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l'intervista

"Il rischio di sparpaglio del M5s non sia l'alibi per restare fermi". Parla Andrea Orlando

Il Mes, i dispacci a Conte e Speranza, la legge elettorale e l'identità del Pd. L'appuntamento col Recovery che non si può mancare. Una chiacchierata col vicesegretario dem

Valerio Valentini

Un rimpasto? "Non lo escludo, ma prima cambiamo l'agenda di governo". Il Mes? "Basta tatticismi, serve per ripensare la sanità italiana". Il partito? "Dobbiamo archiviare la stagione neoliberista. E dal proporzionale non si torna indietro". Il colloquio col vicesegretario del Pd

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Non è, dice lui, una questione di fretta. “Qui nessuno ha posto ultimatum, né intendiamo fare esibizioni muscolari per mostrare una centralità che è stata già sancita dal voto delle regionali”. Ma se gli fai notare che, a distanza di una settimana dal responso delle urne, alle richieste avanzate da Zingaretti hanno fatto seguito, da parte di Palazzo Chigi, per lo più attestati di buone intenzioni e parecchie cautele, forse legate alle paure sulla perenne e crescente fibrillazione del M5s, allora Andrea Orlando fa valere le sue ragioni. “Non abbiamo l’ansia d’imporre nulla a nessuno, dato che alla teoria della subalternità culturale al grillismo non abbiamo mai creduto”, dice il vicesegretario del Pd. “Sappiamo che il rischio dello sparpaglio, nel M5s, è reale. E noi, come forza che ha a cuore le sorti del governo, dobbiamo farcene carico. Ma più grande del rischio della crisi dei nostri alleati, è il rischio dell’immobilismo. Le sofferenze interne ai singoli partiti non possono diventare l’alibi per restare fermi. Perché, nei mesi che ci attendono, a dettare tempi e scadenze non saranno i leader di questa o quella forza politica, ma l’Europa”.

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Non è, dice lui, una questione di fretta. “Qui nessuno ha posto ultimatum, né intendiamo fare esibizioni muscolari per mostrare una centralità che è stata già sancita dal voto delle regionali”. Ma se gli fai notare che, a distanza di una settimana dal responso delle urne, alle richieste avanzate da Zingaretti hanno fatto seguito, da parte di Palazzo Chigi, per lo più attestati di buone intenzioni e parecchie cautele, forse legate alle paure sulla perenne e crescente fibrillazione del M5s, allora Andrea Orlando fa valere le sue ragioni. “Non abbiamo l’ansia d’imporre nulla a nessuno, dato che alla teoria della subalternità culturale al grillismo non abbiamo mai creduto”, dice il vicesegretario del Pd. “Sappiamo che il rischio dello sparpaglio, nel M5s, è reale. E noi, come forza che ha a cuore le sorti del governo, dobbiamo farcene carico. Ma più grande del rischio della crisi dei nostri alleati, è il rischio dell’immobilismo. Le sofferenze interne ai singoli partiti non possono diventare l’alibi per restare fermi. Perché, nei mesi che ci attendono, a dettare tempi e scadenze non saranno i leader di questa o quella forza politica, ma l’Europa”.

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Un dispaccio per Giuseppe Conte, un invito ad abbandonare certi tatticismi? “Il Recovery è un appuntamento a cui non possiamo arrivare impreparati, senza cioè aver sciolto dei nodi importanti. Se davvero il 40 per cento o giù di lì dei fondi europei sarà destinato alla transizione verde, credo che anche su questo settore si debba accelerare, ora che il governo ha una maggiore forza sul piano politico”. Eppure “un rafforzamento politico del governo” è proprio ciò che Goffredo Bettini, gran consigliere di Zingaretti, ha appena invocato. E’ così che si chiede il rimpasto? “Un passo per volta. Prima bisogna cambiare l’agenda del governo, poi si faranno altre valutazioni. Non credo che serva necessariamente una parziale modifica della squadra dell’esecutivo, ma non lo escludo neppure”. 

