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Cosa ci dice la geopolitica delle nomine sui nuovi poteri d’Italia

Stefano Cingolani

Le conferme degli ad delle società più importanti, il peso del Pd, le vittorie del M5s, i tasselli di Renzi e gli effetti sul governo

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Roma. Chi vince e chi perde nella riffa delle nomine? Chi guiderà lo stato imprenditore (e banchiere) tornato sulla cresta dell’onda? Lasciamo stare le intemerate anti casta e le giaculatorie sulla lottizzazione e apriamo il manuale Cencelli, l’unico che abbia resistito alla prima, alla seconda e alla terza repubblica, per capire come oscilla il pendolo del potere reale. E’ stato ampiamente sottolineato sui grandi giornali che il Movimento 5 Stelle ha perso l’autoproclamata verginità per scendere a patti con la Casta, ciò ha suscitato sommovimenti al basso ventre e Alessandro Di Battista ha colorato di giallo mandarino l’insoddisfazione per aver lasciato a bocca asciutta la sua pattuglia di fedeli. Il Foglio ieri nell’editoriale del direttore ha messo in risalto un aspetto che sembra sfuggito ai moralizzatori: la conferma degli amministratori delegati dei grandi gruppi è un riconoscimento dei risultati da loro ottenuti; non sempre accade, questa volta è successo. Ma torniamo alla domanda iniziale. La risposta più evidente è che, confermando il quartetto dei principali capi azienda, ha vinto il Partito democratico nelle sue varie correnti, compresa quella gentiloniana (Alessandro Profumo al vertice di Leonardo è stato scelto dal governo guidato da Paolo Gentiloni, che nel 2017 promosse alla guida di Poste Matteo Del Fante), e ha avuto un successo chiaro seppure indiretto Matteo Renzi, che a a sei anni dalle nomine fatte ai tempi del suo governo ha visto confermare anche da questo governo i manager scelti all’epoca: Francesco Starace all’Enel e Claudio Descalzi all’Eni.

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Roma. Chi vince e chi perde nella riffa delle nomine? Chi guiderà lo stato imprenditore (e banchiere) tornato sulla cresta dell’onda? Lasciamo stare le intemerate anti casta e le giaculatorie sulla lottizzazione e apriamo il manuale Cencelli, l’unico che abbia resistito alla prima, alla seconda e alla terza repubblica, per capire come oscilla il pendolo del potere reale. E’ stato ampiamente sottolineato sui grandi giornali che il Movimento 5 Stelle ha perso l’autoproclamata verginità per scendere a patti con la Casta, ciò ha suscitato sommovimenti al basso ventre e Alessandro Di Battista ha colorato di giallo mandarino l’insoddisfazione per aver lasciato a bocca asciutta la sua pattuglia di fedeli. Il Foglio ieri nell’editoriale del direttore ha messo in risalto un aspetto che sembra sfuggito ai moralizzatori: la conferma degli amministratori delegati dei grandi gruppi è un riconoscimento dei risultati da loro ottenuti; non sempre accade, questa volta è successo. Ma torniamo alla domanda iniziale. La risposta più evidente è che, confermando il quartetto dei principali capi azienda, ha vinto il Partito democratico nelle sue varie correnti, compresa quella gentiloniana (Alessandro Profumo al vertice di Leonardo è stato scelto dal governo guidato da Paolo Gentiloni, che nel 2017 promosse alla guida di Poste Matteo Del Fante), e ha avuto un successo chiaro seppure indiretto Matteo Renzi, che a a sei anni dalle nomine fatte ai tempi del suo governo ha visto confermare anche da questo governo i manager scelti all’epoca: Francesco Starace all’Enel e Claudio Descalzi all’Eni.

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Percorrendo le liste dei consigli di amministrazione fornite ieri dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per Enel, Eni, Leonardo e Poste, più i nomi quasi certi anche se da confermare formalmente per Terna, Enav, e Monte dei Paschi di Siena, il Pd è riuscito a esprimere quindici soggetti, Renzi quattro (una condivisa con il Pd), otto il Movimento 5 stelle, due Conte più altre condivise e anche Leu ha la sua con Mariana Mazzucato, la teorica dello “stato innovatore”, all’Enel. E’ un conto parziale che andrà completato e precisato non appena saranno noti tutti i consiglieri di Terna e del Monte dei Paschi di Siena. In ogni caso, gli equilibri di fondo non cambiano. Se i numeri in politica contano, ebbene non sfugge a nessuno lo spostamento a favore del Pd che dovrebbe avere il suo corrispettivo nel peso del partito sulla politica del governo. Una prova importante sarà il confronto al consiglio europeo; Conte ha sentito il fiato pesante dei cinquestelle sul colletto inamidato delle sue bianche camicie. Staremo a vedere quanto ne verrà condizionato.

