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Al gran ballo delle destre europee

Johnson cambia, Cummings se ne va, Farage trema, Kurz cresce, Salvini annaspa e gli egoismi della destra polacca e ungherese mostrano quanto l’estremismo faccia male all’Europa solidale. Virus e politica: come cambiano le destre nel dopo Trump

Claudio Cerasa

Dominic Cummings, nel 2016, contribuì a portare la Gran Bretagna sulla strada della Brexit scommettendo su uno slogan truffaldino ma efficace: è ora di riprendere il controllo. Quattro anni dopo, con i Cummings fuori dai piedi e i Bannon agli arresti per frode, quello stesso slogan potrebbe diventare la chiave giusta per costruire la destra del futuro: basta complottismo, basta protezionismo, basta nazionalismo, basta combattere la società aperta, è arrivata l’ora di riprendere il controllo sul nostro futuro.

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Ce lo dice la storia di Dominic Cummings. Ce lo dice il cambiamento di Boris Johnson. Ce lo dice lo spaesamento di Nigel Farage. Ce lo dice la trasformazione di Sebastian Kurz. Ce lo dice la caduta di Steve Bannon. Ce lo dice la crisi di Matteo Salvini. Ce lo dice l’imprescindibilità di Angela Merkel. Ce lo dice, a suo modo, anche la scelta fatta ieri da Viktor Orbán, capo del governo ungherese, e Mateusz Morawiecki, capo del governo polacco, che hanno posto il veto sul nuovo bilancio europeo, costringendo l’Europa a sospendere per qualche settimana le trattative sul Recovery fund. Il punto in fondo è tutto lì e tutte queste storie ce lo dimostrano: si può riprendere il controllo delle destre oppure no? Riavvolgiamo il nastro e proviamo a ragionare partendo da qui: il dopo Trump e il futuro dell’Europa.

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Ce lo dice la storia di Dominic Cummings. Ce lo dice il cambiamento di Boris Johnson. Ce lo dice lo spaesamento di Nigel Farage. Ce lo dice la trasformazione di Sebastian Kurz. Ce lo dice la caduta di Steve Bannon. Ce lo dice la crisi di Matteo Salvini. Ce lo dice l’imprescindibilità di Angela Merkel. Ce lo dice, a suo modo, anche la scelta fatta ieri da Viktor Orbán, capo del governo ungherese, e Mateusz Morawiecki, capo del governo polacco, che hanno posto il veto sul nuovo bilancio europeo, costringendo l’Europa a sospendere per qualche settimana le trattative sul Recovery fund. Il punto in fondo è tutto lì e tutte queste storie ce lo dimostrano: si può riprendere il controllo delle destre oppure no? Riavvolgiamo il nastro e proviamo a ragionare partendo da qui: il dopo Trump e il futuro dell’Europa.

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La questione è ovvia. Tra i molti effetti a cascata generati dalla sconfitta di Donald Trump ce n’è uno importante non sufficientemente indagato che riguarda l’effetto generato dalle elezioni americane non tanto sul futuro degli Stati Uniti quanto sul futuro delle destre mondiali. Senza Trump alla Casa Bianca, e complice anche la necessità di creare un rapporto costruttivo al Senato con la presidenza di Joe Biden, il Partito repubblicano americano avrà l’occasione di riprendere il controllo della sua storia e di evitare che il suo progetto di sviluppo futuro possa essere nuovamente costruito facendo leva sul complottismo, sul protezionismo, sul nazionalismo e sulla contrapposizione sistematica ai valori non negoziabili della società aperta.

 

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Ma senza Trump alla Casa Bianca, tra i partiti di destra che avranno la possibilità di riprendere finalmente il controllo della propria storia ce ne sono altri che si trovano lontano dall’America, e in particolare in Europa, e che stanno in qualche modo sperimentando quello che nei prossimi mesi potrebbe sperimentare il Partito repubblicano americano: prendere atto della sconfitta del trumpismo e pensare al futuro.

 

E se si ha per un istante la forza di allontanare la nostra inquadratura dal bollettino quotidiano dei contagi si noterà, senza fare troppa fatica, che le trasformazioni più affascinanti presenti nel panorama politico attuale sono quelle che in tutta Europa riguardano i partiti di destra, costretti come non mai a scegliere finalmente da che parte stare.

