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Tra chigi e il nazareno

Tutti i dubbi del Pd sulle mosse di Conte (che tenta il blitz sull'Agricoltura)

Valerio Valentini

Il veto su Renzi che Delrio prova a rimuovere. La caccia ai responsabili che non funziona, col premier che spaccia numeri incerti. La nomina di una nuova ministra tecnica stoppata dal Nazareno. E Franceschini e Guerini sparigliano: "Le strade sono ancora tutte aperte"

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Il punto è che non lo capiscono. E, non capendolo, cominciano a perdere la pazienza. Forse perfino la fiducia. Al mattino garantisce ai ministri che lo cercano che sì, si può stare tranquilli, perché la caccia ai responsabili prosegue a gonfie vele. Poche ore dopo si confida coi suoi collaboratori dicendosi preoccupatissimo (“per ora tanti nì, ma di sì certi ancora pochi”) ignorando che poi le voci corrono, i pettegolezzi risuonano tra le vie deserte che da Palazzo Chigi portano al Nazareno. E insomma Giuseppe Conte, la sfinge di Volturara, per il Pd è diventato un enigma. “E questo è diventato un problema”, sbuffano a mezza bocca  i dirigenti dem.

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Il punto è che non lo capiscono. E, non capendolo, cominciano a perdere la pazienza. Forse perfino la fiducia. Al mattino garantisce ai ministri che lo cercano che sì, si può stare tranquilli, perché la caccia ai responsabili prosegue a gonfie vele. Poche ore dopo si confida coi suoi collaboratori dicendosi preoccupatissimo (“per ora tanti nì, ma di sì certi ancora pochi”) ignorando che poi le voci corrono, i pettegolezzi risuonano tra le vie deserte che da Palazzo Chigi portano al Nazareno. E insomma Giuseppe Conte, la sfinge di Volturara, per il Pd è diventato un enigma. “E questo è diventato un problema”, sbuffano a mezza bocca  i dirigenti dem.

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Anche perché un po’ tutti, da Nicola Zingaretti a Dario Franceschini, stentano a comprendere la ragione alla base delle mosse del premier. E così capita che, un paio d’ore prima di un Cdm convocato senza preavviso, giovedì sera, Conte prenda il telefono per prospettare la chiusura intempestiva di una trattativa ancora da definire. “Ho pensato che potremmo procedere già oggi”, ha detto. Si riferiva alla nomina della nuova ministra dell’Agricoltura: una tecnica, donna, che avrebbe dovuto rimpiazzare la renziana Bellanova. “Ma così non ci complichiamo ancora di più la vita nella ricerca dei responsabili”, si sono detti tra loro i vertici del Pd, prima di suggerire al premier di rimandare.

 

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Anche perché le strade che nel Pd ritengono più auspicabili, l’avvocato di Volturara le scarta con metodica fermezza. Perché magari un accordo sulla maggioranza Ursula lo si potrebbe pure tentare, ma non pescando a strascico tra i singoli deputati e senatori azzurri. “Per farlo bisognerebbe aprire in modo chiaro agli interlocutori di Forza Italia, non possiamo stare qui a mercanteggiare voti”, ha sbuffato coi suoi colleghi senatori, il capogruppo del Pd Andrea Marcucci. Ma a dimettersi per varare un Conte ter, il premier per ora non ci pensa: o quantomeno pretende che glielo si chieda formalmente. Al che Bruno Tabacci, che ieri s’è confrontato con più di un esponente del Pd, dopo averglielo già detto in Aula lunedì scorso alla Camera, è tornato a ripeterglielo che è di lì che deve passare. Ma Conte  ancora nicchia. E anzi, rilancia che semmai andrebbe al Quirinale per un reincarico solo dopo che i gruppi dei suoi responsabili si saranno formati. E intanto procede alla nomine nel comparto dei servizi segreti, e pensa a un ampliamento (per decreto) della squadra di governo, per avere qualche strapuntino in più da distribuire.

 

E così Franceschini, che pure ha cercato di contribuire allo scouting in favore del premier, ha iniziato a esternare i suoi dubbi circa l’opportunità di rinnovare il veto su Matteo Renzi. Anche perché un paio di telefonate le ha fatte anche lui, in prima persona, tra i parlamentari di Iv, e si è reso conto che il grande smottamento sperato non ci sarà. E così giovedì è tornato a contattare gli ambasciatori del senatore di Scandicci con altri toni, prospettando altri scenari: “Vediamo se ci saranno nuovi arrivi di qui a mercoledì, poi decidiamo sul da farsi”. Sì, perché mercoledì in Aula ci sarà la prova del fuoco: il voto della relazione sulla Giustizia di Alfonso Bonafede. Il quale, parlando coi colleghi di governo del Pd, ha provato a rassicurarli: spiegando che si tratterà perlopiù di un resoconto delle misure già adottate nell’annus horribilis del Covid e degli investimenti previsti nel Recovery. Quanto alla prescrizione, “quella è contenuta nella riforma del processo penale che il governo ha già approvato, col voto delle ministre renziane”. Come se insomma non fosse tutta politica, la questione. E infatti il socialista Riccardo Nencini, fuoriuscito da Iv, e insieme a lui un paio di senatori forzisti blanditi in nome della responsabilità, hanno chiesto di vedere in anticipo la bozza della relazione. “Se non c’è un ravvedimento sulla prescrizione, votiamo no”. Si lavorerà, fino a martedì, inserendo magari una formula di compromesso nelle risoluzioni. Ma che questo possa bastare, è assai discutibile. E così anche Lorenzo Guerini, invitando i suoi parlamentari alla calma, ha spiegato che non c’è una sola strada da seguire, che non c’è alcuna prospettiva da precludersi a priori. E chissà come deve risuonare nelle orecchie di Conte, questa cautela democristiana.

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