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Le regionali cancellano il sovranismo

Claudio Cerasa

La prima campagna post lockdown ha messo i nazionalismi con le spalle al muro e ha ricordato che le regioni, per crescere, devono inseguire la globalizzazione, non combatterla. Il caso del cibo e i nuovi consumi. Chiacchiere con Pugliese (Conad)

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Ieri mattina abbiamo chiamato al telefono Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, uno dei giganti della grande distribuzione italiana, per provare a capire, assieme a lui, qualcosa di più sul particolare momento economico che sta vivendo il nostro paese. L’Italia, come è evidente, si trova in una situazione di mezzo, stretta tra il grande desiderio di ripartire (l’export a luglio, ha detto ieri l’Istat, è cresciuto del 5,7 per cento, più delle importazioni, cresciute invece del 4,8) e un’inevitabile paura del futuro (i depositi degli italiani, ad agosto, sono aumentati rispetto allo scorso anno di 110 miliardi, con un incremento rispetto a giugno di 17 miliardi). E in questo senso, ci è parso utile stimolare Francesco Pugliese perché chi è abituato a leggere ogni giorno i dati sui consumi della grande distribuzione ha uno sguardo privilegiato su quelli che sono i desideri e le paure degli italiani. La nostra conversazione con Pugliese nasce dunque per sviluppare questa idea, ma si conclude poi sviluppandone un’altra ancora più suggestiva, che in una certa misura c’entra anche con l’altro grande tema politico delle prossime ore il futuro politico delle regionali e il tentativo dei sovranisti di nascondere il sovranismo in campagna elettorale. Che c’entra tutto questo con i consumi? Che c’entra tutto questo con il cibo? Ci arriviamo. “Quello che vedo osservando costantemente i consumi – ci dice Pugliese – è che gli italiani offrono ogni giorno segnali che vanno in una direzione univoca: una gran voglia di tornare alla normalità e una gran paura che la normalità possa essere turbata da qualche altro evento imprevisto. Mi spiego meglio. Durante i mesi più duri abbiamo visto crescere in modo significativo i consumi di alcuni prodotti come la farina di lievito, cresciuta in modo esponenziale nelle settimane in cui il pane lo si preferiva fare in casa piuttosto che andarlo a comprare, mentre ora il consumo di questo prodotto è tornato ai valori del pre lockdown. Lo stesso vale per i prodotti dell’ortofrutta, che fino a qualche settimana fa venivano venduti nelle confezioni incellofanate in modo più consistente rispetto a un anno fa, per paura di acquistare della frutta e della verdura toccate da altri, ma anche questo valore nelle ultime settimane è tornato alla normalità, segno che la grande paura è stata in qualche modo messa alle spalle. Lo stesso vale per le vendite dell’e-commerce. Durante il periodo di maggiore paura, le vendite da remoto, del mondo alimentare, erano aumentate del 200 per cento rispetto all’anno precedente. Oggi siamo intorno a un più 60 per cento rispetto allo scorso anno, la stessa percentuale che avevamo registrato prima del lockdown”.

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Ieri mattina abbiamo chiamato al telefono Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, uno dei giganti della grande distribuzione italiana, per provare a capire, assieme a lui, qualcosa di più sul particolare momento economico che sta vivendo il nostro paese. L’Italia, come è evidente, si trova in una situazione di mezzo, stretta tra il grande desiderio di ripartire (l’export a luglio, ha detto ieri l’Istat, è cresciuto del 5,7 per cento, più delle importazioni, cresciute invece del 4,8) e un’inevitabile paura del futuro (i depositi degli italiani, ad agosto, sono aumentati rispetto allo scorso anno di 110 miliardi, con un incremento rispetto a giugno di 17 miliardi). E in questo senso, ci è parso utile stimolare Francesco Pugliese perché chi è abituato a leggere ogni giorno i dati sui consumi della grande distribuzione ha uno sguardo privilegiato su quelli che sono i desideri e le paure degli italiani. La nostra conversazione con Pugliese nasce dunque per sviluppare questa idea, ma si conclude poi sviluppandone un’altra ancora più suggestiva, che in una certa misura c’entra anche con l’altro grande tema politico delle prossime ore il futuro politico delle regionali e il tentativo dei sovranisti di nascondere il sovranismo in campagna elettorale. Che c’entra tutto questo con i consumi? Che c’entra tutto questo con il cibo? Ci arriviamo. “Quello che vedo osservando costantemente i consumi – ci dice Pugliese – è che gli italiani offrono ogni giorno segnali che vanno in una direzione univoca: una gran voglia di tornare alla normalità e una gran paura che la normalità possa essere turbata da qualche altro evento imprevisto. Mi spiego meglio. Durante i mesi più duri abbiamo visto crescere in modo significativo i consumi di alcuni prodotti come la farina di lievito, cresciuta in modo esponenziale nelle settimane in cui il pane lo si preferiva fare in casa piuttosto che andarlo a comprare, mentre ora il consumo di questo prodotto è tornato ai valori del pre lockdown. Lo stesso vale per i prodotti dell’ortofrutta, che fino a qualche settimana fa venivano venduti nelle confezioni incellofanate in modo più consistente rispetto a un anno fa, per paura di acquistare della frutta e della verdura toccate da altri, ma anche questo valore nelle ultime settimane è tornato alla normalità, segno che la grande paura è stata in qualche modo messa alle spalle. Lo stesso vale per le vendite dell’e-commerce. Durante il periodo di maggiore paura, le vendite da remoto, del mondo alimentare, erano aumentate del 200 per cento rispetto all’anno precedente. Oggi siamo intorno a un più 60 per cento rispetto allo scorso anno, la stessa percentuale che avevamo registrato prima del lockdown”.