   

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All’Enel, vicino al Pd può essere considerato Alberto Marchi, Costanza Esclapon viene considerata vicina a Renzi dagli esperti del Cencelli, Mirella Pellegrini è apprezzata da Conte, della Mazzucato abbiamo detto. I pentastellati hanno ottenuto la presidenza con Michele Crisostomo avvocato pugliese specializzato in banche e assicurazioni che non è esattamente un nemico dei bankster tanto odiati dai grillini, visto che ha curato l’acquisto della Cassa di Teramo da parte della Popolare di Bari finita poi nei guai. Non assomiglia alla Marianna di Delacroix, quella che guida il popolo sulle barricate, nemmeno Lucia Calvosa, più che pentastellata una travaglista (è nel cda del Fatto). La sua presidenza all’Eni è considerata da molti il piccolo costo (accettabile) pagato dal Pd per sostenere Descalzi, apprezzato anche dal Quirinale, per il quale si sono spesi in molti. Il Pd ha designato Nathalie Tocci la politologa che dirige l’Istituto Affari Internazionali, mentre Ada De Cesaris (ex vicesindaco di Milano ai tempi di Pisapia) è vicina al mondo renziana. Fedelissimo a cinque stelle Emanuele Piccinno capo della segretaria di Davide Crippa sottosegretario al ministero dello sviluppo economico. Al M5S alcuni giornali appiccicano persino il generale Luciano Carta che lascia l’Aise (i servizi segreti esterni) per passare alla presidenza di Leonardo. In realtà la scelta va attribuita a Conte data anche la portata strategica del gruppo che lavora per la difesa, d’intesa con il Quirinale. Quanto a Gianni De Gennaro per l’ex capo della polizia sembra aprirsi un ruolo al sommo colle, accanto a Sergio Mattarella. Nel consiglio è entrata Federica Guidi, già ministro dello sviluppo nel governo Renzi, considerata vicina anche a Romano Prodi; in realtà doveva andare all’Eni, ma contro di lei si sono impuntati i pentastellati i quali in Leonardo hanno portato nel cda Paola Giannetakis (candidata alla Camera bocciata dagli elettori) e Carmine America il compagno di banco di Luigi Di Maio.

   

Il risultato maggiore il M5s lo ha ottenuto a Terna: la società che gestisce la rete ad alta tensione è andata a Stefano Donnarumma, amministratore delegato dell’Acea fortemente sostenuto da Virginia Raggi ma con consensi trasversali. La sindaca di Roma ha visto promosso un altro manager del mondo romano, questa volta all’Enav: si tratta di Paolo Simioni, già capo della disastrata Atac. Secondo la Raggi avrebbe salvato l’azienda dal fallimento, per i romani è un miracolato visto lo stato pietoso del trasporto pubblico capitolino. Incrociamo le dita per il traffico aereo. Il Pd ha risposto indicando alla presidenza della società Francesca Isgrò mentre Valentina Bosetti è stata individuata per presiedere Terna dove dovrebbe entrare anche Ernesto Carbone, l’ex parlamentare del Pd vicino a Matteo Renzi. Il valzer a cinque stelle ha penalizzato Patrizia Greco che era stata nominata da Renzi alla presidenza dell’Enel: andrà a presiedere il Monte dei Paschi nel quale il Pd può contare su Francesca Bettio e Roberto Rao (già bracco destro di Pier Ferdinando Casini), mentre il M5S si aggiudica la poltrona più rovente, quella di amministratore delegato con Guido Bastianini banchiere che viene da Capitalia ed è passato anche per la terremotata Carige (la cassa di risparmio genovese verso la quale i grillini hanno sempre avuto un occhio di riguardo). Le Poste sono un vero e proprio fortilizio. La presidente Maria Bianca Farina e l’ad Matteo Del Fante sono stati riconfermati, un riconoscimento trasversale dei risultati ottenuti. Il Cencelli dello stato imprenditore non può dimenticare che il M5S ha ottenuto un risultato importante durante il governo giallo-verde collocando al vertice Fabrizio Palermo come amministratore delegato. Le Poste sono oggi più che mai il serbatoio di risparmio al quale attinge la Cdp e ogni operazione strategica della Cassa non può prescindere da questo punto fermo. E’ presto per astrologare su che cosa faranno i nuovi cda delle imprese statali (il presidente di Enel Crisostomo era un papabile per Tim e considerando che Enel ha il 50 per cento di Open Fiber potrebbe essere utile nell’ottica di una rete internet unica). Vedremo. Intanto c’è da uscire dalla pandemia sfuggendo alla carestia.

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