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Il governo tenta la carta delle zone rosse locali per evitare il lockdown

Valerio Valentini

Restrizioni differenziate, con chiusure a geometrie e tempistiche variabili. L’ultima (difficile) carta del ministro Speranza. Le resistenze di Sala, che però cede sotto i numeri dei contagi nella sua Milano. "Le operazioni chirurgiche sono le uniche alternative ormai", ci dice Cirio, presidente del Piemonte

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Uno studio specifico ancora non c’è. E però, se anche l’idea non è mai precipitata in un progetto vero e proprio, è perché a chi doveva tradurre quella suggestione in un piano operativo, l’impresa è parsa subito ardua. Chiudere Milano e Napoli: hai detto niente. E però, sia pure senza grandi entusiasmi, sia pure tra molte premure, alla fine l’ipotesi sembra imporsi: “E’ l’unica soluzione, per quanto ardua, per evitare un lockdown generalizzato”, dice Alberto Cirio, presidente di quel Piemonte che nella settimana tra il 19 e il 25 ottobre ha fatto registrare un Rt superiore a 2, il più alto di tutte le regioni, e finendo insomma nel girone degli osservati speciali. 

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Uno studio specifico ancora non c’è. E però, se anche l’idea non è mai precipitata in un progetto vero e proprio, è perché a chi doveva tradurre quella suggestione in un piano operativo, l’impresa è parsa subito ardua. Chiudere Milano e Napoli: hai detto niente. E però, sia pure senza grandi entusiasmi, sia pure tra molte premure, alla fine l’ipotesi sembra imporsi: “E’ l’unica soluzione, per quanto ardua, per evitare un lockdown generalizzato”, dice Alberto Cirio, presidente di quel Piemonte che nella settimana tra il 19 e il 25 ottobre ha fatto registrare un Rt superiore a 2, il più alto di tutte le regioni, e finendo insomma nel girone degli osservati speciali. 

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Le resistenze sono tante, ovviamente. E non solo di carattere politico. Dicono ad esempio che Agostino Miozzo, coordinatore del Cts le cui sfuriate contro il titolo V  sono ormai famigerate nei Palazzi romani, con quel pragmatismo un poco rude tipico dei veneti abbia subito scosso la testa: “Chiudere interi capoluoghi, o magari singole regioni? Sarebbe quasi più facile fare il lockdown nazionale”. Che però è proprio quello che Roberto Speranza vuole provare a evitare, fino all’ultimo. E anche a Palazzo Chigi, l’idea di restrizioni differenziate, di un piano di chiusure a geometrie e tempistiche variabili, è stata a lungo coltivata. Un po’ per scongiurare lo spauracchio della triste riproposizione della sceneggiatura della primavera scorsa; e un po’ perché a Giuseppe Conte non dispiace affatto lasciare che siano  governatori e sindaci a pronunciare quella parola sciagurata. E insomma quando lunedì e martedì scorsi Walter Ricciardi e Giovanni Rezza hanno evocato il precedente positivo di Codogno, quasi suggerendolo come modello da riprodurre su più larga scala, l’ipotesi di una zona rossa per Milano e per Napoli (e non solo) ha preso consistenza. “Per paradossale che sembri – ci dice Pietro Foroni, assessore alla Protezione civile di Attilio Fontana e che il caso di Codogno lo conosce bene, essendoci nato e cresciuto – è quasi più facile controllare le vie d’accesso di Milano, che i sentieri e i campi delle campagne lodigiane”.

 

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Chissà se la pensano così anche al Viminale, dove l’idea di garantire  l’ordine pubblico e l’isolamento  di intere metropoli è una cosa che fa tremare le vene ai polsi. “Difficilmente praticabile”, sussurrano i tecnici di Luciana Lamorgese. Tanto più, poi, che forse neppure i dati del ministero della Salute giustificano una chiusura così differenziata. Perché al 25 ottobre l’Rt nazionale era di 1,7: ma tutte le regioni sono sopra la soglia di guardia dell’1. E pure considerando tutti e 21 i parametri di riferimento, le regioni da considerare a rischio elevato sono 11. E però le strette territoriali vengono comunque viste come un azzardo necessario. L’ultimo da tentare, secondo Speranza, prima di cedere al modello francese varato da  Macron.  “Per difficili che siano, servono interventi selettivi, chirurgici”, ci dice Cirio. “Io ad esempio in Liguria – lo scavalca Giovanni Toti – ho già decretato un coprifuoco per il ponte di Halloween: fino a lunedì si esce solo per necessità, con autocertificazione. Insomma, non bisogna pensare per forza a Codogno, si possono fare cose mirate senza una zona rossa vera e propria”.

 

A Milano, però, è stato Beppe Sala a frenare, nonostante la pressione dei suoi omologhi degli altri capoluoghi di provincia la senta tutta. Del resto i dati sui contagi che al Pirellone girano da qualche ora sembrano legittimare una differenziazione delle misure: perché se Bergamo, tra il 15 e il 28 ottobre, ha registrato una media di 131 positivi su 100 mila abitanti, e Brescia 266, a Monza e nella Brianza ne sono stati riscontrati 571 ogni 100 mila abitanti, a Varese 675 e a Milano addirittura 719. A Palazzo Marino dovrebbe arrivare oggi il report del ministero della Salute sulla Lombardia: sarà la risposta alla  sollecitazione di mercoledì scorso: di quando, cioè, Sala aveva chiesto a Speranza se la proposta del consulente del ministero Ricciardi fosse anche quella del ministero stesso. Per lunedì, poi, i sindaci  dei comuni della cintura sono stati preallertati per una possibile riunione straordinaria. Perché lo scenario di un’applicazione di una zona rossa, sia pure in versione soft, ha senso solo se applicato su tutta la città metropolitana, quella con un Rt di 1,92: questo ripetono nel Cts lombardo, dove il virologo Fabrizio Pregliasco precisa comunque che “quella della zona rossa su Milano resta l’extrema ratio”. Ma fino a mercoledì, quando Conte riferirà in Parlamento sulle misure restrittive prese e magari annuncerà quelle da prendere, di alternative non estreme difficilmente verranno valutate. 

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