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Più renzismo, meno grillismo. Come seguire con ottimismo la crisi di governo

Claudio Cerasa

Cosa vuole Renzi da Conte? Qual è il punto di caduta del litigio? Il partito del non voto come argine contro il populismo. Guida per orientarsi nella crisi che verrà

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Sarebbe davvero un male se alla fine dei conti, e alla fine della crisi di governo, fosse l’agenda Renzi a rimettere un po’ di ordine tra i cocci del paese? La settimana che si apre sarà cruciale per capire quale sarà il destino della legislatura e per quanto ci si possa appassionare in modo sincero ai temi economici, sanitari e culturali che si trovano dietro i battibecchi tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte non c’è modo migliore per provare a capire il futuro del governo – e per provare a capire la ragione per cui Renzi ha in pugno la legislatura – che andare a studiare la psicologia dei protagonisti della prima grande partita a scacchi del nuovo anno politico. Matteo Renzi lo dice ormai da giorni e lo ripete in privato a ogni occasione e con ogni interlocutore. Per lui questo governo è finito, per lui il BisConte non ha futuro e dopo la scelta fatta dal presidente del Consiglio di annunciare un confronto in Parlamento per verificare se vi sia o meno una maggioranza ancora a sostegno di questo governo è probabile che questa settimana avvenga quello che in molti fino a qualche giorno fa consideravano improbabile: Renzi che ritira i suoi ministri dal governo e Renzi che dà l’avvio ufficiale alla crisi. 

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Sarebbe davvero un male se alla fine dei conti, e alla fine della crisi di governo, fosse l’agenda Renzi a rimettere un po’ di ordine tra i cocci del paese? La settimana che si apre sarà cruciale per capire quale sarà il destino della legislatura e per quanto ci si possa appassionare in modo sincero ai temi economici, sanitari e culturali che si trovano dietro i battibecchi tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte non c’è modo migliore per provare a capire il futuro del governo – e per provare a capire la ragione per cui Renzi ha in pugno la legislatura – che andare a studiare la psicologia dei protagonisti della prima grande partita a scacchi del nuovo anno politico. Matteo Renzi lo dice ormai da giorni e lo ripete in privato a ogni occasione e con ogni interlocutore. Per lui questo governo è finito, per lui il BisConte non ha futuro e dopo la scelta fatta dal presidente del Consiglio di annunciare un confronto in Parlamento per verificare se vi sia o meno una maggioranza ancora a sostegno di questo governo è probabile che questa settimana avvenga quello che in molti fino a qualche giorno fa consideravano improbabile: Renzi che ritira i suoi ministri dal governo e Renzi che dà l’avvio ufficiale alla crisi. 

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La ragione per cui l’ex presidente del Consiglio è riuscito ad avere in mano il pallino del gioco non ha a che fare però solo con la capacità del leader di Italia viva di intercettare con i suoi numerosi parlamentari un sentimento trasversale diffuso nel paese (chiedere una svolta a questa legislatura) ma ha a che fare anche con altri due elementi cruciali. Il primo elemento, la tentazione persino delle elezioni, è quello affrontato qui da Giuliano Ferrara. Il secondo elemento è quello che ha a che fare con la sintonia registrata da Renzi con quello che per molte ragioni è il vero partito oggi prevalente all’interno del Parlamento: quello del non voto. E non c’è modo di studiare la partita di Renzi se non si provano ad analizzare le coordinate di questo partito. La tessera numero uno del partito del non voto si trova in questo momento nelle mani della leadership del Movimento 5 stelle e per quanto possa essere difficile immaginare che il M5s sia disposto a rinunciare al suo premier in una legislatura dominata dal grillismo, gli equilibri attuali ci dicono questo e ce lo conferma anche un importante ministro del Movimento: il M5s, pur di non andare a votare, sarebbe disposto non solo a corteggiare pezzi di Forza Italia ma anche a rinunciare ad avere un premier che sia espressione del grillismo.

