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tra bruxelles e il nazareno

"Sul Recovery solo piccoli ritocchi". E così Gualtieri fa infuriare i parlamentari del Pd

Valerio Valentini

La riunione organizzata da Zingaretti con ministri ed eletti dem. "Non possiamo stravolgere l'impostazione e ricominciare la trattativa con Bruxelles", spiega il titolare dell'Economia. E deputati e senatori insorgono. Ma Franceschini non vuole grane sul governo

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A prendere per buono il resoconto fornito da chi c’era a beneficio degli assenti, è andata grosso modo così: “Gualtieri, che sarebbe  anche un deputato di questo partito, ci ha detto che l’impianto non può essere cambiato se non con ritocchi marginali, e che quindi non dobbiamo rompere le scatole”. Poi si sa, sulle chat di partito ci si lascia spesso prendere la mano. E però è indubbio che i deputati e i senatori del Pd non abbiano affatto gradito la sbrigatività con cui, lunedì pomeriggio, il ministro dell’Economia ha liquidato la faccenda del Recovery plan. Una riunione che doveva testimoniare la volontà del governo, sponda dem, di coinvolgere le truppe parlamentari sul più importante progetto di riforma del paese degli ultimi decenni, e che invece ha finito per alimentare i sospetti di chi crede che tra Montecitorio e Palazzo Madama si potrà discutere ben poco. E così, dopo una accomodante introduzione di Nicola Zingaretti, si è scesi nel dettaglio del Pnrr con gli interventi dei ministri coinvolti.

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A prendere per buono il resoconto fornito da chi c’era a beneficio degli assenti, è andata grosso modo così: “Gualtieri, che sarebbe  anche un deputato di questo partito, ci ha detto che l’impianto non può essere cambiato se non con ritocchi marginali, e che quindi non dobbiamo rompere le scatole”. Poi si sa, sulle chat di partito ci si lascia spesso prendere la mano. E però è indubbio che i deputati e i senatori del Pd non abbiano affatto gradito la sbrigatività con cui, lunedì pomeriggio, il ministro dell’Economia ha liquidato la faccenda del Recovery plan. Una riunione che doveva testimoniare la volontà del governo, sponda dem, di coinvolgere le truppe parlamentari sul più importante progetto di riforma del paese degli ultimi decenni, e che invece ha finito per alimentare i sospetti di chi crede che tra Montecitorio e Palazzo Madama si potrà discutere ben poco. E così, dopo una accomodante introduzione di Nicola Zingaretti, si è scesi nel dettaglio del Pnrr con gli interventi dei ministri coinvolti.

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Enzo Amendola, titolare dei rapporti con l’Ue, ha allora spiegato che sulla governance qualche ritocco andrà fatto, pur senza stravolgere la struttura generale che dovrà comunque prevedere una comitato esecutivo ristretto e agile. “Ma se ne riparla a gennaio, ormai, dopo la legge di Bilancio”, ha proseguito, come a voler tranquillizzare sull’infondatezza di qualsiasi blitz di Palazzo Chigi da attuare col favore delle tenebre. E anche sulla questione sanitaria, Amendola ha provato a placare i malumori del partito. “Perché al di là dei nove miliardi  destinati al settore, ce ne saranno almeno altri sei che proverranno dal capitolo della digitalizzazione e del rinnovo del patrimonio pubblico”. Una cifra in linea, insomma, con gli orientamenti degli altri grandi paesi europei, benché ieri Giuseppe Conte, nel suo incontro riservato con la delegazione di Leu, abbia garantito al ministro Roberto Speranza che sì, le risorse per ospedali e infermieri verranno aumentate: come a dimostrare che un problema  esiste davvero.

 

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Così come esiste, almeno nelle ansie dei parlamentari meridionali del Pd, il tema delle scarse risorse destinate alle infrastrutture da Napoli in giù. Qui il ruolo del pompiere è toccato  a Peppe Provenzano. Il ministro però non è riuscito a convincere fino in fondo uno che, da lucano doc ed ex europarlamentare di spicco come Gianni Pittella, ha titoli per osservare che “l’impianto generale, e il metodo adottato, mi lasciano molto perplesso”. 

 

E poi, appunto, è stata la volta di Gualtieri. Il quale ha parlato di una trattativa con Bruxelles che è stata lunga e faticosa,  e che “sarebbe da irresponsabili rimettere in discussione”. E quindi sì, qualche aggiustamento si potrà fare, spostando qualche miliardo da una voce di spesa all’altra, ma “a saldi invariati e senza grossi stravolgimenti”. Ed è stato qui che qualcuno, tra i parlamentari, è insorto. Qualcuno, s’intende, tra i pochi titolati a parlare con cognizione di causa a cui sia stato concesso di farlo. Perché a quanto pare né ai capigruppo competenti, né al presidente della commissione Affari europei del Senato,  Dario Stefano, è stata data possibilità di replica. “Non è concepibile che ci si riconosca la possibilità di intervenire come se fosse una gentile concessione”, dice Stefano. “Il Parlamento deve essere centrale nella definizione del Recovery, e non solo  per apportare qua e là qualche correzione”

 

Same old story, si dirà: quella dei parlamentari che reclamano più spazio di manovra, e nel farlo se la prendono soprattutto col ministro che per statuto gliela deve limitare, e cioè il titolare dell’Economia. Anche se poi, a chiarire il senso della riunione, lunedì è intervenuto Dario Franceschini, capo delegazione del Pd al governo, che ha concluso i lavori spiegando che, visto il già periclitante equilibrio che c’è, non è  il caso di aggiungere altre tensioni sulla maggioranza e sull’esecutivo. Meglio troncare e sopire. E anche questa, in fondo, per Franceschini è la solita vecchia storia. 

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