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Il Pd a Roma ha bisogno dei voti del M5s ma non vuole Virginia Raggi

David Allegranti

Smeriglio: “Un accordo con i Cinque stelle alle comunali romane? La loro è una esperienza fallimentare, noi dobbiamo fare una alleanza progressista larga e fare le primarie. E poi c’è il secondo turno...”

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Roma. Il Pd non vuole Virginia Raggi sindaca di Roma, ma ha bisogno dei voti del M5s per battere il centrodestra alle elezioni comunali del 2021. Specie se, come prevedibile, ci sarà un secondo turno con il centrodestra. Non è dunque possibile nessuna alleanza con il M5s al primo turno, come spiega al Foglio l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio: “È una esperienza fallimentare, noi dobbiamo fare una alleanza progressista larga e fare le primarie. E poi c’è il secondo turno”, aggiunge Smeriglio.

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Roma. Il Pd non vuole Virginia Raggi sindaca di Roma, ma ha bisogno dei voti del M5s per battere il centrodestra alle elezioni comunali del 2021. Specie se, come prevedibile, ci sarà un secondo turno con il centrodestra. Non è dunque possibile nessuna alleanza con il M5s al primo turno, come spiega al Foglio l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio: “È una esperienza fallimentare, noi dobbiamo fare una alleanza progressista larga e fare le primarie. E poi c’è il secondo turno”, aggiunge Smeriglio.

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Sarebbe dunque possibile un apparentamento al ballottaggio con i Cinque stelle? “La legge non è quella regionale, dove conta un voto in più. Stiamo dentro un altro schema e abbiamo un avversario aggressivo in comune. Ora per me conta la coalizione progressista, con regole certe e l’apertura delle primarie per le idee e per la leadership da fissare entro la fine dell’anno”, specifica ancora Smeriglio, già braccio destro di Zingaretti in Regione.

  

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Per la prima volta insomma il Pd ammette di avere bisogno dei voti grillini senza però aver bisogno della Raggi. L’indicazione di Smeriglio trova conferma in altri settori del partito di Zingaretti: “Secondo me candidiamo Sassoli e loro candidano la Raggi; poi la Raggi viene segata al primo turno e noi chiediamo agli elettori M5s (non alla Raggi) di votare Sassoli contro i fascisti”, dice un alto dirigente del Pd al Foglio. In questo caso le primarie non si farebbero, perché David Sassoli sarebbe scelto come candidato in assenza di altri competitor all’altezza. Le scelte da fare non sono semplici e il momento è politicamente delicato.

   

Le elezioni comunali romane vengono vissute dal gruppo dirigente del Pd, a partire dallo stesso segretario, con una certa apprensione. D’altronde, Roma e il Lazio sono la base elettorale dello zingarettismo. Senza questo spicchio d’Italia, Zingaretti politicamente non esisterebbe. Non controlla neanche i gruppi parlamentari. La sua constituency è il Lazio. Dunque la battaglia per Roma è campale per il segretario del Pd, che ha il problema di fronteggiare il M5s senza esagerare con i toni, evitando così di far offendere gli elettori grillini che al secondo turno sarebbero chiamati dal centrosinistra a votare per il Pd. L’appello al popolo “contro i fascisti” rischia di essere però appunto depotenziato da una campagna elettorale aggressiva in cui ognuno dà il peggio di sé.

  

Per questo Zingaretti nelle ultime settimane ha provato a separare il Pd dai grillini con attacchi molto duri a Raggi: “La ricandidatura di Virginia Raggi? Per i romani questa non è una notizia, ma una minaccia”, ha riportato il Messaggero in un recente articolo. Il rischio però è di fare una campagna elettorale moscia o finta pur di non far arrabbiare troppo dei potenziali elettori per il ballottaggio, avvantaggiando così il centrodestra, che invece non ha – almeno su questo – limiti sull’aggressività. Ha altri problemi, certo. Se Giorgia Meloni dovesse vincere in Puglia, le sue quotazioni salirebbero ulteriormente e per lei sarebbe più facile fermare le ambizioni di Salvini nella capitale. Ma questa è un’altra storia.

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