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Stato e Autostrade di ipocrisia

Claudio Cerasa

I metodi incivili su Atlantia nascondono alcune opportunità da cogliere: archiviare il modello Alitalia e Ilva e scommettere su uno stato interessato più all’efficienza che alla clientela. Perché la prossima revoca riguarda Conte

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La giornata di ieri è stata segnata da due fatti politici importanti apparentemente opposti. Il primo ha a che fare con la scelta del governo su Autostrade, dove al di là delle chiacchiere e al di là della propaganda, la maggioranza ha trovato una mediazione tra la proposta del M5s (la revoca) e la proposta del Pd (una multa) raggiungendo con metodi discutibili un’intesa spericolata con i proprietari di Autostrade. La mediazione prevede quanto segue: la famiglia Benetton, che possiede l’88 per cento delle quote Aspi attraverso la holding Atlantia, arriverà gradualmente a una soglia compresa tra il 10 e il 12 per cento, cederà buona parte delle sue quote a Cdp (controllata del Tesoro, che dovrebbe arrivare al 51 per cento) e accetterà che Aspi venga prima scorporata da Atlantia e poi quotata in Borsa in modo da rendere possibile un’ulteriore diluizione della presenza della famiglia Benetton in Autostrade.

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La giornata di ieri è stata segnata da due fatti politici importanti apparentemente opposti. Il primo ha a che fare con la scelta del governo su Autostrade, dove al di là delle chiacchiere e al di là della propaganda, la maggioranza ha trovato una mediazione tra la proposta del M5s (la revoca) e la proposta del Pd (una multa) raggiungendo con metodi discutibili un’intesa spericolata con i proprietari di Autostrade. La mediazione prevede quanto segue: la famiglia Benetton, che possiede l’88 per cento delle quote Aspi attraverso la holding Atlantia, arriverà gradualmente a una soglia compresa tra il 10 e il 12 per cento, cederà buona parte delle sue quote a Cdp (controllata del Tesoro, che dovrebbe arrivare al 51 per cento) e accetterà che Aspi venga prima scorporata da Atlantia e poi quotata in Borsa in modo da rendere possibile un’ulteriore diluizione della presenza della famiglia Benetton in Autostrade.

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Un governo che ridefinisce l’assetto proprietario di un’azienda sotto la minaccia del potere politico-statale è un governo che opera con metodi che non favoriscono per così dire la crescita della fiducia nel nostro paese. Ma la mediazione a cui il governo è arrivato presenta comunque alcuni elementi non negativi, ai quali si arriva mettendo in sequenza le diverse posizioni in campo. Il primo elemento ha a che fare con uno scampato pericolo per l’Italia: se ci fosse stata la revoca, lo stato avrebbe pagato agli azionisti di Aspi 7 miliardi di indennizzo e lo stato si sarebbe dovuto sobbarcare una penale pari a 23 miliardi di euro. Il secondo elemento ha a che fare con l’aver messo in campo una soluzione che permette ad Atlantia e ad Aspi di evitare quello che molti osservatori temevano: il fallimento. Ragione per cui ieri Atlantia ha guadagnato il 26 per cento in Borsa (come ha ricordato ieri Mario Seminerio sul suo blog, un fallimento congiunto avrebbe messo a rischio “un totale di oltre 20 miliardi di prestiti e bond, detenuti da banche italiane ed estere, Bce, Bei, e anche piccoli risparmiatori riguardo all’emissione da 750 milioni da essi sottoscritta anni addietro”). La terza questione ha a che fare invece con la formula scelta dal governo per risolvere il contenzioso e per quanto sia un’anomalia avere uno stato contemporaneamente regolatore, vigilante e azionista che disfacendo le quote azionarie dei privati non fa nulla per attrarre in Italia investitori stranieri, occorre anche dire che lo stato che gestisce le autostrade di per sé non è uno scandalo. A condizione che si decida a quale modello lo stato vuole ispirarsi. Se i precedenti a cui ispirarsi sono Ilva (dove sono state sistematicamente create le condizioni per far fuggire gli investitori) oppure Alitalia (dove sono state sistematicamente create le condizioni per respingere gli imprenditori) si può dire che a essere criticabile è non solo il metodo scelto per arrivare fin qui ma anche il modello. Se il modello scelto è invece quello che si trova all’interno di realtà come Ferrovie dello stato, Enel ed Eni, la storia è diversa ma per arrivare a questo a questo obiettivo lo stato avrebbe il dovere di fare quello che non sempre sembra avere la forza di fare: intendere la sua partecipazione nelle aziende come una leva per introdurre efficienze e non semplicemente clientela.

 

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Lo scandalo, come raccontiamo oggi in un editoriale, non è dunque il modello in sé ma è prima di tutto il metodo. Attorno alla partita economica, però, ce n’è un’altra altrettanto interessante, e stavolta tutta politica, che ha a che fare con le conseguenze innescate dalla mediazione portata a casa del presidente del Consiglio. E qui la parola “revoca” smette di essere una parola associata alla concessione per Autostrade e inizia a essere un tema legato a un altro genere di concessione: quella offerta dal Pd e dal M5s e da Italia viva a Giuseppe Conte per restare a Palazzo Chigi. Il Pd, il M5s e Italia viva hanno sofferto la mediazione raggiunta da Conte (ciascun partito aveva un’idea diversa) e per ragioni diverse tra loro i leader dei partiti di maggioranza (Zingaretti, Di Maio e Renzi) da settimane non fanno altro che ripetersi lo stesso ritornello: bisogna cambiare Conte. Il caso Autostrade c’entra fino a un certo punto. Al centro delle critiche di Pd, M5s e Italia viva vi sono questioni che hanno a che fare con i troppi dossier aperti che il governo fatica a chiudere (sono passati due anni dalla promessa di risolvere in tempi brevi il caso Aspi) e con l’eccessivo protagonismo politico del premier (passato dall’essere, ai tempi del governo gialloverde, il vice dei suoi vice a essere, oggi, semplicemente un capo di governo).

 

Ciascun leader di partito ha un’idea diversa per provare a revocare l’incarico a Conte – anche se i tre leader di partito non avrebbero nulla in contrario se a farsi avanti per la successione di Conte fosse l’attuale ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che nella notte tra martedì e mercoledì, durante il Cdm su Autostrade, ha litigato con lo stesso premier, lasciando il Cdm per un’ora, accusando il portavoce di Conte di essere l’ispiratore di un duro articolo contro il Pd pubblicato sul Fatto Quotidiano. Ma per quanto siano solide le convinzioni di Zingaretti, Renzi e Di Maio, a proteggere l’operato di Conte ci sono almeno tre elementi differenti: la presenza di un leader come Salvini all’opposizione che sconsiglia una qualsiasi increspatura degli equilibri della maggioranza; l’apprezzamento ancora solido per il premier che arriva dal presidente della Repubblica; l’impatto che potrebbe avere sulla premiership la rivoluzione destinata ad arrivare dall’Europa qualora l’accordo sul Recovery fund – che porterebbe all’Italia qualcosa come 172 miliardi – dovesse andare in porto. In politica come in economia le revoche vanno di moda fino a un attimo prima di trovare una soluzione diversa.

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