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Oltre le regionali

Recovery Salvini

All’Italia serve un’opposizione in grado di scommettere più sulla negoziazione e meno sull’indignazione

Claudio Cerasa

Il leader della Lega e il dramma di un’alternativa che in un mondo che cambia è incapace di cambiare se stessa. Stop revanscismo, grazie

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L’estrema complessità della fase politica vissuta in queste ore da Matteo Salvini si può sintetizzare facilmente ponendo una domanda semplice che costituisce il vero paradosso del day after elettorale: ma come diavolo ha fatto il leader della Lega a perdere elezioni che in realtà il centrodestra ha vinto? La risposta a questa domanda (il centrodestra ha mantenuto le regioni in cui governava aggiungendo anche le Marche) non ha a che fare solo con l’aver fissato un’asticella molto alta (“vinceremo 7-0”, diceva Salvini) ma ha a che fare con una serie di problemi che meritano di essere analizzati per quello che sono. Il primo problema è legato al fatto che il centrodestra che cresce in Italia non è più riconducibile direttamente a Salvini – cresce la lista di Zaia, non la lista della Lega; cresce la lista di Toti, non la lista della Lega; vince il candidato di Meloni, non il candidato di Salvini.

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L’estrema complessità della fase politica vissuta in queste ore da Matteo Salvini si può sintetizzare facilmente ponendo una domanda semplice che costituisce il vero paradosso del day after elettorale: ma come diavolo ha fatto il leader della Lega a perdere elezioni che in realtà il centrodestra ha vinto? La risposta a questa domanda (il centrodestra ha mantenuto le regioni in cui governava aggiungendo anche le Marche) non ha a che fare solo con l’aver fissato un’asticella molto alta (“vinceremo 7-0”, diceva Salvini) ma ha a che fare con una serie di problemi che meritano di essere analizzati per quello che sono. Il primo problema è legato al fatto che il centrodestra che cresce in Italia non è più riconducibile direttamente a Salvini – cresce la lista di Zaia, non la lista della Lega; cresce la lista di Toti, non la lista della Lega; vince il candidato di Meloni, non il candidato di Salvini.

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E come abbiamo già scritto ieri su questo giornale è la seconda volta di seguito che una spallata tentata dall’ex ministro dell’Interno – prima in Emilia-Romagna, ora in Toscana – si trasforma in una lussazione (le spalle di Salvini tra l’altro non se la passano benissimo: durante la campagna elettorale, il leader della Lega ha confessato di essere stato costretto ad assumere alcuni antinfiammatori per tenere a bada il dolore a una spalla causato dai troppi selfie fatti con i suoi sostenitori). Il secondo problema da affrontare è legato al fatto che il modello di Lega con cui si ritrova a fare i conti oggi Salvini è un modello che lui stesso voleva superare – la Lega oggi si chiama “Lega per Salvini premier”, non più Lega nord – e che sta portando la Lega a essere identificata sempre più come un partito territoriale (il nord, dove la Lega spopola) e sempre meno come un partito nazionale (al sud lo sfondamento non è evidentemente riuscito: in Puglia la Lega è arrivata al 9,6 per cento, in Campania è arrivata al 5,6).

E i temi su cui riflettere sono due: alla luce di queste elezioni, siamo proprio sicuri che il federatore del centrodestra risponda al nome di Matteo Salvini e non a quello di Giorgia Meloni? E alla luce di queste elezioni, siamo proprio sicuri che Matteo Salvini sia il migliore interprete nella Lega delle istanze del nord? Accanto a questi due problemi, che riguardano il presente, se ne sommano altri che riguardano il passato.

E se si ha la pazienza di riavvolgere il nastro degli ultimi tredici mesi di salvinismo non si farà fatica a notare che i disastri iniziano a essere incomparabilmente superiori ai successi. Piccolo ripasso for dummies.

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A maggio del 2019, la Lega valeva circa il 34 per cento dei voti, oggi vale circa dieci punti di meno. Ad agosto del 2019, Salvini è il padrone d’Italia e tredici mesi dopo è a malapena il padrone della Lega.

A ottobre del 2019, Salvini prova a riconquistare l’egemonia del centrodestra scommettendo sul sentimento antieuropeista e un anno dopo l’Italia si ritrova con un serbatoio dell’antieuropeismo svuotato anche grazie ai 209 miliardi di euro che arriveranno dall’Europa via Recovery fund.

A dicembre del 2019, Salvini scommette su un referendum capace di riportare l’Italia al maggioritario ma a gennaio la Consulta decreta incostituzionale la sua proposta.

A gennaio, qualche mese prima della decisione del Senato di mandare a processo Salvini sul caso Open Arms, la Cassazione smonta un altro pezzo della retorica trucesca sull’immigrazione, dichiarando illegittimo il provvedimento con cui mesi prima venne arrestata Carola Rackete, in quanto non vi sarebbe stata alcuna azione diversa dall’“adempimento di un dovere”, quello di salvare vite umane in mare.

Poi arriva la pandemia, il mondo cambia, l’Italia cambia, l’Europa cambia, cambia anche il rapporto tra governo e opinione pubblica, cambiano persino le traiettorie imboccate dagli alleati della Lega e l’unico a non essere riuscito a cambiare, in un mondo che cambia, muovendosi come un disco rotto, è sempre e soltanto lui: Matteo Salvini.

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Arrivati a questo punto del nostro ragionamento si potrebbe gigioneggiare sulle ragioni che hanno spinto il salvinismo a ritrovarsi in uno stato di crisi. Ma la verità è che a due anni e passa dalle politiche (2023) l’Italia ha bisogno come il pane di un’opposizione non truce, che sappia archiviare la politica dell’estremismo, che sappia mettere da parte la logica del bullismo, che sappia superare la stagione del revanscismo, che sappia privilegiare la logica della negoziazione a quella dell’indignazione e che sappia rappresentare – anche meglio di Confindustria – l’Italia produttiva. Un’opposizione che, in altre parole, sappia trovare un modo per incalzare come si deve il governo, in una stagione in cui come non mai è in ballo il futuro dell’Italia. Salvini, che negli ultimi giorni, già prima del risultato elettorale, ha disperatamente cercato un modo per cambiare stile, per abbassare i toni, per offrire un’immagine diversa di sé, è di fronte a una scelta: decidere se essere o no, in un mondo che cambia, l’unico incapace di cambiare se stesso. In bocca al lupo.

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