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Nardella ci spiega perché bisogna preparare subito la nuova fase

David Allegranti

“Dalle mascherine all’emergenza economica, dalla scuola alla burocrazia: serve un modello organizzato”

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Roma. “L’emergenza ci sta indicando la strada del futuro: è il vero test di questa classe dirigente”, dice al Foglio il sindaco di Firenze Dario Nardella. “Dalle mascherine all’emergenza economica, dalla scuola alla burocrazia, dobbiamo cambiare il modo di fare le cose. Oggi (ieri, ndr) abbiamo iniziato la distribuzione gratuita di mascherine porta a porta. Firenze è la prima grande città a farlo. Altri sindaci mi hanno chiamato chiedendomi com’è stato possibile. La Regione Toscana, con l’aiuto della Fondazione Cassa di Risparmio, ha acquistato 10 milioni di mascherine. Sono arrivate dalla Cina tre giorni fa e ne sono state ordinate altre 20 milioni”.

 

Con questa disponibilità, dice Nardella, “è chiaro che si possono distribuire le mascherine a tutte le famiglie giustificando così un obbligo per quando si esce di casa. Questo è senz’altro un modello migliore di quello della Regione Lombardia, che le ha rese obbligatorie con un’ordinanza senza porsi il problema di reperirle sul mercato. La gente è comprensibilmente arrabbiata e allarmata perché non può andare a fare la spesa e non sa dove comprare la mascherina; l’obbligo di foulard è al limite del ridicolo. Ecco, questa è la differenza fra un modello organizzato, come quello toscano, contro un modello improvvisato”.

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Ora, si chiede Nardella, “come è possibile che l’Italia, la seconda manifattura d’Europa, non abbia ancora una linea produttiva per soddisfare il fabbisogno nazionale? Noi le abbiamo dovute comprare in Cina, con tutto quel che ne consegue in termini di difficoltà logistiche in tempi come questi. Il commissario Arcuri, che sta lavorando bene, dovrebbe requisire 20-30 fabbriche in Italia e avviare una produzione nazionalizzata di mascherine. Anche per evitare speculazioni. A Enrico Rossi e alla Camera di Commercio ho proposto di realizzare una filiera locale di produzione delle mascherine, chiedendo alle aziende di qui di riconvertire la produzione, ovviamente con un coordinamento centralizzato per evitare la speculazione”. Insomma, l’Italia è il “sesto paese mondiale per esportazione di macchine tessili. Davvero non riusciamo a soddisfare il fabbisogno di mascherine per tutta l’Italia? Il governo e Confindustria facciano un piano d’emergenza. Lo Stato favorisca le riconversioni o requisisca le fabbriche, come si fa in guerra, per produrre le mascherine. Anche perché la domanda non sarà limitata alle prossime 2-3 settimane ma continuerà nei prossimi mesi. Quando usciremo dall’emergenza dovremo convivere con il virus. Questo mondo, così globalizzato, è più esposto alle pandemie”.

 

Ragion per cui, dice il sindaco di Firenze, molte cose devono cambiare, in Italia ma anche in Europa. “Se non pensiamo a convertire il sistema industriale italiano, dimostrando di essere resilienti a questo disastro, non abbiamo capito niente da questa esperienza. Vale anche per l’industria medica. Oggi le nostre armi non sono né le caserme né gli aerei, ma ospedali e università. Per questo la vera sfida è che l’Unione Europea realizzi un suo esercito europeo e che gli stati membri dimezzino i loro budget per gli armamenti ridistribuendoli sulla ricerca scientifica. Pensare di uscire dall’emergenza uguali a prima sarebbe l’errore storico più grande della nostra generazione”.

 