 

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Magari l’incidente ci scappa sul Mes. “Sul Mes non c’è attendismo che tenga. Saranno le regioni, anche quelle di centrodestra, a risolvere la questione. Quando si troveranno a dover far fronte alle spese necessarie per prepararsi a una ricaduta del virus, davanti all’alternativa di ricorrere alla fiscalità generale, si faranno sentire”. Al che viene da chiedere se non sarebbe più ragionevole agire prima che il precipitare degli eventi arrivi a esigere il suo tributo alla serietà. “Io farei forse un ragionamento un po’ eccentrico. E direi, cioè, che l’attivazione del Mes, doverosa, va connessa a una riorganizzazione generale del sistema sanitario, che andrebbe ripensato intorno a due esigenze che il Covid ha evidenziato: una maggiore centralità del pubblico e una maggiore presenza territoriale. Sarebbe paradossale chiedere soldi a Bruxelles per rafforzare la sanità convenzionata”. E’ per questo che continuate a pungolare il ministro Speranza, che pure il suo piano per la sanità lo ha già presentato? “A Speranza chiediamo non solo un atto burocratico, qual è la presentazione di un piano come ogni anno accade. Gli chiediamo di intestarsi una battaglia politica per ristabilire una gestione più coordinata della sanità. E non perché si debba negare alle regioni la loro autonomia in materia, ma per evitare che il Titolo V diventi un alibi per rinunciare a interrogarsi su quale sia il modello di sanità pubblica più virtuoso”. Vuole entrare in conflitto coi leghisti? “Se servisse a definire un nuovo orizzonte per la nostra sanità pubblica, sarebbe un conflitto sano, anche se per la verità il ‘modello veneto’ non è quello lombardo”. 

 

Poi però c’è un’altra opposizione, con cui forse provare a dialogare. “Sul Recovery e sul Mes mi sembra naturale un’interlocuzione con Forza Italia, che del resto in Europa ha condiviso l’impostazione che il nostro governo ha adottato a livello nazionale”. Preludio a una nuova maggioranza? “Un tentativo, anche mediatico, di usare le regionali e il referendum per costruire nuove formule di governo c’è già stato e non è andato a buon fine. Se FI vuole collaborare sulla nuova agenda di governo, ben venga. Mi pare difficile però che ciò possa tradursi in un ingresso formale in maggioranza: non finché, almeno, FI non risolva la sua ambiguità tra l’europeismo che professa a Bruxelles e il sovranismo a cui s’adegua a Roma seguendo Salvini e Meloni”. 

 

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E la legge elettorale? Pensabile un ripensamento verso il maggioritario, dopo gli appelli di tanti padri nobili del centrosinistra? “Appelli autorevoli che però non tengono conto della realtà dei fatti e dei rapporti di forza in Parlamento. Il bipolarismo è esploso nel 2013, e i tentativi di ricrearlo attraverso la legge elettorale mi sembrano velleitari. Una riforma in senso proporzionale, al momento, è irrinunciabile”. E il Pd che ruolo gioca, in questo schema proporzionale? “Il Pd può ritrovare la sua vocazione maggioritaria: che non significa inseguire il 2 per cento che sta alla sua destra o alla sua sinistra, ma riconnettersi con le istanze popolari, farsene carico senza l’assillo di assecondare i suggerimenti dei tanti osservatori che ci consigliano politiche maggioritarie, sì, ma solo nelle Ztl”. Argomenti di cui discutere durante la riflessione collettiva evocata da Zingaretti? “Si vedrà che contorni dare a quell’iniziativa. Ma in quell’evento, nel ragionare sulle nuove prospettive del Pd, io credo che sarà bene chiudere la stagione egemonizzata dall’ideologia neoliberista. Ci arriveremmo buoni ultimi, dopo che perfino Joe Biden, negli Usa, ha costruito una piattaforma lontanissima dalla terza via. Ma meglio tardi che mai”.

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