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La crisi si avvita

Conte e la sfida a Renzi in Aula benedetta da Grillo. Ma il Pd: "No ai responsabili"

Adesso anche il fondatore del M5s sprona il premier contro il leader di Italia viva

Simone Canettieri e Valerio Valentini

Per il presidente del Consiglio diventa complicato trovare un accordo, anche a causa del subbuglio nel M5s. E così medita la “bella morte” in Senato. L’incontro Zingaretti-Franceschini. Il segretario: "Non entro nel governo"

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È tentato. Vorrebbe il bis. Sempre al Senato. Come fu con Matteo Salvini nell’estate del 2019. Sfidare Renzi in Aula, sostituire Italia viva con i responsabili, convinto che il partito dell’ex premier perderebbe anche pezzi. Giuseppe Conte oscilla tra le spinte del Pd che lo esortano a trattare e la pancia del Movimento che gli dice di stanare Renzi. Tra coloro che sono favorevoli allo show-down c’è anche Beppe Grillo che dell’“ebetino di Firenze” è da sempre acerrimo nemico. “Tra Quagliarello e la Boschi non ci sono poi così tante differenze”, dicono i senatori grillini. Perfino Barbara Lezzi, ortodossissima, tra il rassegnato e l’indolente, dice che “qui ormai l’ottica è quella di accogliere tutti”. D’altra parte però c’è il Pd. Ieri Nicola Zingaretti, Andrea Orlando e Dario Franceschini si sono visti al Nazareno. Questa la linea: “Questo governo esiste solo se c’è questa maggioranza, altrimenti c’è solo il voto”. Con l’occasione, il segretario del Pd ha ribadito che non cadrà al gioco di Renzi: “Non entro nel governo, se entrassi io entrerebbe e anche lui”.  

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È tentato. Vorrebbe il bis. Sempre al Senato. Come fu con Matteo Salvini nell’estate del 2019. Sfidare Renzi in Aula, sostituire Italia viva con i responsabili, convinto che il partito dell’ex premier perderebbe anche pezzi. Giuseppe Conte oscilla tra le spinte del Pd che lo esortano a trattare e la pancia del Movimento che gli dice di stanare Renzi. Tra coloro che sono favorevoli allo show-down c’è anche Beppe Grillo che dell’“ebetino di Firenze” è da sempre acerrimo nemico. “Tra Quagliarello e la Boschi non ci sono poi così tante differenze”, dicono i senatori grillini. Perfino Barbara Lezzi, ortodossissima, tra il rassegnato e l’indolente, dice che “qui ormai l’ottica è quella di accogliere tutti”. D’altra parte però c’è il Pd. Ieri Nicola Zingaretti, Andrea Orlando e Dario Franceschini si sono visti al Nazareno. Questa la linea: “Questo governo esiste solo se c’è questa maggioranza, altrimenti c’è solo il voto”. Con l’occasione, il segretario del Pd ha ribadito che non cadrà al gioco di Renzi: “Non entro nel governo, se entrassi io entrerebbe e anche lui”.  

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Conte oscilla come un pendolo. Il Consiglio dei ministri sul Recovery ancora non è fissato in agenda, ma intanto il premier è pronto a prorogare lo stato di emergenza fino almeno alla tarda primavera. Un modo per blindarsi, forse, e per entrare così nel semestre bianco, quello in cui non si potranno sciogliere le Camere. Ma il problema è oggi, intanto. E il presidente del Consiglio continua a non sapere come muoversi: meglio provare lo scontro finale o cercare una mediazione sapendo che Italia viva pretende le sue dimissioni per dare via libera al ter? E’ proprio quest’ultima ipotesi a spingerlo a frenare. Soprattutto alla luce delle dichiarazioni di Renzi. Che in pubblico lascia intendere di non volersi accontentare di un riassetto dell’esecutivo, e in privato traccia la tabella di marcia dei prossimi giorni.

 

Per sperare in un Conte ter, il fu avvocato del popolo deve evitare di farsi sfiduciare: né in Aula (“Se vuole davvero sostituirci coi responsabili, faccia pure. Sempre che li trovi”), né in Cdm, perché “è chiaro che se le nostre ministre si alzano e se ne vanno, per noi con Conte è chiusa”, dicono i renziani. Insomma, un’intesa va trovata prima del confronto che verrà: perché al Colle (e questa è opinione diffusa anche tra i parlamentari del Pd), il premier deve andarci con in mano già l’accordo per il nuovo governo. E non è un’impresa da poco, anche a giudicare dalla guerriglia che, al solo approssimarsi della crisi, s’è scatenata nel M5s. Che sarebbe il partito di maggioranza e che, stando a ciò che da Palazzo Chigi spiegano ai parlamentari grillini, dovrebbe puntare ad uscire dalla crisi rivendicando un solo risultato: “Poter dire di aver salvato Conte dall’agguato di Renzi”. Solo che le seconde file del M5s sono piene di persone che innanzitutto  tengono alla propria carriera personale, comme il faut: così è già partito il rodeo intorno ai ministri da sacrificare, e si pensa perfino al ritorno delle “graticole”, con tanto di autocandidature interne per ruoli di governo.

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Per non dire di Luigi Di Maio, che s’è guardato bene dal criticare Renzi per proteggere il “suo” premier. Il quale, anche per questo, pensa alla resa dei conti in Aula. E forse non solo per risorgere di nuovo dalle ceneri di un suo governo (d’altronde Giovanni Toti, che nei sogni dei contiani dovrebbe offrire la sua truppa di tre senatori alla causa del premier, ci spiega che “per noi di Cambiamo la disponibilità a parlare di un governo di salute pubblica potrà iniziare solo un minuto dopo che Conte sarà andato a casa”). Forse, dice chi lo conosce, nelle tentazioni del giurista di Volturara ci sta anche quella della bella morte: andare al Senato, affrontare Renzi, soccombere nella conta dell’Aula e chiuderla lì. Un’uscita da grande attore, nell’attesa di recitare, tra qualche tempo, un nuovo ruolo. 
   

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