Anche per questo, dice Nardella, l’Europa va cambiata. “Azzeriamo Maastricht, con tutte le regole legate ai parametri basate su austerity e fiscal compact. Tutti quei parametri vanno rivisti. Mario Draghi coglie il segno quando dice che serve una fase completamente nuova. Questa crisi economica è senza precedenti e non può essere affrontata con strumenti vecchi come il Mes. Intanto serve un grande indebitamento a lungo termine. Il meccanismo europeo di stabilità e Maastricht non sono più adeguati. Il modello economico-finanziario dell’Unione Europea è da ripensare. Oggi c’è chi parla di patrimoniale e io sono contrario ma c’è un modo solo per evitarla: l’Italia si indebiti nuovamente attraverso un’emissione straordinaria di titoli. Si facciano dei coronabond italiani: un grande prestito non forzoso finanziato dagli italiani, garantito non solo con beni dello Stato ma anche di Regioni ed enti locali. Lanciamo una grande campagna per la rinascita del paese: gli italiani finanzino gli italiani. Anche i Comuni potrebbero dare delle garanzie a condizione che lo Stato li finanzi. Solo per pagare gli stipendi e i servizi, come la gestione dei rifiuti e l’illuminazione, possiamo durare altri 3-4 mesi. Ma tutti i comuni italiani sono così. Hanno una autosufficienza che va da qualche settimana a qualche mese. La faccio breve: se la situazione non migliora, saltano in aria i comuni. Saltano in aria i servizi fondamentali, gli asili nido, l’assistenza per gli anziani, l’illuminazione pubblica, i trasporti”.

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I comuni, dice Nardella, “non possono indebitarsi per finanziare la spesa corrente e pesano sul debito pubblico per il 6 per cento. Sarebbe comprensibile che il governo nel prossimo decreto lo mettesse come primo dei problemi con un piano da 5 miliardi. Le mezze misure prolungano solo l’agonia e non bastano. Anche qui, lo Stato o consente ai comuni di indebitarsi per finanziare la spesa corrente oppure si indebita e trasferisce le risorse ai comuni. Lo scenario che si prospetta altrimenti è questo, e non fra qualche anno ma questa estate: asili e scuole materne che non riaprono, niente illuminazione pubblica la sera, strade piene di rifiuti, anziani che muoiono in casa senza assistenza. Il problema è adesso”.

 

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La questione di come ripartire interessa tutti e Firenze, dice Nardella, ha messo in piedi “una task force per un Nuovo Rinascimento, un piano di ripartenza dell’economia della città metropolitana di Firenze. La vera questione non è il quando ma il come. Dentro la task force ci sono vari enti, dalla Camera di Commercio all’università, e vari esperti a livello territoriale. Marco Carrai, Paolo Barberis, Fabrizio Landi, Alessandro Petretto e altri. Uno dei primi presupposti per ripartire bene è affrontare il problema della burocrazia. Bene l’idea di Zingaretti per un’Italia più semplice, sperando che sia la volta buona. Sono vent’anni che si fanno riforme della pubblica amministrazione e ogni volta aumentano le procedure. Ogni volta che un governo annuncia una riforma di questo tipo mi tremano le vene nei polsi. Abbiamo la rara abilità nel complicare le cose che vogliamo semplificare. Faccio un esempio. Quando il governo ha varato i 400 milioni per i buoni spesa ha azzerato le procedure burocratiche trovando un sistema rapido per erogarli e noi in quattro giorni abbiamo cominciato a distribuirli. Se avessimo dovuto applicare tutte le norme nazionali e regionali, le gare, aspettare i ricorsi, le autorizzazioni, i buoni li avremmo dati a Natale. Burocrazia zero vuol dire semplificare le procedure. C’è chi pensa che questo aumenti il rischio di illegalità e la criminalità ma è il contrario. Illegalità e criminalità stanno dove ci sono troppe norme confliggenti e troppa burocrazia. Dopo questa emergenza non potremo tornare indietro anche su questo”.

 

Un altro aspetto su cui non tornare indietro, anzi sul quale c’è molto da lavorare, è la scuola, dice Nardella: “Non è mai successo, neanche durante la guerra, che la scuola restasse chiusa così tanti mesi. In queste settimane è emerso il drammatico ritardo dell’Italia nel settore digitale. Mi ha scritto un dirigente scolastico disperato perché molti suoi allievi non riescono a seguire le lezioni. Non è detto infatti che le famiglie, anche quando hanno un pc a disposizione, e neanche questo va dato per scontato, abbiano la rete per collegarsi. Rivolgo un appello ai miei concittadini: se hanno un wifi e ci sono dei vicini con bambini che non possono collegarsi lo rendano disponibile. Poi penso che i grandi gestori di telefonia come Tim, Vodafone e Wind3 nei prossimi due mesi dovrebbero mettere a disposizione gratuitamente dei giga a tutte le famiglie che hanno ragazzi che non possono connettersi per fare lezioni a distanza. E per il futuro spero che la scuola digitale non sia soltanto un’eccezione. Servirà una rivoluzione digitale”.

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