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A fianco a questi dati ce ne sono però altri importanti segnalati da Pugliese che indicano accanto a un tentativo di ritorno alla normalità una buona dose di paura del futuro. E quei dati, purtroppo, hanno a che fare con i consumi. “Se prendiamo il totale delle vendite della grande distribuzione e lo mettiamo a raffronto con lo scorso anno, fino alla prima settimana di settembre le vendite del 2020 sono state superiori dello 0,2 in rapporto al 2019. Se si prendono in considerazione invece solo le ultime dodici settimane, il trend diventa negativo e i consumi, complice la tendenza al risparmio, diventano persino inferiori rispetto allo scorso anno. E questo dato, se sommato al fatto che entro novembre ci saranno circa 1,3 milioni di contratti a tempo determinato che scadranno e dovranno essere confermati, ci fa capire quanto l’Italia abbia bisogno di creare fiducia attorno al suo futuro”. Le sofferenze generate dalla convivenza con la pandemia non hanno avuto solo l’effetto di cambiare alcuni tratti dei nostri consumi, ma hanno avuto anche l’effetto di cambiare alcuni tratti delle ideologie di alcuni specifici partiti, che in questa campagna elettorale hanno dovuto fare i conti con una verità non semplice da accettare: l’incompatibilità assoluta del pensiero sovranista con la specifica realtà economica delle regioni. Con la pandemia, come scritto da Maurizio Martina nel bel libro dedicato dall’ex ministro alle guerre alimentari al tempo del virus (Cibo sovrano, Mondadori), abbiamo avuto un assaggio di quello che potrebbe essere il mondo dei porti chiusi e l’assaggio ha prodotto una constatazione unanime: quel mondo non è un granché.

 

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“La pandemia – continua Pugliese – ha dimostrato in modo plastico che il sovranismo alimentare non è possibile e ho l’impressione che tutti si stiano accorgendo che ‘made in Italy’ vuol dire fatto in Italia e che sia sempre più chiaro che compito della classe dirigente non è promuovere sentimenti autarchici, ma promuovere l’efficienza della nostra industria. I clienti ci stanno dicendo che proteggere il made in Italy significa questo: privilegiare le imprese italiane, riconoscere che la forza del nostro paese è legata alla sua capacità di essere un trasformatore dei migliori prodotti che si trovano in giro per il mondo. Non mi piace, poi, legare la difesa del lavoro e dei prodotti italiani al concetto di sovranismo alimentare. Chi associa questi termini dimentica un particolare non da poco. Per esempio, che l’Italia è autosufficiente in poche filiere (pomodoro, uova, pollame, ortofrutta, vino) ed è un simbolo mondiale della produzione di caffè e di cashmere senza avere particolari piantagioni di caffè e senza avere allevamenti di pecore capaci di produrre lana da cashmere. Per esempio, che l’Italia è un simbolo mondiale della produzione della pasta ma con il grano duro prodotto in Italia si copre solo il 40 per cento del fabbisogno delle imprese. Per esempio, che l’Italia è un simbolo mondiale della produzione di olio ma che il fabbisogno di olio di cui l’Italia ha bisogno viene coperto solo parzialmente da olive italiane”.

 

Difendere il chilometro zero e promuovere l’autarchia alimentare significa avere un’idea bizzarra di cosa sia il sistema industriale italiano. “I piccoli esempi che vi ho fatto sono lì a testimoniare una doppia verità: dobbiamo essere aperti ma al tempo stesso favorire le nostre imprese. Una volta conclusa questa campagna elettorale sarà opportuno che chi ci governa costruisca ponti e non alzi muri, anche perché il successo del nostro settore agroalimentare è legato alle esportazioni. In Francia hanno scritto che ci sono due modi per concepire piani di rilancio. Il primo modo è riprodurre esattamente lo stesso sistema, versando miliardi di sovvenzioni, anche nei settori che sappiamo che non potranno operare come prima. Il secondo modo è trasformare il rischio in chance, la crisi in opportunità, investendo prioritariamente nei settori più trainanti, quelli che guideranno l’economia e creeranno i lavori di domani. La scelta giusta per il futuro non dovrebbe essere così difficile, no?”.

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