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Perché la scissione a Bruxelles rende più facile l'accordo del M5s col Pse

Corrao, Pedicini, Evi e D'Amato abbandonano il Movimento. L'ultima chiamata con Dibba. I rapporti opachi con Casaleggio. E i destini divergenti del M5s, tra i Verdi e i Socialisti. Così il Parlamento europeo rischia di anticipare anche stavolta gli sviluppi caotici del grillismo

Valerio Valentini

Se ne va la componente più barricadera, che guarda ai Verdi. E ora il dialogo dei grillini col Pd, nel Parlamento europeo, è più facile. "Sarà più facile lavorare insieme", dicono i dem

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Chissà se anche stavolta i rivolgimenti brussellesi anticiperanno, com’è accaduto più volte in questi anni, il precipitare degli eventi romani. Sta di fatto che è parere assai diffuso, dentro il M5s, che la scissione appena avvenuta al Parlamento europeo non è l’assestamento finale di una scossa, ma semmai il primordio di un riposizionamento generale. Perché, ora che i quattro oltranzisti euroscettici hanno abbandonato la comitiva cercando asilo tra i Verdi, quelli che restano potranno con più agio bussare alla porta del Pse.

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Chissà se anche stavolta i rivolgimenti brussellesi anticiperanno, com’è accaduto più volte in questi anni, il precipitare degli eventi romani. Sta di fatto che è parere assai diffuso, dentro il M5s, che la scissione appena avvenuta al Parlamento europeo non è l’assestamento finale di una scossa, ma semmai il primordio di un riposizionamento generale. Perché, ora che i quattro oltranzisti euroscettici hanno abbandonato la comitiva cercando asilo tra i Verdi, quelli che restano potranno con più agio bussare alla porta del Pse.

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E infatti Brando Benifei, capodelegazione del Pd a Bruxelles, quando gli si chiede se non sia stato rimosso un ostacolo al dialogo, con la fuoriuscita della componente più esagitata del M5s, si mostra ottimista: “Sicuramente sarà più facile lavorarci insieme, perché avremo più omogeneità nel comportamento di voto”. Tutto ancora in divenire, certo. Perché al momento nessuna proposta ufficiale è stata avanzata:  se ne riparlerà a gennaio. Quando i grillini verranno forse costretti a dissipare la loro perenne ambiguità strategica: la stessa che li ha portati, nel corso di una legislatura e mezza, a imbastire trattative con tutti, pur di uscire dalla Geenna dei “non iscritti” in cui sono relegati, salvo poi ripiombare sempre nel loro isolamento.

 

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Anche con Renew, ad esempio, gli ammiccamenti vanno avanti da tempo, tra un omaggio ai gilet gialli e un ossequio a Emmanuel Macron. “Ma col M5s  non c’è alcun dialogo in corso”, alza le mani l’eurodeputato Sandro Gozi. “Avevamo già affrontato la questione lo scorso anno, stabilendo criteri molto chiari sulla democrazia interna dei movimenti che chiedono di aderire a Renew, sui conflitti d’interesse, sulle posizioni di politica europea e di politica estera. Mi sembra che le distanze restino notevoli”. E insomma se davvero, come sembra, l’unico accoppiamento possibile, per quanto poco giudizioso, sarà  tra il M5s e Pse, allora Bruxelles si dimostrerà di nuovo, come già fu nel luglio del 2019 col voto gillino in favore di Ursula von der Leyen ad anticipare l’alleanza rossogialla e la fine di quella gialloverde, incubatore di sviluppi politici nel caotico universo a cinque stelle. 

 

Che da ieri, al Parlamento europeo, perde la sua componente più integralista. Quella composta da Ignazio Corrao e Piernicola Pedicini, da Eleonora Evi e Rosa D’Amato. Una rottura che s’era già consumata nei mesi, dopo la retromarcia dei quattro nel novembre 2019, quando ritirarono il loro sostegno  alla Commissione, per intestardirsi  nelle loro istanze più radicali. Ottanta voti in dissenso in quasi un anno, e nel frattempo una slabbratura di rapporti anche umani: i viaggi fatti sempre in compagnie separate, chat differenziate, uffici legislativi costretti a lavorare tra sospetti e diffidenze. L’appuntamento degli  Stati generali è stato atteso come si fa con le ricorrenze obbligate: “Prima non potevamo forzare”, dicono loro. Ma all’indomani del congresso generale del M5s di metà novembre, la decisione era già presa. “Di Battista mi ha anche chiamato - confessa il siciliano Ignazio Corrao, che dell’ex deputato è la sentinella più fedele sul fronte brussellese - per invitarmi a restare, ché la battaglia per rifondare il M5s va combattuta dall’interno. Ma per me è ormai impensabile:  restando tra i non iscritti, si continua a buttare via tempo e fatica”.

 

E dunque sembrano determinati, i quattro scissionisti,  a chiudere davvero la trattativa coi Verdi. Che vive, anche questa ormai da anni, di alterne stagioni. La verità è che la componente tedesca del gruppo, che esprime in Ska Keller uno dei due presidenti, è da sempre contraria al dialogo col M5s. Ed era stata infatti una tedesca, Alexandra Geese, a denunciare  le opache relazioni tra il partito e la Casaleggio. “Tutte scuse”, ribattono i grillini scissionisti. “La verità è che eravamo troppo numerosi”. Ecco perché, essendo solo in quattro, gli apolidi sono ora convinti di farcela. Magari sfruttando gli interessi dell’altro presidente dei Verdi, il belga Philippe Lamberts, che proprio dal rimescolamento degli equilibri interni potrebbe guadagnare peso sulla sua parigrado. Alchimie sfuggenti, insomma. Alimentate  da paradossi: perché i quattro scissionisti sono, appunto, i più vicini all’ortodossia di Di Battista e Casaleggio, e la Evi è stata finora la referente europea di Rousseau. E poi c’è la linea economica: quella parasovranista di Pedicini e compagni, critici feroci della Bce, non sembra affatto assimilabile a quella dei Verdi. “Ma magari – sospirano gli ormai ex grillini – ci lasceranno votare in dissenso”. 
 

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