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Perché il modello Barca sul Recovery non funziona

Claudio Cerasa

Il Next Generation Eu è anche una grande occasione per provare a eliminare i colli di bottiglia che tengono in ostaggio l’Italia. Ma scegliere di gestire i fondi europei sul modello dell’Agenzia per la coesione territoriale significa scegliere di cambiare tutto per non cambiare niente

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Il futuro dell’Italia, come si sa, prima di ogni altra cosa, prima ancora degli scazzi fra Renzi e Conte, prima ancora delle tensioni fra Pd e M5s e prima ancora dei vaffa fra Meloni e Salvini, è legato alla capacità con cui il nostro paese riuscirà a mettere a terra, nei prossimi anni, i 209 miliardi di euro che arriveranno dall’Europa attraverso il Next Generation Eu. E rispetto a quella prospettiva, intesa come la realizzazione dei progetti, la maggioranza finora si è divisa fra due grandi scuole di pensiero.

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Il futuro dell’Italia, come si sa, prima di ogni altra cosa, prima ancora degli scazzi fra Renzi e Conte, prima ancora delle tensioni fra Pd e M5s e prima ancora dei vaffa fra Meloni e Salvini, è legato alla capacità con cui il nostro paese riuscirà a mettere a terra, nei prossimi anni, i 209 miliardi di euro che arriveranno dall’Europa attraverso il Next Generation Eu. E rispetto a quella prospettiva, intesa come la realizzazione dei progetti, la maggioranza finora si è divisa fra due grandi scuole di pensiero.

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La prima scuola di pensiero, fatta propria finora dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, sostiene che per realizzare quei progetti sia necessario scavalcare tanto le strutture ministeriali quanto la Pubblica amministrazione creando così delle corsie preferenziali parallele sul modello del ponte Morandi. La seconda scuola di pensiero, fatta propria finora dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, sostiene invece che per realizzare quei progetti non sia necessario scavalcare le strutture ministeriali e la Pubblica amministrazione per una ragione semplice e inoppugnabile: il piano del Recovery non è solo una grande occasione per investire e spendere soldi, ma è anche una grande occasione per provare a eliminare i molti colli di bottiglia che tengono in ostaggio l’Italia. Al netto del politichese, al centro dello scontro fra Renzi e Conte c’è questo punto, per molti versi cruciale, che la maggioranza di governo però potrebbe scegliere di non affrontare, facendo quello che oggi sembra incredibilmente intenzionata a fare: affidare la gestione della cabina di regia dei progetti europei a un ex ministro di nome Fabrizio Barca.

   

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Fabrizio Barca è un economista molto famoso, è un esperto di politiche di sviluppo territoriale, è stato presidente del Comitato per le politiche territoriali dell’Ocse tra il 1999 e il 2006, ha ricoperto la carica di ministro per la Coesione territoriale del governo Monti fra il 2011 e il 2013, si è avvicinato negli ultimi anni tanto al Pd quanto al M5s e si è costruito una fama per certi versi inspiegabile grazie a una sua invenzione recente: l’Agenzia per la coesione territoriale.

  

L’Agenzia per la coesione territoriale è un’agenzia pubblica, vigilata direttamente dal presidente del Consiglio, che ha l’obiettivo di sostenere, promuovere e accompagnare programmi e progetti per lo sviluppo e la coesione territoriale, ed è stata creata nel 2014 da Fabrizio Barca – dopo che per oltre 10 anni lo stesso Barca aveva diretto il dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Tesoro, con risultati non proprio esaltanti – per cercare di fare quello che l’Italia non è mai stata in grado di fare, ovverosia diventare efficiente nella gestione dei fondi europei. C’è solo un piccolo problema: quel modello semplicemente non funziona. A novembre, secondo l’ultima relazione annuale della Corte dei conti europea, l’Italia è tra i fanalini di coda in Europa per assorbimento dei fondi strutturali, dal Fondo sociale a quello di sviluppo regionale, e da quello che emerge dalla relazione annuale della Corte dei conti europea il nostro paese, a poche settimane dal termine del programma 2014-2020, ha speso solo il 30,7 per cento dei fondi di cui aveva diritto, ed è sufficiente farsi un giro sul sito dell’Agenzia per la coesione per rendersi conto dei risultati disastrosi su questo fronte da parte dell’Italia. Non funziona perché il modello Barca prevede un coordinamento fra i beneficiari dei fondi che non include la necessità di snellire in modo strutturale i processi decisionali. Non funziona perché il modello Barca prevede una grande diversificazione dei progetti sulla base dell’idea che è meglio che ci siano piccole spese disseminante che grandi spese concentrate. Non funziona perché il modello Barca, per esempio, è un modello tarato per non scontentare nessuno e non prevede alcun premio di produttività per le istituzioni che si comportano in modo più efficiente delle altre e non prevede alcuna penalità per quelle che si comportano in modo non efficiente.

  
E in un paese come l’Italia – in cui gli imprenditori possono anche fallire per avere subito sequestri preventivi anche in assenza di una sentenza definitiva, in cui grazie a una legge scellerata approvata nella precedente legislatura viene consentito sulla base di meri indizi di colpevolezza l’applicazione di misure di prevenzione personali anche per reati contro la Pubblica amministrazione, in cui grazie a un’altra legge scellerata chiamata “Spazzacorrotti” ogni processo è stato trasformato in una pena potenzialmente eterna, in cui la possibilità per un amministratore pubblico di essere indagato per abuso d’ufficio immobilizza le firme degli amministratori in gran parte delle amministrazioni pubbliche, in cui le scelte operative della politica sono soggette al veto incrociato di sovrintendenze, Tar, Asl, vincoli ambientali, in cui la politica ha introdotto la possibilità di mantenere la confisca di un’impresa anche quando dopo il giudizio di primo grado sia intervenuto un proscioglimento del reato per prescrizione o per amnistia, in cui chi approva un appalto può essere indagato per un qualsiasi reato a scelta del magistrato, in cui il traffico di influenza ha trasformato buona parte della classe dirigente italiana in un colpevole fino a prova contraria. In un paese in cui succede tutto questo – e che al 23 dicembre del 2020 non ha ancora approvato il bilancio di fine anno in nessuna delle due Camere – è evidente che scegliere il modello Barca, che anche nella gestione del Recovery prevede solo piccoli assestamenti e zero rivoluzioni, significa scegliere di cambiare tutto per non cambiare nulla. Così come è evidente che l’Italia oggi di tutto ha bisogno per dare un futuro ai progetti che verranno finanziati con i fondi europei tranne che fare quello che sembra voler fare oggi: creare corsie preferenziali con piccole manutenzioni non traumatiche, adattandosi semplicemente a quello che c’è. L’Italia oggi ha bisogno di più efficienza e di più Europa. E avere più efficienza e più Europa significa avere meno modello Barca.
 

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