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La discesa in campo di Conte, che chiude a Renzi e si appella ai volenterosi

Carmelo Caruso

Non ricuce con Italia viva ma accarezza le opposizioni, promette di rimettere la delega ai servizi, offre la legge proporzionale, il ministero dell’Agricoltura, annuncia un assegno unico. Si rivolge alle associazioni e ai sindacati, dove cercherà la sua prossima base politica

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È ufficialmente entrato in politica nel giorno in cui volevano farlo uscire. “È questo il momento. Chiedo un appoggio limpido. Aiutateci!”. Ha accarezzato le opposizioni, ha chiuso a Matteo Renzi, ha offerto la legge proporzionale, il ministero dell’Agricoltura, annunciato un assegno unico. Giuseppe Conte ha fatto appello ai “disponibili” e ai “volenterosi” contro “il grave gesto di irresponsabilità”. Non ha ricucito.

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È ufficialmente entrato in politica nel giorno in cui volevano farlo uscire. “È questo il momento. Chiedo un appoggio limpido. Aiutateci!”. Ha accarezzato le opposizioni, ha chiuso a Matteo Renzi, ha offerto la legge proporzionale, il ministero dell’Agricoltura, annunciato un assegno unico. Giuseppe Conte ha fatto appello ai “disponibili” e ai “volenterosi” contro “il grave gesto di irresponsabilità”. Non ha ricucito.

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Ma lo sa il premier che per ascoltarlo i giornalisti hanno sgomitato? “Lei non entra. Sono arrivato prima io. E lei chi è? Voglio vederlo! Devo vederlo”. Quando è entrato con il suo plico giallo tutto si è calmato. I giornalisti hanno gareggiato per avere un posto in tribuna, hanno atteso che un commesso gli permettesse di accedere e di attenderlo. Nei corridoi mai si erano viste così tante bottiglie d’acqua. Quando ha giurato, la prima volta non lo conosceva nessuno oggi sono venuti perfino operatori dalla Cina: “Come si dice crisi in cinese?”. I ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro erano così vicini l’uno all’altro come nei terremoti stanno vicino i fratelli. Si facevano coraggio. Tutti e tre hanno guardato Dario Franceschini che invece se ne stava distante da tutti. Cosa pensava? Il ministro della Cultura ha chiuso le braccia. Gli altri ministri si sono disposti a scacchi per difendere la loro torre.

 

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“Era il 9 settembre quando ... “. Conte alle 12,12 si è alzato in piedi. La voce questa volta inciampava. Dove era il Conte che metteva la mano sulla spalla di Matteo Salvini? Teneva il microfono con la mano destra. Con la sinistra stringeva i fogli che muoveva come una bacchetta da maestro d’orchestra. Li agitava. E diceva: “La visione c’era, la spinta ideale pure”. Si è difeso. “Ho usato tutte le forze fisiche ed intellettive per servire la comunità nazionale”. Ha detto che no, che la sua “era tutta politica” e che gli interventi del suo governo hanno eretto “una cintura” in questa catastrofe. Cosa poteva dire? Che aveva sbagliato ? Si è rifugiato in Paul Krugman, “il premio Nobel per l’economia che ha riconosciuto i nostri sforzi”. Non era arrogante. Non era pentito di quanto stava per dire. Era solo un uomo consumato. Uno che ormai è diventato un busto.

 

Conte, questa volta, aveva qualcosa da porgere e anche da rimettere (la delega ai servizi l’ha messa a disposizione). Ha iniziato proponendo una “grande riforma” (l’assegno unico mensile per i figli che partirà da luglio e che coinvolgerà 12 milioni di italiani). Gualtieri è rimasto a capo basso forse perché già pensava che sarebbe stata un’ulteriore spesa pubblica. Paola De Micheli teneva le mani sotto il banco. Chi sperava che Conte avrebbe aperto a Renzi ha sbagliato. Le dolcezze le ha riservate all’opposizione in particolar modo a quella moderata. Quando ha parlato di “ragioni della politica” delle “più nobili e alte. La politica come pensiero e azione” e che non si accontentava di dare “risposte mediocri” voleva dire che lui ormai non si accontenta delle scuse.

 

Ha raccontato degli “attacchi scomposti e aspri da parte di Italia viva “purtroppo lo devo dire”. Se Renzi voleva che pronunciasse la parola “crisi”, ebbene Conte lo ha fatto: “È una crisi in una fase cruciale. Ma confesso di avvertire un certo disagio”. Ed è stato abile a caricare il paese sul corpo del leader di Italia viva, a indicarlo come solo responsabile. Non è stata forse hybris? Davvero non si poteva tendere la mano, fare un gesto di riconciliazione? “Sono qui e non illustro la bozza ultima e migliorata del Recovery ma per provare a spiegare una crisi” per poi aggiungere “Io stesso non vedo il plausibile fondamento di questa crisi”.  Si doveva liberare del torto (“è una crisi che ha fatto salire lo spread”) delle “continue pretese , dei continui rilanci. Non si può cancellare quello che è accaduto. Adesso si volta pagina. Questo paese merita un governo coeso”.

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Non vuole più vedere Renzi. Conte si è dunque rivolto alle associazioni, al sindacato italiano. La sua prossima base politica la cercherà in quei settori. Ecco a cosa serviva lo strappo di Renzi. Lo ha portato fuori dalla tana delle ambiguità, in un qualche modo ha smascherato le sue ambizioni perché ora “bisogna cercare fra le forze parlamentari le energie per proseguire”. La destra gli ha urlato “Mastella-Mastella!”. E invece il Pd? Conte riusciva a vederli i deputati dem mentre diceva a Renzi che era finita? Graziano Delrio ruotava la sua matita. Deborah Serracchiani - erano passati trentotto minuti da quando era iniziato il suo discorso, scorreva il display del telefono. Ammutoliti si interrogavano sul suo azzardo. Quando ha finito, pochi minuti dopo, c’era una sedia vuota accanto a Conte. Franceschini si era alzato.

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