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Editoriale

Capire l’agenda Draghi

Redazione

Execution, fisco, Europa, lavoro. Quattro punti per una possibile svolta

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Quello a cui sta lavorando in queste ore Mario Draghi potrebbe anche diventare un governo con una maggioranza definita e un’opposizione vera e propria. Dipende dalle scelte dei partiti e da come isoleranno le faglie interne di dubbiosi e di contrari, ma dipende anche da come verranno condotte le consultazioni. Sembra che si possa arrivare a forme di colloqui di gruppo, con una squadra unica per Leu, 5 stelle e Pd, a ricalcare la rappresentanza unica usata dal centrodestra e, soprattutto, a ribadire, anche scenograficamente, che dall’esperienza del secondo governo Conte è nata un’intesa politica ancora spendibile.    

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Quello a cui sta lavorando in queste ore Mario Draghi potrebbe anche diventare un governo con una maggioranza definita e un’opposizione vera e propria. Dipende dalle scelte dei partiti e da come isoleranno le faglie interne di dubbiosi e di contrari, ma dipende anche da come verranno condotte le consultazioni. Sembra che si possa arrivare a forme di colloqui di gruppo, con una squadra unica per Leu, 5 stelle e Pd, a ricalcare la rappresentanza unica usata dal centrodestra e, soprattutto, a ribadire, anche scenograficamente, che dall’esperienza del secondo governo Conte è nata un’intesa politica ancora spendibile.    

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Questo fatto potrebbe avere un significato anche per il programma cui Draghi si accinge. Perché se già Roberto Gualtieri era riuscito, facendo pesare anche le sue relazioni in Europa, a imporre alcuni tratti riformistici nell’iniziativa del governo dimissionario, lo stesso meccanismo, ma amplificato, potrebbe essere utilizzato da Draghi. Sicuramente verrà invertita la logica degli ingenti finanziamenti legati al progetto Next Generation Eu, semplicemente mettendo prima le riforme e poi la disponibilità finanziaria, e da questa inversione logica deriva anche una più che probabile revisione del piano già presentato. Più difficile restare all’interno delle compatibilità politiche, ovvero banalmente farsi votare i provvedimenti dal Parlamento, se si intende applicare in modo rigido lo schema della divisione tra debito buono e debito cattivo. Significherebbe, ad esempio, aggredire nodi irrisolti da decenni come l’Alitalia, ma andando poi ad affrontare le conseguenze politiche di quelle scelte.

 

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Ma ci sono implicazioni anche meno banali, come ad esempio quelle che riguardano la sanità, dove il valore e l’incremento di efficienza che possono derivare da un impegno di spesa o da un cambio di approccio non sono valutabili nel breve periodo, e può succedere che a maggiore spesa oggi corrispondano più che proporzionali risparmi futuri uniti a migliore funzionamento del sistema. Sostegno pubblico alle imprese e situazione della crisi sanitaria si tengono insieme, nella visione di Draghi, anche per la necessità di evitare fallimenti e interruzioni produttive da cui poi non ci si potrebbe riprendere. Era il tema centrale del suo intervento durante il primo lockdown, all’inizio, purtroppo, di una crisi pandemica che ancora fa sentire i suoi effetti. A qualche mese di distanza si può dire che, forse con l’eccezione di alcuni settori dei servizi, il senso di quella lettera sia stato capito e i suoi precetti in buona parte applicati. Lo testimonia la forza dimostrata dal sistema manifatturiero italiano, visibile anche nei dati appena pubblicati dall’Istat, e la sua capacità di mantenere le quote nel commercio internazionale.

 

Passata la prima emergenza però non si esaurisce la necessità di sostenere le attività produttive, anche quelle non perfettamente efficienti e anche quelle del commercio e dei servizi. E si viene a proporre con la massima forza la necessità di uscire dallo schema di totale protezione dai licenziamenti, coerente con le richieste fatte da Draghi con la lettera al Financial Times, ma, appunto, da superare via via che la morsa della crisi sanitaria va ad allentarsi. Per arrivare a un superamento totale di quelle tutele straordinarie, in modo da avere di fronte all’arrivo della ripresa (per Confindustria e per molti altri si parla di giugno come momento in cui gli ordini riprenderanno davvero a correre), un apparato legislativo adeguato anche nel mercato del lavoro. Come fare tutto questo senza però cambi alla guida di strutture essenziali come Inps e Anpal e quindi senza pestare i piedi ai 5 stelle non è questione di facile soluzione.

 

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Il rapporto con i gruppi che lo sosterranno in Parlamento diventa decisivo anche per le questioni fiscali. Lo spazio della residua legislatura potrebbe consentire interventi anche significativi, perfino la riforma dell’irpef sarebbe possibile e all’Agenzia delle entrate hanno pronte le idee per intervenire. Ma nell’immediato c’è, anche per il fisco, da mettere mano al passaggio tra la fase completamente bloccata e tutelata e il riavvio, per quanto graduale, della macchina tributaria. Servirà capacità di execution, certo, ma anche qualche opportuna misura di alleggerimento per i contribuenti (ci stava già lavorando lo staff di Gualtieri) e molta credibilità perché la ripresa dell’attività di riscossione sia accompagnata dall’impegno a mettere mano a un riequilibrio tributario a favore dei redditi da lavoro.

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