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L’ora di un whatever it takes italiano

Claudio Cerasa

L’Europa dovrà fare molto per non alimentare la sfiducia. Ma anche all’Italia spetta ora un compito forte: dimostrare che gli istinti anti europeisti che si nascondono dietro ai no Mes appartengono al passato e non al futuro del nostro paese. Costi quel che costi

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In un formidabile articolo pubblicato ieri sul nostro giornale, Lorenzo Bini Smaghi, con parole semplici, ha messo letteralmente in mutande gli azionisti di un partito molto trasversale (che parte dalla Lega e arriva fino al M5s) che negli ultimi tempi ha trasformato la battaglia contro il Fondo salva stati (Mes) nel suo principale tratto identitario. Secondo Bini Smaghi, chi vuole eliminare il Mes non vuole semplicemente opporsi all’esistenza di un fondo capace a determinate condizioni di aiutare gli stati in difficoltà dell’Eurozona ma punta a qualcosa di più: rendere non impossibile l’uscita di un paese dalla zona euro in caso di grave crisi economica. “Una via alternativa per conseguire l’uscita dell’Italia dall’euro è quella di rendere l’evento inevitabile, facendosi buttare fuori, oppure eliminando qualsiasi meccanismo di difesa, come il Mes. Senza il Mes, ossia senza la possibilità di usufruire di prestiti a bassi tassi d’interesse, condizionati a politiche di risanamento, non ci sarebbe modo di evitare l’uscita dell’Italia dall’euro”.

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In un formidabile articolo pubblicato ieri sul nostro giornale, Lorenzo Bini Smaghi, con parole semplici, ha messo letteralmente in mutande gli azionisti di un partito molto trasversale (che parte dalla Lega e arriva fino al M5s) che negli ultimi tempi ha trasformato la battaglia contro il Fondo salva stati (Mes) nel suo principale tratto identitario. Secondo Bini Smaghi, chi vuole eliminare il Mes non vuole semplicemente opporsi all’esistenza di un fondo capace a determinate condizioni di aiutare gli stati in difficoltà dell’Eurozona ma punta a qualcosa di più: rendere non impossibile l’uscita di un paese dalla zona euro in caso di grave crisi economica. “Una via alternativa per conseguire l’uscita dell’Italia dall’euro è quella di rendere l’evento inevitabile, facendosi buttare fuori, oppure eliminando qualsiasi meccanismo di difesa, come il Mes. Senza il Mes, ossia senza la possibilità di usufruire di prestiti a bassi tassi d’interesse, condizionati a politiche di risanamento, non ci sarebbe modo di evitare l’uscita dell’Italia dall’euro”.

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Vale la pena riprendere oggi il ragionamento di Bini Smaghi, alla vigilia del Consiglio europeo, per provare a capire qualcosa di più rispetto a due temi, collegati tra loro, che vivono ormai da tempo sotto la superficie della politica italiana.

 

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Il primo tema riguarda la ragione per cui l’Italia è l’unico paese in Europa in cui si discute se sia opportuno o no accettare finanziamenti dal Mes senza sostanziali condizionalità e a tassi inferiori a quelli di mercato.

 

Il secondo tema riguarda la ragione per cui l’Italia è vista oggi dagli investitori di tutto il mondo come il principale rischio sistemico dell’Eurozona (lo spread ieri è arrivato oltre quota 260).

 

Un tempo, per rispondere al secondo tema, si sarebbe detto che il problema è sempre lo stesso, ovvero quello di avere un debito pubblico molto alto, e in una fase in cui il debito sale e la crescita è sotto zero potrebbe essere comprensibile registrare poca fiducia rispetto al futuro del nostro paese. Questa volta però, in una stagione in cui il debito di tutti i grandi paesi del mondo sta schizzando alle stelle, il problema relativo all’Italia riguarda un piano del tutto diverso, che coincide con una paura che si può mettere a fuoco solo intrecciandola con il primo tema: ma esiste o no una correlazione tra l’Italia terra degli anti Mes e l’Italia terra di progressiva sfiducia? La risposta è purtroppo sì e l’assenza di chiarezza da parte del governo sul tema del Fondo salva stati non è solo una questione di natura tecnica ma è una questione di natura quasi culturale che potremmo sintetizzare così: di fronte all’ultimo colpo di coda del partito anti euro, partito che si nasconde dietro il no al Mes e che sogna di non mutualizzare il debito dell’Europa per non creare tra i paesi dell’Eurozona un vincolo irreversibile, l’Italia avrà o no la forza di uscire dall’ambiguità e fare quello che stanno facendo tutti i paesi dell’Eurozona, ovverosia dire che utilizzerà tutti i mezzi messi a disposizione dall’Europa per evitare che la gestione del proprio debito pubblico possa diventare sostenibile solo uscendo dall’euro, come d’altronde sogna il consigliere economico (Borghi) del leader del primo partito d’Italia (Salvini?). Fabio Panetta, membro esecutivo della Bce, ieri sul sito di Politico ha scritto un articolo molto allarmato in cui, guardando al Consiglio europeo di domani, ha provato a spiegare che oggi “qualsiasi percezione dell’assenza di un’azione comune in tempi di crisi disperata diluirebbe il sostegno pubblico all’Ue” e in mancanza di una percezione di solidarietà chiara “potrebbe anche essere erosa la fiducia nell’euro”.

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Panetta sa che gli investitori che oggi consultano i report sull’Italia si chiedono cosa farà il nostro paese qualora la crisi dovesse diventare ancora più dura rispetto a quella prospettata oggi – dire di sì ai fondi speciali stanziati sul Mes ribadendo un no categorico al resto del Mes significa dire ai mercati di non essere interessati a utilizzare uno strumento chiamato Omt che consente alla Bce un intervento potenzialmente illimitato di acquisti dei titoli di stato in caso di emergenza e che può però essere attivato in caso di emergenza solo dopo aver fatto ricorso al Mes. E la ragione per cui in Europa si sta formando un fronte ampio e trasversale desideroso di dotare l’Eurozona di tutti gli strumenti necessari per salvaguardare i suoi paesi membri è qualcosa che prescinde dalla singola volontà di aiutare un paese in difficoltà ed è qualcosa che riguarda invece l’essenza della sfida che si sta combattendo in queste ore nel nostro continente: offrire all’Europa i giusti anticorpi non solo per fronteggiare i disastri generati oggi dal coronavirus ma anche per fronteggiare i disastri che potrebbero essere prodotti dalla persistenza in un paese fondatore dell’Ue di un robusto partito ostile all’euro (la Lega) il cui segretario è stato eletto leader del suo partito sulla base di un programma che prevedeva la necessità, a determinate condizioni, di attivare l’articolo 50 dei Trattati, quello cioè che permette a un paese di uscire dall’Ue. L’Europa dovrà fare certamente la sua parte per non alimentare spinte anti europeiste. Ma nei prossimi giorni anche l’Italia dovrà fare altrettanto per dimostrare, costi quel che costi, whatever it takes, che gli istinti anti europeisti che si nascondono dietro ai no Mes appartengono al passato e non al futuro del nostro paese.

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