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I veleni intorno a Conte

Il Pd appoggia Sansa. Ma chi appoggia il Pd?

Valerio Valentini

Il giornalista del Fatto non basta a smuovere il M5s in Puglia e Marche. “Ma così l’alleanza è indigeribile”, dice Margiotta (Pd). Le manovre di Di Maio e Orlando e quei grillini che meditano l'addio

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A volerla vedere con gli occhi dei maliziosi che frequentano i corridoi del Nazareno, verrebbe da sbrigare la faccenda in poche righe, “ché questa – dicono – è una manovra allestita da Orlando per preparare il terreno alla disfatta di Zingaretti”. Malevoli, certo. Arrivare a pensare che il vicesegretario del Pd, che nella sua terra di Liguria è quello che ha dato per settimane le carte al tavolo delle trattative tra grillini e dem, abbia orchestrato la scomposta candidatura di Ferruccio Sansa per generare il caos che prelude alla disfatta, è una teoria che dà semmai la misura delle paranoie che si respirano in Transatlantico. Dove però, in effetti, Ettore Rosato, grand commis di Matteo Renzi, ai colleghi riformisti del Pd, sconcertati quanto lui dalla candidatura del giornalista del Fatto Quotidiano (“Quello che per anni ci ha dato dei crimininali…”), ha detto che l’accordo tra l’ex premier e Zingaretti c’era, siglato in un colloquio telefonico della scorsa settimana, per chiudere sull’ex preside di Ingegneria dell’Università di Genova, Aristide Massardo. “Ma poi Orlando, facendo il blitz su Sansa insieme a un pezzo dei grillini, ha rovinato tutto…”. Chissà.

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A volerla vedere con gli occhi dei maliziosi che frequentano i corridoi del Nazareno, verrebbe da sbrigare la faccenda in poche righe, “ché questa – dicono – è una manovra allestita da Orlando per preparare il terreno alla disfatta di Zingaretti”. Malevoli, certo. Arrivare a pensare che il vicesegretario del Pd, che nella sua terra di Liguria è quello che ha dato per settimane le carte al tavolo delle trattative tra grillini e dem, abbia orchestrato la scomposta candidatura di Ferruccio Sansa per generare il caos che prelude alla disfatta, è una teoria che dà semmai la misura delle paranoie che si respirano in Transatlantico. Dove però, in effetti, Ettore Rosato, grand commis di Matteo Renzi, ai colleghi riformisti del Pd, sconcertati quanto lui dalla candidatura del giornalista del Fatto Quotidiano (“Quello che per anni ci ha dato dei crimininali…”), ha detto che l’accordo tra l’ex premier e Zingaretti c’era, siglato in un colloquio telefonico della scorsa settimana, per chiudere sull’ex preside di Ingegneria dell’Università di Genova, Aristide Massardo. “Ma poi Orlando, facendo il blitz su Sansa insieme a un pezzo dei grillini, ha rovinato tutto…”. Chissà.

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Di certo c’è che l’intesa tribolata raggiunta su Sansa non sembra possa avere l’effetto che la un pezzo del Pd sperava. “Sono sicuro che l’appoggio a un candidato orgogliosamente rivendicato dal M5s, e per di più un giornalista del Fatto, preveda una reciprocità in almeno un’altra regione”, dice Salvatore Margiotta, sottosegretario dem ai Trasporti. “Altrimenti si sancirebbe la norma per cui si sta insieme solo quando si appoggia uno loro candidato. Ci sarà pure uno dei nostri che non sia indigeribile per il M5s. A meno che non si fissi un altro principio: e cioè che per il loro elettorato è impossibile appoggiare un nome del Pd. Ma a quel punto, credo, il tutto diventerebbe davvero indigeribile”. Anche Bruno Astorre, fedelissimo di Dario Franceschini al Senato, lo ribadisce: “Il sostegno del M5s ai nostri candidati nelle Marche e in Puglia è importante per sconfiggere le destre”.

 

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E invece “bloccare le destre non è un programma di governo, né uno slogan con cui convinceremmo ad andare alle urne tanti elettori delusi da Michele Emiliano”, sentenzia Marialuisa Faro, deputata foggiana del M5s da tempo nelle grazie della viceministro Laura Castelli. “E del resto”, aggiunge, “a tenere lontane la destra forse il Pd poteva pensarci prima”. Prima, cioè, che Emiliano inserisse in lista gente sponsorizzata da Pippi Mellone, sindaco di Nardò di destra, appunto, e di destra estrema per giunta, “o gente come Antonio Tutolo, primo cittadino di Lucera che durante il lockdown faceva le sue sceneggiate su Facebook in cui dava dei criminali al premier Conte e a tutti i ministri”, s’indigna la Faro. Descrivendo una trattativa che sembra chiusa, evidentemente, a prescindere dalle ideologie dei singoli. Perché anche Giuseppe Brescia, presidente fichiano della commissione Affari costituzionali alla Camera, grillino d’orientamento più che sinistrorso, ripete che “ad andare col Pd ci snaturiamo, muoriamo”, e che “con Emiliano noi non c’entriamo niente”. E lo ripete con tanta fermezza, Brescia, che un paio di parlamentari pugliesi del M5s che invece nell’utilità di un’alleanza regionale col Pd ci credono, hanno già deciso che nei giorni prossimi abbandoneranno il Movimento.

 


Cosa che, nelle Marche, due consiglieri regionali hanno già fatto, per gli stessi motivi. Gianni Maggi e Romina Pergolesi se ne sono andati quando dall’alto è arrivato il veto sulla loro proposta di votare, attraverso Rousseau, una possibile coalizione col Pd e la sinistra intorno all'ex rettore dell'Università delle Marche, Sauro Longhi. “Nel M5s non vogliono capire che la politica è confronto e contaminazione”, dice Francesca Franquellucci, che il divieto alla contaminazione imposto dai vertici del M5s lo ha sperimentato in corpore vili: quando, nel febbraio scorso, ha deciso di entrare nella giunta del sindaco dem di Pesaro, Matteo Ricci. “Temo ormai che l’accordo, per le regionali, sia impossibile. Ed è un peccato – prosegue – perché qui a Pesaro il laboratorio politico sta funzionando. E da assessore all’Innovazione, in questi mesi, non ho mai dovuto rinnegare i valori in cui credo, che poi sono i valori del M5s che in massima parte il Pd ora sta portando avanti”.

 

E forse è questo, il timore che certi capi del M5s coltivano: scoprire che, nel bene e nel male, non c’è nessuna reale unicità del grillismo, se non nella follia mattoide e populista che lo caratterizza. E poi c’è anche il timore di Di Maio, il più significativo di tutti: suggellare l’accordo tra Pd e M5s a livello locale significa rafforzare Conte, e dunque è meglio sabotarlo. In questo, sempre a voler credere ai maligni, il disegno del ministro degli Esteri potrebbe non essere molto diverso da quello di Orlando. E, horribile dictu, da quello di Matteo Renzi: che già freme per candidare, in Liguria, Elisa Serafini, già assessore del sindaco di Genova Marco Bucci. Tout se tient, per fare in modo che non tenga Conte.

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