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Taglio dei parlamentari? Anche sì

Claudio Cerasa

Perché la vera sfida posta dal referendum è rendere più efficienti le Camere. Senza regalare ai populisti una battaglia che populista non è

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Tra poco più di un mese, nello stesso giorno in cui si voterà per i candidati governatori di Puglia, Campania, Marche, Liguria, Veneto e Toscana, gli elettori italiani, come sapete, dovranno decidere se confermare o meno la riforma approvata in via definitiva dalle Camere lo scorso 8 ottobre, che ha decretato il taglio di 345 parlamentari a partire dalla prossima legislatura e che porterà ad avere un Senato composto da 200 seggi elettivi (115 in meno) e una Camera composta da 400 deputati (230 in meno). Secondo un certo filone di pensiero che sta maturando in una parte del paese, chiunque scelga di non schierarsi a favore del No starebbe compiendo un atto politico puramente demagogico, destinato inesorabilmente a rafforzare il populismo in Italia. Si possono avere mille legittimi dubbi relativi all’urgenza di tagliare il numero dei parlamentari (e tagliare il numero dei parlamentari mossi dall’idea che i politici siano dei buoni a nulla è effettivamente scemenza colossale) ma i dubbi non dovrebbero far perdere di vista quello che sembra essere il grande equivoco di questo dibattito: regalare ai populisti una battaglia che in realtà populista non è. E non lo è almeno per tre ordini di ragioni. 

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Tra poco più di un mese, nello stesso giorno in cui si voterà per i candidati governatori di Puglia, Campania, Marche, Liguria, Veneto e Toscana, gli elettori italiani, come sapete, dovranno decidere se confermare o meno la riforma approvata in via definitiva dalle Camere lo scorso 8 ottobre, che ha decretato il taglio di 345 parlamentari a partire dalla prossima legislatura e che porterà ad avere un Senato composto da 200 seggi elettivi (115 in meno) e una Camera composta da 400 deputati (230 in meno). Secondo un certo filone di pensiero che sta maturando in una parte del paese, chiunque scelga di non schierarsi a favore del No starebbe compiendo un atto politico puramente demagogico, destinato inesorabilmente a rafforzare il populismo in Italia. Si possono avere mille legittimi dubbi relativi all’urgenza di tagliare il numero dei parlamentari (e tagliare il numero dei parlamentari mossi dall’idea che i politici siano dei buoni a nulla è effettivamente scemenza colossale) ma i dubbi non dovrebbero far perdere di vista quello che sembra essere il grande equivoco di questo dibattito: regalare ai populisti una battaglia che in realtà populista non è. E non lo è almeno per tre ordini di ragioni. 

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La prima ragione è di natura storica. E a dimostrare che il taglio del numero dei parlamentari non coincide affatto con un assassinio del Parlamento e con una lacerazione della Repubblica è proprio il passato recente della nostra Repubblica. In più occasioni, il Parlamento italiano ha cercato di tagliare il numero dei parlamentari (in Italia, a oggi, il numero dei deputati ogni 100 mila abitanti è pari a uno, con la nuova riforma arriverà a 0,7, in Germania già oggi ci sono 0,9 deputati ogni 100 mila abitanti, in Francia lo stesso, nel Regno Unito ce n’è uno ogni 100 mila, in Spagna ci sono 0,8 deputati ogni 100 mila, e l’Italia resterebbe ancorata alla media dei grandi paesi europei) per rendere più efficiente lo stesso Parlamento. E dagli anni 70 a oggi – anni durante i quali ai 900 parlamentari italiani si sono andati a sommare i circa 900 consiglieri regionali – si è cercato in diverse occasioni di trovare un modo per non rendere sovrapponibili le assemblee regionali e quelle nazionali. Nel 1983 ci provò la commissione Bicamerale presieduta dal liberale Aldo Bozzi. Poi nel 1994 ci provò un’altra Bicamerale presieduta da Ciriaco De Mita e Nilde Iotti. Nel 1997 ci provò la bicamerale guidata da Massimo D’Alema. Nel 2007 ci si provò con la famosa “bozza Violante”. Un anno prima ci provò il governo di centrodestra con una riforma costituzionale che come nel 2016 venne bocciata dal referendum. Sono anni che la politica cerca in modo più o meno organico di affrontare questo problema e una volta venute meno le occasioni di affrontare in modo organico la questione non si può biasimare un Parlamento che – seconda ragione da affrontare – prende atto del fatto che in una stagione di riformismo a metà l’unico modo possibile di portare a termine alcune riforme istituzionali è quello di farle con la logica dello spezzatino. Sarebbe stato certamente preferibile tagliare il numero dei parlamentari all’interno di una riforma più ampia ma non essendo possibile oggi questa opzione, un riformismo per così dire con la testa sulle spalle non deve occuparsi di come regalare ai populisti una battaglia che populista non è ma deve occuparsi di come aggiungere a questa riforma degli utili correttivi capaci di aiutare il potere legislativo e il potere esecutivo a essere più efficienti di oggi. La soluzione per rendere il Parlamento più forte non è legata solo alla discussione sulla legge elettorale ma è legata anche a un’altra possibilità a cui in futuro si potrebbe e dovrebbe lavorare ed è quella suggerita negli ultimi mesi dal professor Stefano Ceccanti

 

 

Rendere più efficiente il potere legislativo trasformando di fatto il Senato e la Camera in un’unica assemblea da 600 parlamentari (600 parlamentari poi da dividere in due assemblee) e aumentando le occasioni di voto in seduta comune delle due Aule (per esempio le mozioni di fiducia e di sfiducia così come il testo finale delle leggi sulle quali il governo sceglie di mettere la fiducia). Si possono avere mille legittimi dubbi relativi all’urgenza di tagliare il numero dei parlamentari (e non c’è dubbio che i populisti stiano tentando di trasformare in una battaglia anti casta una battaglia che non nasce come anti casta). Ma regalare al populismo ciò che populista non è somiglia a un modo per accrescere il populismo più che per combatterlo. E se ci si riflette un istante non c'è nulla di più anti populista di una battaglia combattuta in nome non del risparmio ma dell’efficienza della politica.

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