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Proporzionale e poi accordo in Parlamento: vuoi mettere?

Osservare lo show democratico americano e rivalutare il sistema politico italiano

L’imperfetto sistema italiano è riuscito a garantire una maggiore stabilità rispetto ai perfettissimi sistemi anglosassoni svuotando gli estremismi con un’efficienza nemmeno lontanamente paragonabile ai modelli inglesi e americani

Claudio Cerasa

Ora che le democrazie più importanti del mondo si ritrovano da qualche tempo a districarsi nei propri hung parliament, viene quasi naturale la tentazione di rivalutare largamente l’inefficientissimo sistema politico dell'Italia

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Proporzionale e poi accordo in Parlamento, ma vuoi mettere? Il nostro amico Giuseppe De Filippi, osservatore cinico e geniale, nei minuti più concitati dello spoglio americano – poco prima che, tra schede misteriosamente sparite in Arizona, seggi in Wisconsin bloccati per carenza di inchiostro, decrittazione dei voti postali più farraginosa della lettura dei voti degli italiani all’estero, Donald Trump e Joe Biden annunciassero con solennità anche se con toni istituzionali differenti la propria imminente vittoria a scrutinio ancora in corso – ha commentato con questo tweet giocoso il caos delle elezioni americane. E ha contribuito a far accendere ad alcuni di noi una piccola lampadina riassumibile con una considerazione che suona grosso modo così: è possibile oppure no rivalutare l’inefficiente sistema politico italiano dopo aver osservato in questi giorni lo spettacolo della democrazia americana?

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Proporzionale e poi accordo in Parlamento, ma vuoi mettere? Il nostro amico Giuseppe De Filippi, osservatore cinico e geniale, nei minuti più concitati dello spoglio americano – poco prima che, tra schede misteriosamente sparite in Arizona, seggi in Wisconsin bloccati per carenza di inchiostro, decrittazione dei voti postali più farraginosa della lettura dei voti degli italiani all’estero, Donald Trump e Joe Biden annunciassero con solennità anche se con toni istituzionali differenti la propria imminente vittoria a scrutinio ancora in corso – ha commentato con questo tweet giocoso il caos delle elezioni americane. E ha contribuito a far accendere ad alcuni di noi una piccola lampadina riassumibile con una considerazione che suona grosso modo così: è possibile oppure no rivalutare l’inefficiente sistema politico italiano dopo aver osservato in questi giorni lo spettacolo della democrazia americana?

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La risposta a questa domanda retorica è ovviamente no, se si pensa alla bellezza imperfetta dei sistemi maggioritari che, ovviamente, favoriscono l’alternanza, non alimentano la frammentazione, consentono il bipartitismo e offrono a chi vince le elezioni la possibilità di governare senza dover fare troppo i conti con le geometrie dei nanetti parlamentari.

 

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La risposta a questa domanda assume però una forma diversa se la si contestualizza all’interno di uno scenario come quello attuale, all’interno del quale l’imperfettissimo sistema politico italiano ha miracolosamente dato prova in questi mesi di sapere prosciugare gli estremismi meglio dei perfettissimi sistemi anglosassoni.

 

La Gran Bretagna, grazie ai suoi deliziosi e perfetti ingranaggi politici, da quattro anni combatte con l’esito di un referendum che in Italia sarebbe stato probabilmente evitato grazie all’aiuto di una qualunque pattuglia di improvvisati parlamentari responsabili. In America, dopo quattro anni osceni di trumpismo, Trump è probabilmente fuori di scena, ma l’oscenità di Trump è arrivata a un soffio da una riconferma che sarebbe stata molto più difficile se l’America fosse stata una democrazia imperfetta, abituata cioè come in Italia a scegliere il capo del governo più tra i banchi del Parlamento che tra le leadership di partito. Certo. Nessun paese al mondo probabilmente esporterebbe il pazzo sistema italiano – anche se il prossimo presidente degli Stati Uniti, dovendo fare i conti con l’ingovernabilità di una delle due camere, potrà agilmente prendere lezioni di buon consociativismo dal nostro Parlamento. Ma nessun paese al mondo può negare che, in una stagione come quella che stiamo vivendo oggi in cui non è raro imbattersi in una qualche forma popolare di estremismo politico, l’imperfetto sistema italiano, con un capo del governo non eletto direttamente dal popolo e una Corte costituzionale impermeabile alle stagioni politiche, è riuscito, come d’altronde è capitato anche a un altro sistema parlamentare come quello tedesco, a garantire una maggiore stabilità rispetto ai perfettissimi sistemi anglosassoni ed è incredibilmente riuscito a svuotare gli estremismi con un’efficienza nemmeno lontanamente paragonabile a quei sistemi politici.

 

Negli ultimi tre anni, in piena epoca trumpiana, il populismo in Italia ha provato ad avvicinarsi al potere in diverse occasioni. Ma una volta arrivato nella stanza dei bottoni – prima con Salvini, che si è fatto fuori da solo con un mojito, e poi con il M5s, che per non perdere i magnifici privilegi parlamentari acquisiti, contro cui aveva lottato per anni, ha rinnegato buona parte della sua storia pur di poter restare a mollo nella vasca dei privilegi della casta – l’estremismo si è regolarmente ritrovato con le ossa rotte senza aver avuto neppure bisogno di ripassare dalle elezioni. E ora che le democrazie più importanti del mondo si ritrovano da qualche tempo a questa parte a districarsi sempre più spesso nei propri hung parliament, cercando disperatamente alcuni trasformisti in grado di garantire i numeri per governare alle democrazie stesse, viene quasi naturale la tentazione pazza e del tutto irrazionale di osservare lo spettacolo democratico americano e di rivalutare largamente l’inefficientissimo sistema politico italiano. Proporzionale e poi accordo in Parlamento, ma vuoi mettere?

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