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le regionali di settembre

La corsa sul filo di Renzi in Toscana

Valerio Valentini

Le liste elettorali di Iv dicono che l'esodo dal Pd non c'è stato. La corsa in salita dell'ex premier nel suo feudo, ora conteso da Lotti e Nardella, e una nuova narrazione da inventare: "Anche col 6 per cento saremo decisivi"

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Certe volte anche il ridefinire degli obiettivi in corso d'opera, dà il senso del precipitare degli eventi, la presa sulla realtà dei fatti che scivola, s'allenta, e insomma tocca fare buon viso a cattivo gioco, in quel gioco crudele e spietato che è la politica. "In Toscana puntiamo al dieci per cento", ribadiva Ettore Rosato, luogotenente tra i più fidati di Matteo Renzi, a fine novembre. Quando le regionali sembravano imminenti, e il vento nelle vele di Italia viva, seppur non fausto, sembrava comunque buono: e infatti l'ex premier giocava quasi da king maker, promuovendo quel galantuomo di Eugenio Giani a candidato presidente e però obbligandolo a non presentare una sua lista del presidente, così da agevolare la scalata di Iv. Poi di mezzo c'è stata una pandemia, il riposizionarsi degli schieramenti, lo smottamento di quel terreno fragile su cui il senatore di Scandicci sognava di ricostruire il grande centro, e invece è andata com'è andata, ben al di là dei torti e delle ragioni di ciascuno. E così ora, a chi gli chiede un pronostico, quel fatidico "fissare l'asticella" che sempre anima i divertissement pre elettorali degli editorialisti, Renzi dice che la misura del successo di Italia viva non la darà la doppia cifra, ma l'essere decisivi nella vittoria di Giani. Ché se anche si prendesse il 5 o il 6 per cento, insomma, ma quel 5 o 6 per cento fosse poi determinante nel garantire la vittoria del centrosinistra sull'arrembante Sussanna Ceccardi, si potrebbe sempre dire d'aver vinto.

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Certe volte anche il ridefinire degli obiettivi in corso d'opera, dà il senso del precipitare degli eventi, la presa sulla realtà dei fatti che scivola, s'allenta, e insomma tocca fare buon viso a cattivo gioco, in quel gioco crudele e spietato che è la politica. "In Toscana puntiamo al dieci per cento", ribadiva Ettore Rosato, luogotenente tra i più fidati di Matteo Renzi, a fine novembre. Quando le regionali sembravano imminenti, e il vento nelle vele di Italia viva, seppur non fausto, sembrava comunque buono: e infatti l'ex premier giocava quasi da king maker, promuovendo quel galantuomo di Eugenio Giani a candidato presidente e però obbligandolo a non presentare una sua lista del presidente, così da agevolare la scalata di Iv. Poi di mezzo c'è stata una pandemia, il riposizionarsi degli schieramenti, lo smottamento di quel terreno fragile su cui il senatore di Scandicci sognava di ricostruire il grande centro, e invece è andata com'è andata, ben al di là dei torti e delle ragioni di ciascuno. E così ora, a chi gli chiede un pronostico, quel fatidico "fissare l'asticella" che sempre anima i divertissement pre elettorali degli editorialisti, Renzi dice che la misura del successo di Italia viva non la darà la doppia cifra, ma l'essere decisivi nella vittoria di Giani. Ché se anche si prendesse il 5 o il 6 per cento, insomma, ma quel 5 o 6 per cento fosse poi determinante nel garantire la vittoria del centrosinistra sull'arrembante Sussanna Ceccardi, si potrebbe sempre dire d'aver vinto.

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Questione di narrazione, certo. Ma in Toscana, in quella Toscana che ne ha visto nascere e risplendere l'astro, a quelli che gli vogliono bene stringe un po' il cuore vederlo così, il Renzi, doversi affannare per trovare una scusa, un alibi, per giustificare tutto il trambusto che ha fatto. Al punto che c'è perfino chi dice, e non tra quelli che con lui parlano di rado, che di stare lì a gestire un partito del 3 per cento, a fare l'Alfano o il Casini, Matteo non ne ha punto voglia: piuttosto molla tutto, e tutti, e cerca un incarico di prestigio a livello internazionale, dentro o fuori la politica politicante

 

