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ursula, e forse di più

La danza dei partiti intorno a Draghi, che ha già problemi d'abbondanza

Valerio Valentini

Di Maio s'infuria con Conte, poi detta la svolta. Giuseppi cambia registro: sogna da vicepremier e prova a prendersi il Movimento. Il Cav. ci sta. E pure Salvini vorrebbe starci. Ma nel Pd vogliono Ursula. "Con la Lega dentro, impossibile avere ministri politici"

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Chi aveva avuto modo di parlarci, durante le prime, apparentemente tribolate, ore da presidente incaricato, lo aveva in effetti descritto come tranquillo, per nulla preoccupato a dispetto dell’apparente difficoltà con cui i numeri parlamentari a sostegno del suo governo s’andavano materializzando. E magari sembrava una serenità di prammatica, più esibita che reale. Sennonché ventiquattr’ore dopo, come se l’eco del suo nome – Mario Draghi – c’abbia impiegato un po’ per rimbombare davvero, quella serenità, quella indifferenza alle fibrillazioni del momento, s’è rivelata azzeccata. E così per la maggioranza in suo favore sembrano già rimasti solo i posti in piedi. 

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Chi aveva avuto modo di parlarci, durante le prime, apparentemente tribolate, ore da presidente incaricato, lo aveva in effetti descritto come tranquillo, per nulla preoccupato a dispetto dell’apparente difficoltà con cui i numeri parlamentari a sostegno del suo governo s’andavano materializzando. E magari sembrava una serenità di prammatica, più esibita che reale. Sennonché ventiquattr’ore dopo, come se l’eco del suo nome – Mario Draghi – c’abbia impiegato un po’ per rimbombare davvero, quella serenità, quella indifferenza alle fibrillazioni del momento, s’è rivelata azzeccata. E così per la maggioranza in suo favore sembrano già rimasti solo i posti in piedi. 

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I problemi d’abbondanza nascono a ora di pranzo. Quando in quel M5s che fino a tarda notte s’era macerato nelle sue convulsioni senza senso parte una gara a chi è più amico del caro Mario. Luigi Di Maio, in verità, la meditava da due giorni, la svolta. Fino ad infuriarsi con lo stesso Giuseppe Conte: perché mentre il ministro degli Esteri uscente cercava di ricondurre i furori della sua truppa parlamentare sul viale del buonsenso, durante l’assemblea di mercoledì pomeriggio, da Palazzo Chigi arrivavano chiari e netti gli incitamenti a ribadire il No del M5s a Draghi. Intromissioni smentite dallo staff del premier, ma di cui ieri alcuni  senatori mostravano le prove inconfutabili negli sms di Rocco Casalino: non solo d’istigazione alla baruffa, ma anche di rimprovero, di velata minaccia, nei confronti di chi osava invece esprimere aperture verso il banchiere romano. E allora Di Maio, di buon mattino, dopo essersi confrontato a telefono con Beppe Grillo e con lo stesso premier, detta alle agenzie una nota  cauta ma decisa: Sì a Draghi.

 

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Al che Conte, asserragliato dietro il suo silenzio risentito, è costretto a improvvisare una conferenza, con un banchetto di fortuna piazzato in mezzo a Piazza Colonna, tutta un’aria da fine impero, un’austerità di maniera, ma coi cronisti pre-allertati e assiepati davanti a Palazzo Chigi, la diretta Facebook  in perfetta coincidenza con l’inizio dei telegiornali dell’ora di pranzo. Sic transit. O forse no. Perché il fu avvocato del popolo mostra il piglio di chi a farsi da parte non ci pensa. Si dice alieno da qualsiasi macchinazione ai danni di Draghi (“I sabotatori cercateli altrove”), a distanza di una manciata di ore dall’ultima telefonata partita da Palazzo Chigi alla ricerca estrema dei responsabili da arruolare. Depone le armi, ma come bacchettando il suo successore, ammonendolo a fare “un governo politico, che faccia scelte politiche”. Si scosta, ma non esclude il ritorno. E anzi lo annuncia: “Dico agli amici del M5s che io ci sono e ci sarò sempre”, scandisce. Si candida insomma alla guida del grillismo, e forse anche ad altro, visto che poi lancia un appello da padre nobile della coalizione anche al Pd e a Leu. E se martedì pomeriggio, mentre tutto capitolava, prometteva ai big del M5s che io “mai accetterei di fare il ministro di Draghi”, istigandoli così alla rivolta, ora già s’affanna per avere, anche grazie all’aiuto dei maggiorenti del Pd, l’incarico di ministro degli Esteri e  di vicepremier nel governo che verrà. E ha pure lui una benedizione di Grillo da sventolare: “Beppe gli ha detto di prendersi il M5s”, esultano dal suo staff. 

 

E insomma il M5s ci starà. E ci starà anche Forza Italia. Perché ieri mattina, anticipando sia Di Maio sia Conte, il Cav. riunisce i vertici del partito in videoconferenza, si confronta con Gianni Letta, le capogruppo Gelmini e Bernini, e conviene sulla necessità di appoggiare Draghi. Lo fa per evitare la rivolta nei suoi gruppi. E lo fa anche perché sa che il momento è propizio. E infatti di lì a poco la potenziale coalizione per Draghi straborda oltre i confini di Ursula e inghiotte pure la Lega. Salvini convoca una segreteria, poi dice che il Carroccio è pronto a starci. Strambata netta, che infatti lascia smarriti gli alfieri antieuropeisti come Alberto Bagnai e Armando Siri, che intervengono per esternare il loro scetticismo su una svolta condivisa comunque da tutti i governatori, e benedetta da Giancarlo Giorgetti. Il quale ripete che “bisogna provarci”, garantisce che “essendo un governo del presidente, nessuno potrà porre condizioni”. Anche perché, ragionano nella Lega, Draghi sarà di certo tentato dalla corsa al Quirinale a inizio 2022, e dunque il suo governo sarà necessariamente a termine, e lui avrà tutto l’interesse ad avere un consenso ampio in Parlamento. 

 

Solo che poi c’è il Pd. Che la prospettiva di ritrovarsi al governo insieme alla Lega se la risparmierebbe volentieri. Lo pensa Zingaretti, ovviamente, ma ne è convinto anche  Lorenzo Guerini. “Bisogna stare dentro il perimetro di Ursula”, si ripetono. E certo è vero - come spiegano Franceschini e Delrio, cioè coloro che hanno il filo più diretto col Colle - che Mattarella non ha posto limiti al governo di Draghi, e dunque a questo bisogna attenersi. “Ma è pur vero che il programma conta, e l’identità politica pure, per un governo dichiaratamente europeista”, dice il centrista Bruno Tabacci, appena uscito dalle consultazioni col premier incaricato. “Certo: Salvini potrà venire a dirci che ama la Merkel e adora l’Europa, ma a quel punto non si pone un problema politico per noi, ma un problema psichiatrico per lui”. C’è che in fondo anche per un esecutivo d’eccezione, la politica imporrà le sue logiche. E dunque, come argomenta Franceschini, la partecipazione dei leader politici all’esecutivo, che servirebbe come garanzia di stabilità e che assicurerebbe la tenuta del M5s, mal si concilia col perimetro troppo largo di governo. Perché nessun dirigente del Pd accetterebbe di posare nella foto di rito accanto a Salvini.  

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