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“Le condizionalità diamocele noi”. La ricetta di Monti per non sprecare i fondi Ue

Valerio Valentini

“È l'ultima grande occasione del paese. La crescita non si fa col disavanzo Conte? L'uomo buono per tutte le stagioni”. Parla l’ex premier

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Roma. A vederlo lì, il premier osannato dall’Aula del Senato, Mario Monti si ritrae come chi non ama unirsi al coro della folla. “Per carità, Giuseppe Conte è stato un bravo negoziatore. E ha dimostrato, anche, che forse il periodo di stage di tanti esponenti della nostra giovane classe dirigente può dirsi terminato”. Uno stage? “Un lungo apprendistato, durato due anni, che al nostro paese è costato caro in termini di spread e di perdita di credibilità. Oggi che il populismo ha sbattuto il naso contro la durezza della realtà, sembra quasi impossibile che fino a pochi mesi fa degli esponenti del governo italiano insultassero la cancelliera tedesca e incoraggiassero i gilet gialli”.

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Roma. A vederlo lì, il premier osannato dall’Aula del Senato, Mario Monti si ritrae come chi non ama unirsi al coro della folla. “Per carità, Giuseppe Conte è stato un bravo negoziatore. E ha dimostrato, anche, che forse il periodo di stage di tanti esponenti della nostra giovane classe dirigente può dirsi terminato”. Uno stage? “Un lungo apprendistato, durato due anni, che al nostro paese è costato caro in termini di spread e di perdita di credibilità. Oggi che il populismo ha sbattuto il naso contro la durezza della realtà, sembra quasi impossibile che fino a pochi mesi fa degli esponenti del governo italiano insultassero la cancelliera tedesca e incoraggiassero i gilet gialli”.

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E invece oggi si vantano di aver ricevuto i complimenti della Merkel, smaniano per una foto con Macron. “La leadership franco-tedesca – osserva Monti – è stata in fondo decisiva anche stavolta nell’indicare all’Europa una direzione. E l’Europa, col varo del Recovery fund, ha dimostrato di avere consistenza politica e capacità di reazione. Benché l’accordo raggiunto è di gran lunga peggiorativo rispetto al testo elaborato dalla Commissione: alla fine, per vincere le resistenze, spesso strumentali, dei vari paesi, si è ricorso ai vecchi metodi. Soldi ai governi nazionali, la conferma di quella mostruosità che sono i rebate, tutte risorse sottratte al Green deal, alla ricerca e alla transizione digitale”.

   

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E l’Italia, come ne esce? “Come chi è stata salvata dagli altri, obiettivamente, in virtù di un riconoscimento di sacrificio e di serietà nell’affrontare la pandemia. Ma la Germania, con quello che è di fatto un suo Piano Marshall, ha approfittato dell’occasione per rimettere in quota dei paesi che già stentavano prima del Covid”. Eravamo contributori netti, fino a ieri. Per i prossimi sette anni saremo beneficiari del bilancio Ue: e questo, se magari può far contenti Salvini e la Meloni, dice forse qualcosa del nostro declino. “Scontiamo una mancanza di crescita di lunghissimo periodo. E non c’è dubbio che questa sia la nostra ultima grande occasione di dimostrare credibilità a livello internazionale”.

   

Che fare, allora, di queste ingenti risorse che l’Europa ci metterà a disposizione? “Una modesta proposta, innanzitutto. Visto che se ne parla tanto, anche a sproposito, io dico che è il caso che ce le diamo noi, le condizionalità, per evitare di vedercele imporre da altri. Diamoci noi stessi un vincolo esterno intorno a due punti principali. Il primo dovrebbe essere una convinzione culturale: usciamo dalla concezione idraulica dalla crescita, per cui il pil si genera solo con nuova moneta o con maggiore disavanzo, o magari, dato il momento, grazia ai trasferimenti di risorse da Bruxelles. Investiamo invece sulla scuola e sulla concorrenza, pensiamo a quali interventi possono rendere il nostro mercato del lavoro attrattivo per i nostri giovani più formati e magari anche per gli immigrati più qualificati”.

  

E il secondo vincolo, senatore Monti? “Lo definirei così: dobbiamo uscire dalla logica del consenso politico immediato, una sorta di grande voto di scambio istituzionalizzato in base al quale ci si prova a garantire una rielezione attraverso la scarsa lotta all’evasione, l’assistenzialismo, la spesa corrente anziché quella in investimenti”.

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Significa, ad esempio, abolire quota 100 e rivedere il reddito di cittadinanza? “Quota 100 ha fallito. Bisognerebbe riconoscerlo e agire di conseguenza, senza che ciò implichi necessariamente tornare alla riforma delle pensioni del 2012, ma trovando semmai una soluzione più adeguata. Quanto al reddito di cittadinanza, è servito senz’altro come strumento di lotta alla povertà, ma la fase due, quella delle politiche attive, semplicemente non esiste”. Su cosa puntare, invece? “Sull’istruzione, innanzitutto. Se i tanti, troppi soldi spesi in questa mistificante battaglia per la salvaguardia dell’italianità di Alitalia li avessimo investiti nella scuola e nell’università, oggi staremmo meglio. Molti meno giovani con una laurea e un master fuggirebbero all’estero”.

  

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Alitalia induce a pensare anche ad Autostrade, anche ad Ilva: come giudica questo statalismo di ritorno? “Senza pregiudizi. Ogni avanzamento dello stato nell’economia va valutato nel merito, con pragmatismo. Certo, nel valutarlo non si può prescindere dal giudizio che si dà della classe dirigente pubblica che dovrebbe guidare questo processo. E ognuno, a tal proposito, può maturare i propri convincimenti”. E se pensa a questo governo, si sente rassicurato? “Al governo vorrei ricordare che la sospensione delle norme europee sugli aiuti di stato non durerà ancora a lungo, anche perché da vari stati membri, e anche da molti settori dell’impresa privata, cominciano a giungere vari malumori. D’altronde, è un fatto che chi se ne sta avvantaggiando di più, in questa fase, è proprio la Germania, che di risorse pubbliche da spendere per sostenere la propria economia ne ha più di tutti. Vale anche per il Patto di stabilità: pensare che torni uguale a prima del Covid è sbagliato, ma illudersi che non torni affatto è da ingenui. Dunque iniziamo a pensare fin d’ora a come stimolare una crescita che ci aiuti a ridurre, alla fine della pandemia, il macigno del debito pubblico. L’idea che l’Italia si salva perché è troppo grande per fallire non può durare per sempre”.

  

E più in generale, come valuta questo governo? Avrà bisogno del supporto di altre forze politiche, per vincere la sfida del Recovery? “La maggioranza attuale ha assunto come valore condiviso l’europeismo. E questo è un bene. Ma ci vorrebbe qualche altra acquisizione di principio comune sulla necessità di non affidarsi al solo disavanzo per creare la crescita. Se, su queste basi comuni, la maggioranza dovesse trovare nuove convergenze con altri partiti europeisti e in favore della crescita, ben venga”. E Conte? “Può continuare benissimo a fare il premier. Ha dimostrato di saper gestire senza alcuna preclusione ideologica stagioni molto diverse, tra loro. Talvolta l’indifferenza ai contenuti è un merito, ti permette di sposare visioni politiche tra loro inconciliabili, purché nessuno ti chieda di esprimere qual è la tua, di visione”.

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