 

La storia di Dominic Cummings e delle sue dimissioni da consigliere principe di Boris Johnson non è solo la storia del volto simbolo della Brexit che sceglie di fare un passo di lato. Ma è anche la storia della rinuncia, da parte di Johnson, a uno dei volti della politica inglese più identificabili con la dottrina degli “alternative facts” (durante la campagna elettorale per la Brexit, il comitato elettorale per uscire dall’Unione europea, guidato da Cummings, si fece conoscere per pubblicizzare quotidianamente su Facebook video ritagliati da interventi televisivi spesso presi fuori contesto). E’ difficile dire se il passo indietro di Cummings, miscelato al passo di lato di Trump, unito allo spaesamento di Farage (Farage alle elezioni del 2019 si è presentato alla guida di un partito chiamato Brexit Party e ora dice che l’arrivo di Biden è una cattiva notizia per la Brexit) saranno ingredienti utili a evitare che entro la fine dell’anno la Gran Bretagna lasci l’Unione europea senza un accordo (no deal). Ma è difficile non riconoscere che, per quanto sia difficile fidarsi delle svolte di Boris Johnson, in Inghilterra il primo ministro da mesi ha scelto di cambiare passo. E in attesa di capire se lo farà anche sul tema del deal o no deal si può dire che Johnson abbia scelto di sfidare il fronte più complottista del suo partito sul tema della lotta contro il Covid. Nella fase 1, prima di essere contagiato, Johnson interpretò alla perfezione il pensiero trumpiano, un passo prima del negazionismo, e invitò il suo paese a rassegnarsi all’immunità di gregge.

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Oggi, a sette mesi dall’inizio della pandemia, Johnson è diventato uno dei politici europei più severi nell’affrontare il virus, è stato uno dei primi a imporre una nuova misura di lockdown nel suo paese e da settimane, per questa ragione, si trova sotto accusa nel suo partito, dove diversi esponenti di primo piano dei Tory lo accusano praticamente ogni giorno di essere un traditore delle libertà (l’ex ministro Esther McVey, dei Tory, in Parlamento ha votato contro la chiusura imposta da BoJo).

 

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Una traiettoria simile è in fondo quella che ha imboccato un altro primo ministro di destra, ovvero Sebastian Kurz, che dopo aver giocato a fare il piccolo Trump nella prima fase della pandemia – pur essendo stato un simbolo a suo modo della lotta contro l’estremismo di destra: Kurz governava con i cugini di Salvini in Austria, ha fatto cadere il governo per cercare una nuova maggioranza meno estremista, ha rivinto le elezioni e oggi governa insieme ai Verdi – ha scelto di non scherzare più durante la seconda ondata, decidendo di adottare misure molto dure. Il tutto poi nelle stesse ore in cui Kurz si trovava a fare i conti, senza farsi prendere dal panico e senza scadere nella demagogia, con l’arrivo del terrorismo islamista nel suo paese.

 

La destra europea, a piccoli passi, tenta dunque di ritrovare se stessa, tenta di mettersi sulla scia di Angela Merkel – il suo mandato scadrà nell’autunno del 2021 e, anche se  ha detto che non si ricandiderà, sono molti in Europa i politici di primo piano disposti a scommettere che alla fine la cancelliera potrebbe provare a correre per il quinto mandato – e tenta in altre parole di lasciarsi alle spalle la stagione del nazionalismo populista, cosa che in modo goffo e confuso sta provando a fare anche la destra italiana, pur essendo guidata dal principe europeo del nazionalismo populista.

 

Ma in fondo l’assedio quotidiano a Salvini questo ci dice: superare il salvinismo. Da una parte c’è Giorgia Meloni che vuole provare a dimostrare come l’unica destra che abbia senso sia quella che l’Europa, piuttosto che combatterla, prova a cambiarla. Dall’altra parte c’è Silvio Berlusconi (e anche Giancarlo Giorgetti) che vuole provare a dimostrare come l’unica destra che non abbia senso sia proprio quella salviniana, che l’Europa piuttosto che rafforzarla la vuole semplicemente indebolire.

 

E in questo quadro in movimento, in questo quadro di cambiamenti, in questo quadro di rivoluzioni, la scelta compiuta ieri dal primo ministro ungherese Viktor Orbán (il cui partito in Europa fa parte del Ppe) e dal suo omologo polacco Mateusz Morawiecki (il cui partito in Europa fa parte del gruppo guidato da Giorgia Meloni: Ecr) è una scelta destinata a mettere in evidenza i due volti della destra europea: chi tifa per una destra che prova a riprendere il controllo della sua storia e che sceglie di trasformare l’interesse collettivo in un valore aggiunto della democrazia; e chi sceglie una destra illiberale e nazionalista interessata a rincorrere i fantasmi del passato e incapace di fare i conti con il futuro dell’Europa.

 

Dominic Cummings, nel 2016, contribuì a portare la Gran Bretagna sulla strada della Brexit scommettendo su uno slogan truffaldino ma efficace: è ora di riprendere il controllo. Quattro anni dopo, con i Cummings fuori dai piedi e i Bannon agli arresti per frode, quello stesso slogan potrebbe diventare la chiave giusta per costruire la destra del futuro: basta complottismo, basta protezionismo, basta nazionalismo, basta combattere la società aperta, è arrivata l’ora di riprendere il controllo sul nostro futuro.
 

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