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Sulle riforme costituzionali Zinga fa asse con Renzi contro il grillismo

Valerio Valentini

Com'è nata l'idea dello spariglio. Dopo lo stop di Gualtieri sul Mes, il segretario del Pd rilancia sul superamento del bicameralismo. E il leader di Italia viva annuncia una verifica di governo che al Nazareno non dispiace per niente

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Lui che la sua pazienza di Giobbe se l’è vista rimproverare per mesi come nient’altro che indolenza e immobilismo, ora che vorrebbe forzare la mano se la vede trattenere da quegli stessi che lo hanno a lungo spronato ad alzare la voce. Paradossi della politica, certo, che Nicola Zingaretti osserva con malcelato malanimo. “Che freni il M5s  lo metto nel conto, ma  i nostri…”. C’è chi dice che il segretario ce l’abbia col ministro Gualtieri, per la prudenza del governo sul Mes, ma la storia in realtà è più complicata. E così, vedendosi sbarrata la strada verso la resa dei conti sul Fondo salva stati, Zingaretti scarta di lato e rilancia sulle riforme costituzionali.

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Lui che la sua pazienza di Giobbe se l’è vista rimproverare per mesi come nient’altro che indolenza e immobilismo, ora che vorrebbe forzare la mano se la vede trattenere da quegli stessi che lo hanno a lungo spronato ad alzare la voce. Paradossi della politica, certo, che Nicola Zingaretti osserva con malcelato malanimo. “Che freni il M5s  lo metto nel conto, ma  i nostri…”. C’è chi dice che il segretario ce l’abbia col ministro Gualtieri, per la prudenza del governo sul Mes, ma la storia in realtà è più complicata. E così, vedendosi sbarrata la strada verso la resa dei conti sul Fondo salva stati, Zingaretti scarta di lato e rilancia sulle riforme costituzionali.

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Mossa studiata da tempo, in verità. Sin da quando, cioè, nei giorni che hanno preceduto la direzione del 7 settembre con cui il Nazareno ha benedetto il taglio dei parlamentari, Zingaretti ha sentito l’urgenza di sparigliare le carte, di dare un orizzonte riformista  a quel suo Sì che altrimenti sarebbe parso connivente con le  ragioni dell’antipolitica grillina. E allora ha dato mandato al suo vice Orlando di dirigere un lavoro che ha coinvolto anche i senatori Parrini e Pinotti e il deputato Ceccanti. Una proposta, quella annunciata ieri dal segretario, che di fatto armonizza due disegni complementari: quello di Luciano Violante che prospetta l’archiviazione del bicameralismo paritario, e quello di Enzo Cheli che, anche in virtù della riduzione complessiva degli eletti alla Camera e al Senato, dà una inedita centralità all’istituto del Parlamento riunito in seduta comune.

 

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E chissà se sia voluto o meno, ma l’effetto è che ciascuno dei due corni della riforma ammicca verso uno specifico schieramento. “Il superamento del bicameralismo  a noi non può che interessarci,  perché ricalca le istanze  care al Cav.”, dice il deputato di FI Alessandro Cattaneo. “A noi piace l’idea del Parlamento che si riunisce spesso in seduta comune”, argomenta invece Federico Fornaro, capogruppo di Leu, “ma convince  meno la riproposizione di un superamento del bicameralismo che ricorda da vicino la riforma del 2016,  bocciata dagli italiani”. E in quella riabilitazione dei disegni renziani sta anche la freddezza del M5s. Non a caso il grillino Giuseppe Brescia rigetta subito la palla nel campo avversario, dicendo che “prima di affrontare altri argomenti” si può discutere semmai del referendum propositivo, vecchio assillo del grillismo e contro cui il Pd s’oppose, in prima lettura a Montecitorio, ai tempi del governo gialloverde. E forse sta qui, l’incognita legata alla proposta di Zinga, e a questa sua inedita ipercinesia autunnale. Misurare la febbre alle isterie grilline senza avere la certezza, per ora, di potere rimpiazzare le truppe più irrequiete del M5s. “Ora che il Pd è uscito dal cono di presunta subalternità, sarà bene non cedere ai capricci grillini”, dice il dem Enrico Borghi.

 

Matteo Renzi osserva, per ora, sapendo che  il dibattito sulle riforme costituzionali gli eviterà l’impaccio di dover prendere una posizione sulla legge elettorale: “Ne servirà una all’altezza del nuovo assetto istituzionale”, ha  anticipato l’ex premier ai suoi parlamentari, a cui ha annunciato che, sul Mes e non solo, “la settimana prossima chiederemo un incontro di maggioranza”. Perché i nodi da sciogliere sono tanti, “e nel giro di 15 giorni – ha spiegato Renzi – chiederemo una verifica agli alleati di governo”. E non è detto che a Zingaretti dispiaccia, l’idea. Anzi.

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