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Dissociazione Rousseau

La lettera di Casaleggio certifica l’implosione del M5s: basta un clic

"E' tutto finito", dice spesso Max Bugani, che di Davide e Gianroberto fu a lungo il Sancio Panza

Salvatore Merlo

Il figlio di Gianroberto scrive ai deputati del M5s che non pagano la piattaforma: chiudo il servizio. Evapora così, con una lettera (e una pernacchia per risposta), la nenia del “primo partito digitale del mondo”, l’ultimo imbonimento digitale che resisteva al passare del tempo e all’ossidazione del contatto con la realtà

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Per le colpe dei padri spesso soltanto i figli vengono premiati. E fin qui era stato questo il destino di Davide Casaleggio, coccolatissimo erede e rentier di un  Movimento lasciatogli dal papà, che attraverso il notaio gli aveva trasferito la proprietà d’ogni cosa, padrone per statuto. Proprio come ad altri capita  un orologio o un appartamento, magari un dente d’oro, a Davide era toccato un partito, con annessi e connessi. E allora lui governava la truppa, riceveva gli aspiranti, giudicava, puniva e premiava. Poi battezzava la piattaforma Rousseau, dal nome dell’inventore della democrazia diretta, dunque proclamava il grande filosofo come santo protettore del grillismo adattabile.  Quindi annunciava in pompa magna “una nuova stagione della democrazia”, perché “la democrazia diretta è il futuro” e “Rousseau non è una moda passeggera”, ma il superamento Parlamento, niente meno. Cosa resta? “Tutto finito”, dice spesso Max Bugani, che dei due Casaleggio è stato a lungo il Sancio Panza .

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Per le colpe dei padri spesso soltanto i figli vengono premiati. E fin qui era stato questo il destino di Davide Casaleggio, coccolatissimo erede e rentier di un  Movimento lasciatogli dal papà, che attraverso il notaio gli aveva trasferito la proprietà d’ogni cosa, padrone per statuto. Proprio come ad altri capita  un orologio o un appartamento, magari un dente d’oro, a Davide era toccato un partito, con annessi e connessi. E allora lui governava la truppa, riceveva gli aspiranti, giudicava, puniva e premiava. Poi battezzava la piattaforma Rousseau, dal nome dell’inventore della democrazia diretta, dunque proclamava il grande filosofo come santo protettore del grillismo adattabile.  Quindi annunciava in pompa magna “una nuova stagione della democrazia”, perché “la democrazia diretta è il futuro” e “Rousseau non è una moda passeggera”, ma il superamento Parlamento, niente meno. Cosa resta? “Tutto finito”, dice spesso Max Bugani, che dei due Casaleggio è stato a lungo il Sancio Panza .

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A Cesenatico, Davide spiegava il futuro del consorzio umano sotto una tenda a forma di mouse. E circondato dai suoi parlamentari-impiegati, che fingevano di considerarlo un incrocio tra Osho e Steve Jobs,  a metà tra Sai Baba e un guru tibetano, dava vita a cose chiamate  “olimpiadi delle idee”,  “Rousseau CityLab”, “Rousseau Open Academy”, nomi un po’ da discoteca di Cervia o da reality di Maria De Filippi. Così, sempre con l’aria ieratica del genio, aveva modo di riversare sulle colonne dei principali quotidiani italiani periodi scolpiti nella pietra, nelle tavole tavole del Casaleggio, cose tipo: “Per il solo fatto che una persona esiste deve poter bere, respirare, informarsi, spostarsi e collegarsi alla rete”. Oppure: “Abbiamo costruito un modello di partecipazione alla vita politica che è un unicum nel mondo”. E nessuno che mai abbia riso. Insomma, per anni Davide Casaleggio ha detto banalità tali che sarebbe bastato musicarle per farne  canzoni di successo, mentre tutti facevano finta di prenderlo sul serio solo perché temevano e rispettavano l’influenza di questo   ragazzo ingessato   che custodiva le chiavi d’ingresso per il Palazzo del potere: ministeri, nomine, partecipate statali e favori. Dunque gli facevano presentare la piattaforma Rousseau all’Onu, addirittura. E mentre alcuni gli facevano notare che  non funzionava – al punto che durante il lockdown i deputati non riuscivano nemmeno a fare una banalissima  videochiamata – mentre insomma gli veniva detto che la piattaforma faceva acqua da tutte le parti, che sembrava programmata da un bambino di cinque anni e nemmeno tanto sveglio   (indimenticabile  quell’hacker  compassionevole che scrisse a Davide: attento che “davidavi” non è precisamente una password sicura), ecco che lui, Casaleggio Jr., invece otteneva un “ministro per la democrazia diretta”. E sarebbe certamente stata la realizzazione di una distopia orwelliana, se solo non si fosse trattato  invece  della più gioiosa commedia all’italiana, visto che il futuro e il destino della più grande trasformazione istituzionale dopo il passaggio dalla monarchia alla Repubblica, veniva in quei giorni  affidato a… Riccardo Fraccaro. 

Rousseau è stato per anni il giocattolo  di Casaleggio. Oliato, come tutti i meccanismi, ma con i denari pubblici di quei parlamentari peones del M5s, quei poveri vessati che adesso non hanno più intenzione di pagare nulla e hanno infatti  spinto Davide ad abbandonare le pose da genio dell’informatica per assumere quelle dell’esattore: “Alla luce delle gravi inadempienze saremo  costretti a ridurre risorse, strumenti e servizi”. Davide stacca Rousseau al M5s, e lo fa  con lo stesso linguaggio  con il quale l’Enel e l’Acea staccano la luce e l’acqua.  Si dissolve così, nel burocratese più rivelatore, l’ultima illusione, l’ultimo imbroglio, quello della macchina divina che doveva risolvere per sempre i problemi della democrazia. Evapora così, con una lettera (e una pernacchia per risposta), la nenia del “primo partito digitale del mondo”, l’ultimo imbonimento digitale che resisteva al passare del tempo e all’ossidazione del contatto con la realtà. L’ultimo tassello di una trasformazione o forse, chissà, di una dissoluzione.

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Grillo è defilato e governista. Conte è sorprendentemente autonomo. Di Maio, Fico, e Taverna, ormai  pacifici e potenti, badano alla carriera e al loro feudo locale. Persino Crimi (fra i nani ogni tanto infuriano epidemie di elefantiasi) segue una propria orbita. Proprio come  lo scapigliato Dibba, che sogna di raccogliere i cocci del Movimento per rifondarlo. O come Virginia Raggi, che si ricandida senza chiedere il permesso a nessuno. I peones sono in rivolta. Tutti  vogliono il secondo mandato. Adesso si spegne  Rousseau. Il tabù, anche se intoccabile, è pieno di ditate. Ed eccolo allora  Davide, costretto a sventolare  fogli di carta, quelli che attestano la sua eredità: “C’è un contratto di servizio da rispettare”. La casa è mia. Me l’ha lasciata papà. Ma gli inquilini  se ne sono già andati.

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