PUBBLICITÁ

C’è un nuovo bollettino che serve all’Italia

Giuliano Ferrara

Basta politicismi. Da ora in poi occorre siano poste ogni giorno domande su come verranno spesi i miliardi che devono ristrutturare l’Italia, rendendo inevitabili e urgenti vere risposte dettagliate. I nuovi nasi di Cleopatra è meglio evitarli, grazie

PUBBLICITÁ

Tutto è in discussione nella politica italiana, e la si butta in caciara aspettando il varo imminente e completo dei talk-show per compiere l’opera, ma non l’essenziale. Prima delle minuzie, anche prima di dettagli importanti per la vita civile e per la vita quotidiana, si dovrebbero esigere risposte chiare a domande chiare sul Recovery fund. L’Unione europea, la nostra comunità politica e statuale allargata, ha stabilito per la prima volta nella sua storia che immense risorse, sotto forma di prestiti o di trasferimenti diretti, saranno messe a disposizione dei paesi membri secondo un principio di convergenza e di riequilibrio delle economie nazionali, aiutano solidalmente quelle meno forti e pimpanti nella crisi generale che accompagna la pandemia in corso. L’Europa stanzia un bilancio serio, mutualizza in parte il debito per generare nuove risorse, annulla o riduce la polarizzazione tra frugali e spendaccioni, tra nord e sud, e a questa svolta cruciale, che è cosa fatta e con certe regole deve essere attuata a partire dall’anno prossimo, i paesi che ne fanno parte, in specie quelli che godranno maggiormente delle risorse stanziate, devono rispondere approntando piani di investimento e spesa che siano significativi e rispettino il senso della grande svolta nella direzione di un bilancio comune.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Tutto è in discussione nella politica italiana, e la si butta in caciara aspettando il varo imminente e completo dei talk-show per compiere l’opera, ma non l’essenziale. Prima delle minuzie, anche prima di dettagli importanti per la vita civile e per la vita quotidiana, si dovrebbero esigere risposte chiare a domande chiare sul Recovery fund. L’Unione europea, la nostra comunità politica e statuale allargata, ha stabilito per la prima volta nella sua storia che immense risorse, sotto forma di prestiti o di trasferimenti diretti, saranno messe a disposizione dei paesi membri secondo un principio di convergenza e di riequilibrio delle economie nazionali, aiutano solidalmente quelle meno forti e pimpanti nella crisi generale che accompagna la pandemia in corso. L’Europa stanzia un bilancio serio, mutualizza in parte il debito per generare nuove risorse, annulla o riduce la polarizzazione tra frugali e spendaccioni, tra nord e sud, e a questa svolta cruciale, che è cosa fatta e con certe regole deve essere attuata a partire dall’anno prossimo, i paesi che ne fanno parte, in specie quelli che godranno maggiormente delle risorse stanziate, devono rispondere approntando piani di investimento e spesa che siano significativi e rispettino il senso della grande svolta nella direzione di un bilancio comune.

PUBBLICITÁ

 

L’Italia è al centro di tutta la faccenda. L’economia italiana, lavoro infrastrutture produttività formazione innovazione, è quella che fatica di più e che è gravata dall’ingombro debitorio più cospicuo. Al controllo occhiuto dei conti pubblici nel segno del contenimento della spesa, salvo il fatto ovvio che chi prende a prestito deve ripagare e che non è possibile liberarsi dell’impegno con una scrollata di spalle, gravando sulle generazioni future o esponendosi a spedizioni punitive dei mercati finanziari, si sostituisce la presa d’atto che il motore di spinta del riequilibrio e della ripresa è il cosiddetto “debito buono”, investimenti pubblici che devono trasformare riformare e riscattare decenni di imprevidenza e vista corta e deleterio assistenzialismo.

 

PUBBLICITÁ

Ma le domande che contano non vengono fatte. Francia e Germania stanno cominciando a fissare le priorità di quanto si impegnano a fare con quei soldi. L’Austria, per bocca del suo cancelliere Kurz, ci ricorda che questa è la nostra grande occasione e che non si ripeterà. Noi ci disperdiamo in mille rivoli di conflittualità faziosa e di appelli al governo in favore di interessi costituiti da parte delle organizzazioni sociali, ci occupiamo a pieno tempo di cose anche importanti come la scuola o il referendum o i governi regionali a scrutinio elettorale, spesso in chiave politicista e ideologica, però le domande che contano stentano a emergere. Chi sta studiando, dopo Colao e gli stati generali di Villa Pamphilj, la piattaforma di spesa di circa duecento miliardi in arrivo, e che arriveranno davvero e saranno davvero spesi solo a condizione che sia credibile la piattaforma stessa? Quali sono i primi orientamenti in emersione nella fabbrica introvabile del Recovery fund? Non basta dire parole-chiave del nuovo lessico programmatico, green deal o digitale, non è sufficiente all’8 settembre 2020 enunciare vaghe priorità o istituire commissioni sul collegamento dell’Italia continentale con la Sicilia, non basta parlare di bonus per la mobilità, di spesa per le vacanze e altre amenità, non è minimamente appagante il dibattito a base di grevi o meschine simbologie propagandistiche con un’opposizione piuttosto corriva o scalcagnata.

 

Ci vuole altro. Partiti o quel che ne resta, intellettuali e tecnici, giornali, movimenti, specie quelli che si intestano progetti riformistici, società cosiddetta civile, tutti dovrebbero esigere non già il compito bello e fatto, visto che è troppo presto, ma una seria delineazione degli orientamenti, delle alternative proponibili, delle ricerche e ipotesi in cantiere, con il massimo di specificazione, facendo vedere i lineamenti del lavoro futuro in corrispondenza della svolta europea e della montagna inaudita di risorse disponibili, partendo da quanto già fatto nell’ambito del governo, della maggioranza e, se voglia battere un colpo che non sia di grancassa, dell’opposizione o delle opposizioni. Pare che il dottor Rocco Casalino, capo della comunicazione di Palazzo Chigi, abbia un problema alla mandibola (auguri), e non si vorrebbe che quella mandibola diventasse il nuovo naso di Cleopatra, comunque la questione non è di comunicazione bensì di identità programmatica e politica. Lasciando perdere alleanze strategiche e politicismi di piccolo cabotaggio, tutti i giorni d’ora in avanti, come un bollettino della Protezione civile, occorre che siano poste le domande su come si pensa di spendere quei miliardi che devono ristrutturare Italia e Europa, rendendo inevitabili e sempre più urgenti le prime vere e dettagliate risposte. Una democrazia minimamente ordinata, un paese di qualche efficienza politica, funziona così.

PUBBLICITÁ