 

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Lo stato della semi disperazione vissuto dal M5s si va poi a saldare con uno stato di segno opposto che costituisce la vera assicurazione sulla vita di questa legislatura: la volontà di Silvio Berlusconi di fare tutto ciò che è necessario per evitare di andare a votare. L’atteggiamento del leader di Forza Italia ha a che fare non solo con la volontà esplicita del Cav. di logorare il più possibile Matteo Salvini (più tardi si andrà a votare più saranno le possibilità che il leader della Lega perda peso e anche consenso) ma ha a che fare anche con un sogno proibito che Berlusconi custodisce da mesi nel suo cassetto dei desideri: essere centrale nella scelta del prossimo presidente della Repubblica (si vota tra dodici mesi). Con l’espressione “essere centrale” il Cav. non si riferisce solo all’idea di influenzare con i suoi molti parlamentari la scelta del successore di Sergio Mattarella ma si riferisce anche a uno scenario che l’ex presidente del Consiglio considera improbabile eppure non impossibile: giocarsi una chance, in questa legislatura, per essere nella partita dei quirinabili. E’ una partita improbabile, quasi impossibile, ma nella testa del Cav. c’è la consapevolezza di avere una minuscola chance in questa legislatura e nessuna chance nella prossima legislatura. E dunque, fino a che sarà possibile, Forza Italia metterà in campo, con intelligenza e discrezione, tutta la sua abilità strategica, e buona parte dei suoi parlamentari, per evitare che una crisi di governo possa portare allo scenario delle elezioni anticipate.

 

Non si può capire la partita di Renzi senza partire da questi due elementi così come non si può capire la partita di Renzi senza comprendere che il partito del non voto vive tanto nel corpaccione del Pd quanto in quello della Lega. Nel Pd, inteso come Pd presente in Parlamento, non tutti la pensano come il segretario del partito, che fosse per lui avrebbe già mandato questa legislatura a ramengo tempo fa, e in tanti, sotto traccia, considerano la partita di Renzi giusta, per quanto spericolata, perché l’unica capace di mettere ancora per due anni il Pd al centro dei giochi della politica, cosa che con buona probabilità non accadrebbe qualora si dovesse andare al voto, circostanza in seguito alla quale sarebbe difficile non vedere nascere un governo guidato dalle destre sovraniste. E dunque il partito di Renzi è piccolo, sì, ma è un partito che fa leva sulle debolezze del M5s, sui dubbi del Pd, sulla strategia di Forza Italia e che, a sorpresa, trova sponde interessate anche nella Lega, dove la linea di Giancarlo Giorgetti, per quanto sia minoritaria, non viene più esclusa neppure da Matteo Salvini: dar vita a un governo di larghe intese non solo per sbarazzarsi di Conte e non solo per avere un ruolo nella gestione dei 209 miliardi di euro che arriveranno dall’Europa ma anche per dimostrare che il vero partito sfascista nel centrodestra è quello guidato da Giorgia Meloni e non da Matteo Salvini. In questo mosaico di giochi incrociati e di guerre psicologiche intrecciate non sarà ovviamente irrilevante la partita che sceglierà di giocare il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che a oggi, stando a quanto sostiene Renzi, si trova però a decidere in che modo perdere la sua partita: o perdendo la faccia, per così dire, e facendo marcia indietro su tutto, facendo propria l’agenda Renzi e dando più spazio magari allo stesso Renzi in questo governo; o sfidando Renzi in Parlamento provando a sostituirlo con un altro gruppo politico conquistato qui e là all’interno del partito del non voto. In mancanza di una mediazione tra il premier di oggi e quello di ieri il destino del BisConte a oggi sembra segnato.

 

E per quanto le geometrie possano essere difficili da decifrare e difficili da intercettare, il punto con cui provare a ragionare nella settimana che si apre oggi è questo: comunque andrà a finire questa legislatura, sia che a guidare l’Italia sia ancora Conte sia che a guidarla sia un altro presidente del Consiglio, l’agenda del renzismo avrà un peso infinitamente superiore all’agenda del grillismo e per un paese che deve pensare a come spendere 209 miliardi dell’Europa e che deve pensare alla ricostruzione della sua economia, oltre che alla vaccinazione del paese, avere un po’ meno agenda Casaleggio e un po’ più agenda Draghi (come in fondo sogna anche Nicola Zingaretti, il quale però giustamente si augura anche che la maggioranza di governo resti quella di oggi, non con Conte a tutti i costi ma senza la Lega a tutti i costi) potrebbe essere una notizia più simile a un buon regalo che a un pericoloso dispetto.  

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