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manovre ferragostane

Così Guerini vuole togliere spazio a Renzi e Calenda, sabotando il piano di Bettini

Valerio Valentini

L'ansia del ministro, pressato dai suoi, di monopolizzare il riformismo, dentro e fuori il Pd. "Non si ritorna al trattino", dice Romano. Ma nel partito c'è chi prova a rilanciare, chiedendo il congresso 

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Roma. Ci sta che abbia ragione chi adesso prova a ridimensionare il senso dell'operazione. Chi dice, cioè, che Lorenzo Guerini, da buon democristiano old fashioned, col suo Manifesto abbia voluto recuperare un vecchio rito della Prima Repubblica: di quando, da sotto l’ombrellone, i leader politici concedevano le interviste programmatiche in vista degli impegni dell’autunno, prima delle convention della varie correnti a inizio settembre, tra Saint-Vincent e Chianciano. E allora ecco l’intervento ferragostano del ministro della Difesa, ecco in calendario la serie di convegni bisettimanali che Base riformista inaugurerà al rientro dalle vacanze, a Roma, su fisco ed economia. E’ però è fin troppo evidente che non solo da questa nostalgia novecentesca nasce il saggio fogliante di Guerini pubblicato ieri. E lo sanno bene quei suoi colonnelli che da settimane, da mesi, raccolgono con l’aria mesta degli addetti all’ufficio reclami le lamentele dei tanti che protestano contro questo appiattimento del partito sul grillismo. I caroselli di giubilo per il voto su Rousseau e gli annunci di un’alleanza organica col M5s come cosa che ha già avuto compimento hanno fatto il resto.

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Roma. Ci sta che abbia ragione chi adesso prova a ridimensionare il senso dell'operazione. Chi dice, cioè, che Lorenzo Guerini, da buon democristiano old fashioned, col suo Manifesto abbia voluto recuperare un vecchio rito della Prima Repubblica: di quando, da sotto l’ombrellone, i leader politici concedevano le interviste programmatiche in vista degli impegni dell’autunno, prima delle convention della varie correnti a inizio settembre, tra Saint-Vincent e Chianciano. E allora ecco l’intervento ferragostano del ministro della Difesa, ecco in calendario la serie di convegni bisettimanali che Base riformista inaugurerà al rientro dalle vacanze, a Roma, su fisco ed economia. E’ però è fin troppo evidente che non solo da questa nostalgia novecentesca nasce il saggio fogliante di Guerini pubblicato ieri. E lo sanno bene quei suoi colonnelli che da settimane, da mesi, raccolgono con l’aria mesta degli addetti all’ufficio reclami le lamentele dei tanti che protestano contro questo appiattimento del partito sul grillismo. I caroselli di giubilo per il voto su Rousseau e gli annunci di un’alleanza organica col M5s come cosa che ha già avuto compimento hanno fatto il resto.

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Ma in verità, se un accidente ha messo il prurito alle mani di Guerini è stata l’intervista con cui Goffredo Bettini, il 2 agosto scorso, ha detto che a lui “piacerebbe aiutare Renzi e Calenda a costruire un centro riformista del 10 per cento”. E’ lì che il ministro ha sentito puzza di bruciato. “Il rischio è che si torni al trattino, al Pd che rinuncia a rappresentare tutti i riformismi”, dice Andrea Romano. E allora non è un caso se il primo a condannare l’intervento di Guerini sia proprio Calenda. Il quale, di buon mattino, in uno sfogo rivelatore che dimostra come tout se tient, dice che “è meglio Bettini che sostiene a viso aperto l’alleanza col M5s che quelli che ‘mi alleo con Di Maio ma rimango riformista’”. Che è un po’ ribadire, in altra forma, quel che il leader di Azione spiegava due sere fa ai suoi interlocutori in Versilia, e cioè che “il più grande regalo che Zingaretti potesse farmi era proprio aprire all’alleanza organica coi grillini”.

 

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Perché se la saldatura giallorossa si invera, lo spazio al centro si apre: anche così si spiega lo scambio di carinerie tra Calenda e Renzi, il patto di non aggressione che i due hanno stretto telefonicamente qualche giorno fa. “L’auspicio è che l’accordo alla fine si faccia”, ragiona il renziano Roberto Giachetti. “E non solo con Calenda. La forma si troverà ma Iv, azione, più Europa, socialisti verdi, radicali, liberali e tanti altri hanno il dovere di parlarsi e di costruire un’alternativa politica”. Proprio quella, però, che i riformisti del Pd non vogliono “appaltare all’esterno”, come ha ribadito Guerini.

 

Il quale infatti, di fronte alle critiche di Calenda, ieri ai suoi lo ha detto chiaramente: “Prepariamoci, perché tutti quelli che vogliono perseguire il nostro stesso progetto, ma fuori dal Pd, ci attaccheranno”. E forse non solo chi sta “fuori”. Perché in fondo sono tanti i riformisti eterodossi, quelli che intorno alla corrente di Lotti e Guerini gravitano ma senza farne parte, che in queste settimane hanno preso spazio: da Sala a Gori, passando per Marcucci e Nardella. E infatti, guarda caso, questi ultimi due sono stati i primi a rilanciare: apprezzando lo sforzo di Guerini, certo, ma spingendo sulla necessità di aprire la strada al congresso nel 2021. E Tommaso Nannicini, pure lui affine a quest’area, è ancor più malizioso: “Finora Br è stata molto base e niente riformismo. ‪La politica economica del governo Conte, ad esempio, è agli antipodi del discorso di Mario Draghi, osannato da tutti. Ma o si plaude alla prima, o si plaude al secondo. Tertium non datur. A meno che tertium non significhi prenderci tutti per fessi”. Per dire di come la competizione tra riformisti, nel Pd, è bella accesa.

 

Lo capisce anche Zingaretti. Che infatti a sera, dopo una giornata di montagne russe (con tanto di post al veleno di Nicola Oddati, membro della segreteria, tendenza a sinistra spinta, contro gli scettici sull’alleanza organica Pd-M5s), fa un mezzo passo indietro, dicendo che il matrimonio col grillismo non è ancora cosa fatta. Anche perché, guardando alle regionali, non pare che i grillini abbiano gran voglia di nozze.

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