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Zinga, il Cav., e le complicate manovre politiche intorno alla legge di Bilancio

Il Cdm approva (di nuovo) la manovra. E intanto partono i tentativi di larghe intese. Con un dubbio: ma alla fine, Forza Italia voterà la fiducia al governo? L'incognita del doppio relatore e quella dell'esercizio provvisorio

Valerio Valentini

La Castelli corteggia i deputati di Forza Italia, mentre D'Incà lancia un sondaggio interno tra i grillini: "Riusciamo a fare un accordo con Berlusconi?". Il patto tra il segretario del Pd e il leazer azzurro che preoccupa Conte 

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Quelli tra gli azzurri che nell’accordo non tanto ci credono, e che forse neppure ci sperano, subito ti dicono: “Senti Brunetta”. Nel senso che se perfino lui – lui che della redazione condivisa della legge di Bilancio è stato il primo e più convinto teorico – è perplesso, allora vuol dire che anche stavolta non se ne farà nulla. E Renato Brunetta, in effetti, ci va coi piedi di piombo: “E’ tutto nelle mani del governo: se vogliono coinvolgerci, noi saremo pronti ad ascoltarli. Purché il coinvolgimento sia reale. Il punto è che una maggioranza, se è forte, fa accordi anche col diavolo, per il bene del paese”. E questa, di maggioranza, è forte abbastanza per fare un accordo con chi, agli occhi dei grillini, se non è il diavolo ci assomiglia parecchio? “Qualsiasi pregiudiziale contro il Cav. è bene che venga deposta”, sentenzia Giorgio Mulè. “Questa è davvero l’ultima possibilità di dialogo”. E però anche lui, scettico tra gli scettici, venerdì scorso ha seguito la direttiva di Berlusconi, diramata da Antonio Tajani durante una riunione tra i responsabili dei dipartimenti di FI: e dunque l’elenco di misure che gli azzurri annunceranno mercoledì alla Camera non verrà presentato, secondo quanto s’era inizialmente pensato, come una “contromanovra”, ma più semplicemente come “le nostre proposte per la manovra”.

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Quelli tra gli azzurri che nell’accordo non tanto ci credono, e che forse neppure ci sperano, subito ti dicono: “Senti Brunetta”. Nel senso che se perfino lui – lui che della redazione condivisa della legge di Bilancio è stato il primo e più convinto teorico – è perplesso, allora vuol dire che anche stavolta non se ne farà nulla. E Renato Brunetta, in effetti, ci va coi piedi di piombo: “E’ tutto nelle mani del governo: se vogliono coinvolgerci, noi saremo pronti ad ascoltarli. Purché il coinvolgimento sia reale. Il punto è che una maggioranza, se è forte, fa accordi anche col diavolo, per il bene del paese”. E questa, di maggioranza, è forte abbastanza per fare un accordo con chi, agli occhi dei grillini, se non è il diavolo ci assomiglia parecchio? “Qualsiasi pregiudiziale contro il Cav. è bene che venga deposta”, sentenzia Giorgio Mulè. “Questa è davvero l’ultima possibilità di dialogo”. E però anche lui, scettico tra gli scettici, venerdì scorso ha seguito la direttiva di Berlusconi, diramata da Antonio Tajani durante una riunione tra i responsabili dei dipartimenti di FI: e dunque l’elenco di misure che gli azzurri annunceranno mercoledì alla Camera non verrà presentato, secondo quanto s’era inizialmente pensato, come una “contromanovra”, ma più semplicemente come “le nostre proposte per la manovra”.

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Segno che insomma stavolta il Cav., seguendo i consigli di Gianni Letta, nella possibilità di inaugurare una stagione di non belligeranza col governo ci crede davvero. E non è l’unico, in effetti, se è vero che, mentre Vito Crimi esclude qualsiasi dialogo con le opposizioni sulla manovra, venerdì scorso la viceministra grillina, Laura Castelli, d’intesa con Luigi Di Maio, s’è attaccata al telefono e ha contattato i deputati di FI in commissione Bilancio della Camera, quella che mercoledì dovrebbe iniziare l’esame di una manovra licenziata ieri dal Cdm e in attesa della bollinatura della Ragioneria dello stato, e per ognuno di quei deputati ha avuto una parola di garbo, di gentilezza. Non che basti questo, certo, a garantire  la tenuta dei cinque stelle. 

 

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Lo sa bene il ministro Federico D’Incà, che ha avviato un sondaggio interno, per capire “se reggiamo a un patto con FI”. E su quattordici commissioni sondate, in sette hanno detto che si può, in sette si sono opposte. Ma non è solo il puntiglio del M5s, a rendere complicato l’accordo. C’è che forse, proprio perché stavolta l’operazione è concreta (e del resto Nicola Zingaretti da un lato, e il Cav. dall’altro, sull’iniziativa c’hanno messo la faccia), toglie il sonno a molti. Lo toglie a Salvini e a Meloni, anzitutto. Che, pur dietro una fermezza di facciata (“Intanto è tutto da vedere che un eventuale relatore di centrodestra andrebbe per forza a FI, e se anche fosse a quel punto noi presenteremmo la flat tax e vediamo il Cav. cosa fa”, dicono dalle loro parti), in verità temono di restare col cerino dell’opposizione dura e pura in mano.

 

E lo toglie agli stessi parlamentari di FI. Quelli più vicini alla Lega, infatti, denunciano il rischio di “intestarci anche noi una manovra fallimentare”. Quelli che dal giogo sovranista vorrebbero staccarsi, sanno che bisogna farlo per gradi, e invece questa legge di Bilancio, già in ritardo di un mese, impone una marcia a tappe forzate (appena quattro giorni per le audizioni, la nomina dei relatori martedì prossimo, un esame rapidissimo degli emendamenti a Montecitorio e un passaggio solo formale a Palazzo Madama, nel frattempo un nuovo scostamento da approvare a fine novembre e il tutto con lo spettro dell’esercizio provvisorio incombente su ogni tatticismo), che rende  complicato ipotizzare quel che Brunetta, e con lui il Cav., auspica: “Una scrittura comune, con relatori paritari e una uguale potestà emendativa”.

 

Insomma una condivisione reale. Col passaggio finale che poi sarebbe anche il più delicato. Perché la manovra verrà approvata col voto di fiducia, a lì che fa FI? “Se il percorso lo si fa insieme, lo si fa insieme fino in fondo”, dicono nel Pd. Ma a quel punto – a meno di ipotizzare quel che la Castelli ha prospettato ad alcuni forzisti, e cioè che “sulla fiducia potreste anche astenervi” – il passaggio di FI in maggioranza diventerebbe un dato di fatto. Preludio di quel rimpasto di governo a inizio 2021 che ancora ieri il dem Goffredo Bettini è tornato a invocare. Il che spiega perché, tra quelli a cui le convergenze sulla legge di Bilancio provocano foschi pensieri, c’è pure Giuseppe Conte. Ché coi rimpasti si sa come si comincia, e non si sa mai come si finisce. 

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