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Un'altra strada c'è

Darsi una calmata per non sputtanare l’Italia

Avere un governo che si tiene in piedi con qualche scappato di casa solo per non andare a votare potrebbe essere per l’Italia una scommessa persino più pericolosa che mollare tutto e andare al voto. Basta capricci. E’ ora di riconciliarsi, please

Claudio Cerasa

Meglio fare un po’ di ordine e tornare a declinare l’unico verbo che oggi serve all’Italia: fare la pace. La necessità del dialogo tra Renzi e Conte, i responsabili che non si vedono, la responsabilità di non perdere la grande occasione della rivoluzione europea

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Bisognerebbe darsi tutti una calmata, fare un respiro profondo, riordinare un po’ le idee, mettere un po’ di ordine nel disordine di questa pazza crisi di governo e capire che per far fare a questa legislatura i passi in avanti necessari per governare la pandemia, per costruire il futuro, per affrontare le sfide del Recovery, per non buttare nel gabinetto i fondi europei la strada da seguire è una e soltanto una e prevede alcuni passaggi difficili da accettare eppure necessari da metabolizzare.

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Bisognerebbe darsi tutti una calmata, fare un respiro profondo, riordinare un po’ le idee, mettere un po’ di ordine nel disordine di questa pazza crisi di governo e capire che per far fare a questa legislatura i passi in avanti necessari per governare la pandemia, per costruire il futuro, per affrontare le sfide del Recovery, per non buttare nel gabinetto i fondi europei la strada da seguire è una e soltanto una e prevede alcuni passaggi difficili da accettare eppure necessari da metabolizzare.

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Il primo passaggio riguarda la traiettoria scelta, in maniera un po’ spericolata, dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che dopo aver avuto la soddisfazione di mostrare i muscoli a Matteo Renzi prima alla Camera (maggioranza assoluta) e poi al Senato (maggioranza relativa) oggi non ha altra strada da seguire se non quella di disarmare il conflitto, di smetterla di perdere tempo a fare scouting disperato tra i parlamentari in cerca d’autore e di sostituire la carta dell’orgoglio con quella della riconciliazione, facendo tutto ciò che è necessario fare per provare a ricucire il rapporto con Matteo Renzi. Si dirà che tornare con Renzi significa dover inghiottire un boccone amaro e significa dover ammettere che le richieste di Renzi non erano solo un capriccio ma erano richieste sulle quali valeva la pena riflettere. La risposta è sì, non ci sono alternative, e a fare un passo ora tocca non solo a Conte ma anche alla leadership del Pd, che dovrebbe mettere da parte un po’ di orgoglio costringendo il M5s a ricucire anche a costo di portare il presidente del Consiglio verso la strada di un nuovo governo (ieri lo ha chiesto persino uno dei responsabili individuati da Conte, Bruno Tabacci, che ha chiesto, a sorpresa, di aprire le consultazioni per un Conte ter). Mettere da parte l’orgoglio, dunque. Allargare la maggioranza a chi ci sta. Far rientrare Renzi. Lavorare a un governo degli adulti. Rendersi conto che far saltare Conte significa far mancare non solo un punto di equilibrio forse unico per il mondo grillino ma anche far mancare un mediatore unico tra l’irresponsabilità dell’agenda grillina e la necessaria convivenza del grillismo con il principio di realtà. Ricordarsi infine che ogni giorno perso nella definizione del Recovery è un’opportunità persa per lavorare alla ricostruzione del paese (il 30 aprile il Recovery plan dovrà essere consegnato alla Commissione europea). E una volta trovato un nuovo equilibrio (desiderio che non è difficile immaginare sia coltivato anche dal presidente della Repubblica) costruire un’autostrada che consenta al centrodestra più europeista (quello del Cav.) di fare quello che ieri ha suggerito di fare sulle colonne di questo giornale Claudio Mancini, un deputato del Pd molto vicino a Roberto Gualtieri e Goffredo Bettini: lavorare a una maggioranza Ursula, intesa come “una maggioranza per le riforme finalizzata a un lavoro in comune non solo sulla legge elettorale, ma anche sul Recovery fund e, in prospettiva, anche per eleggere un presidente della Repubblica europeista”.

   

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La fase di stallo delle trattative politiche sembra essere lontana anni luce dalla prospettiva della riconciliazione – ieri pomeriggio abbiamo letto sul taccuino di un importante uomo di governo del M5s i nomi di coloro che dovrebbero far parte del famigerato gruppo dei senatori responsabili, De Poli-Saccone-Binetti-Vitali-Causin-Minuto-Marino-Parente-Conzatti-Vono, ma molti di questi nomi, specie quelli di Italia viva, hanno già detto di no al premier, e le manovre di Conte, per sostituire i senatori renziani, potrebbero essere più difficili del previsto. E l’impressione è che al momento i protagonisti della partita (Pd, M5s, Conte) siano disposti, pur di non tornare da Renzi, a far cadere tutto per tentare la carta delle elezioni (cosa che Dario Franceschini e Luigi Di Maio, i due politici che in caso di incidente di Conte potrebbero avvicinarsi ad ampie falcate agli stanzoni di Palazzo Chigi, faranno probabilmente di tutto per evitare). Arrivare in modo ordinato, mettendo insieme tutte le risorse europeiste presenti in questo Parlamento, alla scelta del prossimo presidente della Repubblica è certamente la prospettiva che offre maggiori ragioni per essere ottimisti. Ma arrivati a un certo punto della storia bisognerà anche dire che fare del non voto l’unica ragione d’essere d’un governo rischia di essere una prospettiva avvilente anche perché, per quanto un governo Salvini-Meloni possa essere l’ultimo dei governi di cui l’Italia oggi avrebbe bisogno, la verità è che dal Papeete a oggi molto è cambiato: i populisti cercano di nascondere il populismo, gli anti europeisti cercano di nascondere il proprio anti europeismo, i putiniani cercano di nascondere il proprio putinismo, i nazionalisti cercano di far dimenticare il proprio nazionalismo, i sostenitori dell’America first tentano di far dimenticare il proprio trumpismo e per quanto possa essere difficile da riconoscere la cura del governo anti Papeete un effetto l’ha avuto ed è stato quello di curare almeno in parte alcuni eccessi del populismo anti sistema. E dunque, sì, arrivare in modo ordinato al dopo Mattarella, con un Parlamento europeista, è cosa buona e giusta, ma avere un governo che si tiene in piedi con qualche scappato di casa solo per non andare a votare potrebbe essere per l’Italia una scommessa persino più pericolosa del mollare tutto e andare al voto. E dunque, meglio darsi una calmata, fare un po’ di ordine e tornare a declinare l’unico verbo che oggi serve all’Italia: riconciliarsi, please. Claudio Cerasa

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