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Draghi e la goduria del realismo politico

Arrivano l'ok di Forza Italia e dei vertici del M5s (anche di Conte). Berlusconi si affranca da Salvini, i Cinque stelle da Travaglio. Lo schema Ursula mostra un nuovo bipolarismo possibile

Claudio Cerasa

E alla fine dei giochi forse un giorno ci accorgeremo che il bipolarismo del futuro un domani potrebbe nascere proprio da qui: dalla capacità dei partiti italiani di trasformare il governo Draghi in una grande occasione per cancellare le scemenze del passato, per mettere da parte i propri estremismi e ricostruire la propria identità all’insegna della parola chiave del governo Recovery: la resilienza, bellezza

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È la resilienza, bellezza. Improvvisamente in Italia le stelle sembrano essersi allineate e per la prima volta da molto tempo a questa parte, grazie alla crisi di governo, il disordine è diventato ordine, il caos è diventato armonia e il principio di realtà è diventato il simbolo formidabile di una nuova stagione della vita politica, potenzialmente goduriosa. Succede così – dato numero uno – che il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, ovvero Forza Italia, decida di fare un magnifico passo in avanti per affrancarsi dal gioco del salvinismo scegliendo di presentarsi alle consultazioni con Mario Draghi non soltanto autonomamente dalla Lega ma impegnando personalmente Silvio Berlusconi. Forza Italia, notizia del giorno, dirà dunque sì a un governo Draghi (52 senatori a Palazzo Madama non sono niente male) e costringerà così i suoi alleati descamisadi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, a rispondere a una domanda solo apparentemente semplice: che prezzo si rischia di pagare nel dire di no a Mario Draghi?

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È la resilienza, bellezza. Improvvisamente in Italia le stelle sembrano essersi allineate e per la prima volta da molto tempo a questa parte, grazie alla crisi di governo, il disordine è diventato ordine, il caos è diventato armonia e il principio di realtà è diventato il simbolo formidabile di una nuova stagione della vita politica, potenzialmente goduriosa. Succede così – dato numero uno – che il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, ovvero Forza Italia, decida di fare un magnifico passo in avanti per affrancarsi dal gioco del salvinismo scegliendo di presentarsi alle consultazioni con Mario Draghi non soltanto autonomamente dalla Lega ma impegnando personalmente Silvio Berlusconi. Forza Italia, notizia del giorno, dirà dunque sì a un governo Draghi (52 senatori a Palazzo Madama non sono niente male) e costringerà così i suoi alleati descamisadi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, a rispondere a una domanda solo apparentemente semplice: che prezzo si rischia di pagare nel dire di no a Mario Draghi?

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Il centrodestra dunque balla e si divide tra chi considera l’europeismo come un principio non negoziabile (viva il Cav.) e chi considera l’europeismo come un principio negoziabile (ahi ahi Fratelli d’Italia). Il primo dato è questo. Il secondo, se possibile, è altrettanto interessante e riguarda la scelta fatta dal Movimento 5 stelle e in particolare da Luigi Di Maio e da Giuseppe Conte che dopo giorni molto travagliati (ops!) hanno deciso di fare un passo ulteriore verso la stagione della responsabilità decidendo di dire sì al governo Draghi e provando a ripetere su scala nazionale lo stesso schema che fu proprio Giuseppe Conte a imporre al Movimento 5 stelle in Europa il 16 luglio del 2019 quando ai tempi ancora del governo gialloverde il M5s risultò decisivo per far nascere la maggioranza che portò all’elezione alla presidenza della Commissione europea di Ursula von der Leyen (lo scarto fu di 9 voti, gli eurodeputati del M5s che a sorpresa votarono per von der Leyen furono 14).

 

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In sole 48 ore, dunque, la presenza sulla scena di Mario Draghi ha portato Forza Italia ad affrancarsi dai sovranisti (big hello to Borghi e Bagnai), ha portato il M5s ad affrancarsi dai dibbattisti (big hello to Dibba e Paragone), ha permesso a Conte di affrancarsi dai travaglisti (big hello al Fatto), ha dato la possibilità a Salvini di sperimentare una nuova identità (più Giorgetti, meno Bagnai), ha rimesso al centro della scena il vecchio patto del Nazareno (Pd-Forza Italia e Italia viva), ha permesso al Parlamento di definire il perimetro dal quale uscirà il prossimo capo dello stato (che potrebbe essere lo stesso Mario Draghi) e ha mostrato con chiarezza i risultati di un piccolo miracolo politico di cui sono stati protagonisti in questi tre anni da un lato Matteo Renzi e dall’altro Sergio Mattarella.

 

Che con traiettorie diverse, con metodi diversi, con strategie diverse hanno guidato la politica italiana verso una trasformazione incredibile che ha permesso al nostro paese di archiviare quello che il 4 marzo del 2018 appariva come un incubo possibile: l’affermazione di un bipolarismo populista. Tre anni dopo le elezioni che avrebbero dovuto cambiare per sempre la storia del nostro paese la verità è che l’Italia – prima mettendo i populisti nelle condizioni di governare e dunque di fallire; poi mettendo un populismo anti europeista in un angolo, quello della Lega, e costringendo contemporaneamente l’altro alla conversione europeista, il M5s con il BisConte – si è ritrovata nel giro di poco tempo dall’essere stata il laboratorio del populismo anti europeista all’essere oggi un possibile laboratorio dell’anti populismo europeo. E alla fine dei giochi forse un giorno ci accorgeremo che il bipolarismo del futuro un domani potrebbe nascere proprio da qui: dalla capacità dei partiti italiani di trasformare il governo Draghi in una grande occasione per cancellare le scemenze del passato, per mettere da parte i propri estremismi e ricostruire la propria identità all’insegna della parola chiave del governo Recovery: la resilienza, bellezza.

 

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