà nel governo, che non farà il sindaco di Roma. E’ un “non”, un diniego cui la giustizia è denegata. Eppure è stato, dopo essersi prestato per volere del Quirinale a rappresentare da comprimario la faccia truce del primo governo populista, l’incarnazione, nel suo Bis, delle buone cose di pessimo gusto. Chioccia la voce, modesto il profilo e il curriculum, maldestra e infine litigiosa la nuova alleanza, Conte ha retto il moncone del timone di un paese alla deriva sulla rotta giusta, con il lockdown e il Recovery fund, cose che gli sono capitate e che ha però realizzato con entusiasmo moderato e senso della cosa pubblica, e ha ben governato tra strepiti, squittii e mormorazioni che non meritava. Ora deve cercare di sfuggire all’obliterazione, alla raffica dei calci dell’asino, alla cattiva reputazione che accompagna gli sconfitti.

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La vita è ingrata, si sa. Conte non lo vogliono i grillozzi, non lo vogliono i piddini di Siena, già non lo vuole più nessuno. Dice che non entrerà nel governo, che non farà il sindaco di Roma. E’ un “non”, un diniego cui la giustizia è denegata. Eppure è stato, dopo essersi prestato per volere del Quirinale a rappresentare da comprimario la faccia truce del primo governo populista, l’incarnazione, nel suo Bis, delle buone cose di pessimo gusto. Chioccia la voce, modesto il profilo e il curriculum, maldestra e infine litigiosa la nuova alleanza, Conte ha retto il moncone del timone di un paese alla deriva sulla rotta giusta, con il lockdown e il Recovery fund, cose che gli sono capitate e che ha però realizzato con entusiasmo moderato e senso della cosa pubblica, e ha ben governato tra strepiti, squittii e mormorazioni che non meritava. Ora deve cercare di sfuggire all’obliterazione, alla raffica dei calci dell’asino, alla cattiva reputazione che accompagna gli sconfitti.

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Nel fargli cari auguri, non si può non pensare a quanto sia grata invece la vita con alcuni dei suoi più accaniti denigratori, cosa che rende addirittura atroce il destino del perdente di fase. Voltaire, scrivendo a Madame du Deffand, sosteneva che l’esistenza non avrebbe senso se non ci si potesse prendere gioco, almeno un poco, delle persone cui si è affezionati. Ho visto Buttafuoco, da sempre vicino al mio cuore, su Sky Tv, indossava con estrema eleganza un gessato da banchiere e aveva un nodo superbo della cravatta (il barone Bettiza detestava i nodi striminziti che definiva sprezzantemente “timidi”). Pietrangelo è come me un rottame del totalitarismo, e in Salvini sperava di aver trovato casa per la sua orgogliosa differenza ademocratica e tradizionalista. Per la diversa sorte riservata al fascismo e al comunismo, questione di chi vince o perde una guerra mondiale, io invece mi sono ritrovato a sinistra con Craxi, Berlusconi, i liberali al Barolo e, senza più miti e case se non quella apta mihi, con la débauche attuale, cementata dall’antitrucismo trumpo-populista.

 

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Per me Draghi è l’ovvio dell’eccezionale, e aspetto trepidante la sua performance, privo di arrière pensées come di illusioni. Ma aveste veduto come scintillavano gli occhi sinceri e intelligenti di Buttafuoco tutto intento a argomentare il suo draghismo inattuale. Uno spettacolo. Maria Giovanna Maglie, l’Imperatrice secondo la battuta di quel meraviglioso don Giovanni in Sicilia che è Pietro, l’ho invece letta in una sfavillante intervista al Foglio, sua vecchia casa, in cui annunciava che il vero sovranista è il professore europeista, che il trionfo del populismo è il riformismo alla Federico Caffè del suo allievo gesuita. Come quelli di Buttafuoco, anche questi, e anche quelli di Porrino, del pazzo di Siena, il Soccino, sono incantevoli. È poi meraviglioso quanto sia ancora vitale in Italia il comando politico, inteso non come greve sottomissione al capo ma come adesione alla linea, per cui la svolta verso accoglienza e finanza del Capitano, come la Pasta del Capitano, lava e rinfresca ogni vecchia storia e la riqualifica amabilmente, non senza una punta di malizia.

 

Pimpanti loro, gli affezionati neodraghiani di cui ci si deve prendere gioco per mantenere in vita l’esistenza e la società, avvilito lui, il povero Bisconte, che contro i loro lazzi e frizzi ci aveva chiusi in casa per tempo e poi riempiti di miliardi europei e di vaccini (a proposito, segnalo che il mio Indice di massa corporea è superiore a 40, un mostro di severa obesità, spicciatevi a bucarmi!). E comunque, va ribadito, viva il trasformismo, che fa funzionare alla perfezione il nostro sistema politico e culturale, e viva anche i banchi a rotelle, che si è capito bene a che cosa servano: a spostarsi.

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