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Qui dove un tempo era tutto renzismo, ora viene quasi spontaneo – ed è una cosa ingenerosa, da felloni – citare l'Ungaretti del San Martino del Carso. "Di tanti che mi corrispondevano, non è rimasto neppure tanto". E lo si dice non certo affidandosi sui sondaggi più o meno ispirati, più o meno prezzolati, che vengono riportati su questo o su quel giornale. Il senso di spaesamento lo dà semmai l'analisi delle liste elettorali, lo scorrere gli elenchi e constatare quali nomi ci sono, e soprattutto non ci sono, sotto il simbolo di Italia viva. A Firenze, nel suo giardino di casa dove comunque vien accreditato di consenso che oscillano tra l'8 e il 10 per cento, Renzi avrebbe voluto tanto puntare su Massimo Mattei. Renziano prima che il renzismo fosse un fenomeno conosciuto, fedele al presidente della provincia prima e del sindaco poi, quel presidente e poi sindaco che aveva saputo strapparlo alla sinistra fiorentina e se lo portava in palmo di mano come un gioiellino incastonato in una corona di gigli, Mattei è stato assessore alla Mobilità nella giunta Renzi. Poi l'inciampo in una brutta storia di incontri a luci rosse a Palazzo Vecchio, un'inchiesta giudiziaria strillata sui giornali (specie su uno: Repubblica), e insomma Mattei, rinomato imprenditore fiorentino, viene costretto al passo indietro proprio da Renzi. Salta un giro, ne salta un altro: nel frattempo dalla gazzarra giudiziaria esce indenne. Attende che la polvere dell'inchiesta, nel frattempo decaduta a "scandalo" e poi a "caso", si depositi, e in vista delle regionali si scalda a bordo campo. Renzi lo voleva, ma Luca Lotti fa prima di lui e se lo accaparra

 

Ché del resto l'ex ministro dello Sport, al di là delle ruggini col suo vecchio mentore, è impegnato in una guerra silenziosa eppure centrale, nella centralissima Firenze. E siccome sarà uno scontro che lascerà a terra morti e feriti, non ammette alcuna clemenza. Nel capoluogo infatti sta andando in scena la sfida alla successione del re decaduto: e a contendersene le spoglie ci sono i suoi due più fedeli vassalli del tempo che fu. Dario Nardella, sindaco attuale che fa quel che può per affrancarsi dall'ombra del suo precedessore, rivendica il primato: e allora ha chiesto nientemeno che alla sua vicesindaca Cristina Giachi, benvoluta campionessa di preferenze, e all'assessore allo Sport Andra Vannucci, di candidarsi. Significherà affrontare la grana del rimpasto, a settembre, ma evidentemente ne vale la pena. Perché, appunto, Lotti scalpita, e pure lui ha precettato la consigliera comunale Maria Federica Giuliani. Oltre, appunto, a Massimo Mattei

 

Sulla costa, invece, Renzi sperava di arruolare Antonio Mazzeo, già vicesegretario regionale, uscito torto dalle ultime amministrative che hanno visto il suo fortino pisano (suo e del Pd, che lì schierava Andrea Serfogli) cedere sotto l'assalto della destra di Matteo Salvini e di Michele Conti, ma comunque stimato da tanti, non solo sotto la torre pendente. Ma anche lui alla fine ha declinato, trattenuto dall'onnipresente Lotti, costringendo Nicola Danti, eurodeputato fiorentino che s'è preso la briga di fare le liste per Iv, a un supplemento di ricerca. La stessa a cui è stato costretto in Versilia. Perché lì si puntava sul sindaco uscente di Viareggio, quel Giorgio Del Ghingaro che la sua prova di forza l'aveva data cinque anni fa candidandosi da sinistra contro il suo stesso partito, il Pd, e vincendo. Renzi lo ha lusingato, ma niente: alla fine il Pd ha convinto Del Ghingaro a ricandidarsi per le comunali, stavolta con le insegne della casa madre, e Iv ha dovuto ripiegare su Fabrizio Miracolo, avvocato rinomato tra le strade della Versilia, ma con una dote di voti tutta verificare. Nella Lucchesia, invece, il capolista di Iv sarà Alberto Baccini, ex sindaco di Porcari, mentre a Siena tocca all'attuale capogruppo in regione, Stefano Scaramelli.

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Ma alla fine, il vero nome di peso su cui Renzi potrà contare è quello di Stefania Saccardi, fiorentina di Campi Bisenzio, fedelissima dell'ex premier già agli albori della rottamazione, e anche prima, sua vicesindaco a Palazzo Vecchio e poi sua sentinella in regione. Dove, negli ultimi cinque anni, è stata assessore alla Sanità, ritrovandosi a gestire, con maggiore brillantezza di tanti suoi omologhi del nord Italia, lo sconquasso del Covid. Sarà lei a guidare la truppa, e forse per esorcizzare l'ansia di dover fare pronostici difficili da rispettare, per ora si limita a dire che "i conti si faranno alla fine". Vale per tutti.

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