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convergenze europeiste

Così i 209 miliardi dell'Ue possono rimescolare maggioranza e opposizione

Valerio Valentini

Il Cav. pretende collaborazione da Conte. La Meloni si smarca da Salvini, che resta isolato. E il M5s va in tilt sul Mes. Una bicamerale con vista Recovery fund

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Roma. A sentirli ragionare adesso, tutti entusiasti mentre in festosa processione s’avviano verso la villa di Malagrotta, per celebrare i settant’anni di Renato Brunetta, sembra che quasi non aspettassero altro. Contenti per il buon risultato di Giuseppe Conte, onorevole Gelmini? “Contenti per l’Italia – precisa la capogruppo azzurra alla Camera – ma solo a metà”. Nel senso che ora che li si è ottenuti sulla carta, quei fondi europei bisogna saperli spendere a dovere. “E per questo chiediamo al premier Giuseppe Conte di farsi valere, di affrancarsi dal giogo assistenzialista e statalista di questa sua coalizione di sinistra, e di accettare la nostra proposta: una Bi-ca-me-ra-le per la scrittura del Recovery plan”.

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Roma. A sentirli ragionare adesso, tutti entusiasti mentre in festosa processione s’avviano verso la villa di Malagrotta, per celebrare i settant’anni di Renato Brunetta, sembra che quasi non aspettassero altro. Contenti per il buon risultato di Giuseppe Conte, onorevole Gelmini? “Contenti per l’Italia – precisa la capogruppo azzurra alla Camera – ma solo a metà”. Nel senso che ora che li si è ottenuti sulla carta, quei fondi europei bisogna saperli spendere a dovere. “E per questo chiediamo al premier Giuseppe Conte di farsi valere, di affrancarsi dal giogo assistenzialista e statalista di questa sua coalizione di sinistra, e di accettare la nostra proposta: una Bi-ca-me-ra-le per la scrittura del Recovery plan”.

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E d’incanto, nel rimbombo di quelle cinque sillabe, le suggestioni e le fantasie dei parlamentari di Forza Italia si rianimano, come un fiore avvizzito che rialza la testa. Del resto, l’indicazione del Cav., in mattinata, è arrivata perentoria (“Bisogna che Conte collabori con le opposizioni”, il che implica anche il ragionamento inverso), proprio mentre Matteo Salvini s’incaponiva nella sua testarda opposizione antieuropeista nel dire che questo “Recovery fund è una fregatura”, lasciando perplessa una buona metà del suo gruppo parlamentare: “Questa strategia ha senso solo se il governo cade. Ma è evidente che questi non cadono”, ragiona un ex ministro del Carroccio. “Così il leader della Lega decide di restare isolato”, dice la Gelmini. La quale, ovviamente, ha notato invece il “riposizionamento tattico della Meloni”. Adolfo Urso, gran tessitore di rapporti internazionali per Fratelli d’Italia, mette subito le mani avanti: “La differenziazione di Giorgia rispetto a Salvini – spiega il senatore rispondendo a telefono da Budapest, dov’è andato a omaggiare il governo di Viktor Orbán – non nasce su calcoli politicistici, ma piuttosto da un sincero spirito nazionalistico: quando il premier è al fronte, noi patrioti lo sosteniamo lealmente. Salvini, evidentemente, fa scelte diverse”. Precisazioni che però non convincono granché quella vecchia volpe di Gianfranco Rotondi: “Qua il punto è un altro, e cioè che la Meloni, riscoprendo una sua vena vagamente europeista, pone le basi per il riavvicinamento con Forza Italia. D’altronde, nel Pdl stava insieme a Berlusconi”.

 

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Chissà. Di certo c’è che, dietro la richiesta di essere coinvolti nella redazione del piano per le riforme da presentare alla Commissione europea, molti parlamentari azzurri coltivano l’ambizione di tornare centrali, nelle trattative di Palazzo. Ed è così che qualche deputato del Pd impegnato a contrattare sul rinnovo delle presidenze di commissione, ieri pomeriggio s’è visto avvicinare da una pattuglia di forzisti: “Ma se anziché decidere ora rimandate a settembre?”. Già prevedendo, magari, una nuova possibile maggioranza allargata – “Un fronte che raccolga gli europeisti di maggioranza e di opposizione”, come l’ha vagheggiata il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci – in cui qualche strapuntino possa spettare anche a FI. E nel frattempo, però, altri deputati, appena fuori da Montecitorio, interpellavano Paolo Emilio Russo come si fa con un oracolo, sperando di carpire da lui, che è ammesso fin dentro il Sancta Sanctorum di Arcore, quali siano le reali intenzioni del Cav: “Allora: entriamo?”, e sentendosi però fulminati: “Non esiste una possibilità su un milione che noi andiamo a sostenere questo governo”.

 

Il che dà insomma il senso di un partito che s’interroga davvero, sul da farsi, e tentenna nel dover trovare la via. Perché certo, “Conte è quel che è, e ora che si sente rafforzato dall’esito del Consiglio europeo sarà ancora più tronfio, pensando magari di venirci a cercare quando sentirà invece il terreno mancargli sotto i piedi”, sbuffa Giorgio Mulè, ricordando come “ancora stiamo aspettando la convocazione a Palazzo Chigi a seguito degli stati generali”; ma è anche vero che il gruzzolone dei 209 miliardi che l’anno prossimo dovrebbe arrivare in Italia, e gli spazi di manovra che ne conseguiranno, è un’occasione troppo ghiotta da lasciarsi sfuggire. Al punto che proprio Brunetta, lui che per primo ha suggerito al Cav. la via della “maggioranza Ursula”, ora si sente forte abbastanza da chiedere con fermezza ciò che per mesi, al premier, ha domandato con cortesia: “Quando, nei prossimi giorni, alle Camere arriverà il voto sullo scostamento, il terzo in pochi mesi, noi voteremo contro. Basta fare regali al presidente del Consiglio, che poi se ne infischia della nostra collaborazione. D’altronde anche Churcill vinse la guerra, e poi perse le elezioni. Non è detto che debba essere Conte a ricevere e utilizzare i fondi del Recovery”. Piuttosto, dice Brunetta, tutti devono farsi una domanda: “Il centrodestra deve prendere atto che fino al 2023 non si andrà a votare, e chiedersi se davvero vuole lasciare nelle mani di questo governo unfit le redini del più grande piano di riforma del paese. E il centrosinistra deve chiedersi se davvero si sente in grado di gestire questa fase così complicata, tenendo in piedi un’alleanza coi grillini. E poi tutti ne trarremo le dovute conseguenze”.

 

Non prima di settembre, però. Un po’ perché sarà in autunno che il voto parlamentare sul Mes offrirà una reale occasione di rimescolamento degli schieramenti, rendendo necessario il soccorso azzurro. “E un po’ perché noi, prima delle regionali del 20 settembre, non possiamo muoverci”, dice Osvaldo Napoli, con sabaudo pragmatismo. Il che, sussurrano nel Pd, dovrebbe anche far capire a Nicola Zingaretti che forzare ora sul proporzionale, rompendo con Matteo Renzi per aprire a Forza Italia, è una mossa intempestiva, “perché i forzisti per ora devono restare sul maggioritario insieme alla Lega, o almeno fingere”. Fino a settembre, appunto. E poi? “E poi chissà. Intanto vediamo se fino a settembre – prosegue Napoli – Di Maio e Zingaretti accetteranno di restare all’ombra di un premier che obiettivamente esce rafforzato da questa partita europea”. Nell’eventualità, però, la Bicamerale è pronta.

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