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Il Parlamento può combattere il virus a distanza di sicurezza

La Costituzione impone la “presenza”, ma non precisa che la “presenza” debba essere nell’emiciclo dei due rami

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Vogliamo continuare a fare una cronaca e un bilancio provvisorio di questo periodo eccezionale? Gli stereotipi sul nostro paese sono confermati o smentiti? Al netto di una certa tendenza alla drammatizzazione e allo spettacolo, si può dire che l’Italia stia reggendo bene? Ma per quanto altro tempo potrebbe reggere? E che dire del populismo dinanzi alla crisi?

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Vogliamo continuare a fare una cronaca e un bilancio provvisorio di questo periodo eccezionale? Gli stereotipi sul nostro paese sono confermati o smentiti? Al netto di una certa tendenza alla drammatizzazione e allo spettacolo, si può dire che l’Italia stia reggendo bene? Ma per quanto altro tempo potrebbe reggere? E che dire del populismo dinanzi alla crisi?

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Giusto porsi queste domande, ma non in senso solo retrospettivo, anche chiedendoci quali lezioni possiamo trarre da questo periodo difficile, con l’avvertenza che si tratta di conclusioni provvisorie

 

Cominciamo, dunque.

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Con una prima osservazione che smentisce gli stereotipi dell’individualismo italiano, dell’italiano furbo, degli italiani divisi. Le circostanze stanno dividendo l’Italia: il Nord è colpito, meno il Sud; c’è chi è tenuto a rispettare una sosta forzata, chi invece deve lavorare, affrontando maggiori pericoli; un pezzo di Stato (la sanità) sottoposto a forte pressione, l’altro a casa in “smart working”. Ebbene, l’immagine dell’italiano individualista, della carenza di “capitale sociale” mi pare smentita. C’è coesione dinanzi al pericolo. Non vedo chi si sottrae al proprio compito. Una società che nasce divisa, dinanzi a questi ulteriori “cleavages”, resiste, rispondendo complessivamente bene all’esigenza di unità. Nel complesso, una società che riesce a essere comunità (ricorda la distinzione di Ferdinand Tönnies tra “Gemeinschaft” e “Gesellschaft”?), una società responsabile, dinanzi al pericolo. E questo nonostante la debolezza dei nostri governi.

 

 

Se la società ne esce bene – finora – , come ne esce la politica?

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Intanto, ci siamo evitate le interviste quotidiane di uno dei leader e le dichiarazioni ancor più frequenti di un altro. Poi, abbiamo imparato che avere governi precari ha un costo aggiuntivo in casi difficili come questo. Le crisi non aspettano governi forti per scoppiare. Ci siamo trovati impreparati, c’è stato troppo oscillare tra governo centrale e regioni (anche in Francia hanno le regioni, ma la loro risposta è stata fin dall’inizio unitaria). E la tensione continua, nonostante la competenza in materia di epidemia sia chiaramente statale. Ho proposto di smettere di chiamare i presidenti delle giunte regionali “governatori” (è una qualifica che non spetta loro, presa a prestito dagli Stati Uniti, che sono una Repubblica federale), così forse portano a più ragionevoli proporzioni i loro ego. Due articoli della legge del 1978 sul Servizio sanitario nazionale e uno della Costituzione attribuiscono chiaramente al ministro della Salute il compito di intervenire in caso di epidemie.

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Ma il governo centrale ha fatto bene a intervenire? Ha sempre avuto ragione? Non è stato anch’esso debole?

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Ha fatto le cose giuste, nei tempi sbagliati e con i mezzi sbagliati. Ha deciso di interrompere o rallentare la catena diffusiva del virus. Ma l’ha fatto in tre tappe (prima il lodigiano, poi l’area milanese, poi l’intero territorio italiano, ma attenuando i limiti). Capisco che fosse necessario decidere in relazione alla progressione dei contagi, dei decessi e delle possibilità materiali di cura. Ma consideriamo l’aspetto dei mezzi adottati, cinque decreti legge, adottati in un periodo in cui il Parlamento non riesce a essere particolarmente attivo (bisogna proteggere anche la salute dei parlamentari). Il primo decreto legge già convertito in legge. Poi sette decreti del presidente del Consiglio dei ministri (di cui due dovrebbero esser assorbiti da quelli successivi, ed altri due rinviano l’uno all’altro). Una quindicina di ordinanze del ministro della Salute, circolari ministeriali e decreti ministeriali. Il decreto legge numero 6, ora convertito in legge numero 13, non risponde ai criteri fissati dalla giurisprudenza costituzionale in più sentenze. Queste stabiliscono che i poteri amministrativi devono essere ben definiti nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio. La norma autorizza “ogni misura di contenimento”. Non fissa un termine.

 

 

Preoccupazioni eccessive. Non ha ricordato anche lei: quando la casa brucia…

E ho detto che questi decreti vanno rispettati, ma non senza esercitare la critica, perché quasi tutti i diritti garantiti dalla carta costituzionale sono stati limitati, in un momento i cui il garante di essi, il Parlamento, non può funzionare a ritmo normale. Non si poteva prendere un’altra strada utilizzando le leggi esistenti di polizia sanitaria?

 

Questo ci porta alla questione tanto discussa del Parlamento che chiude o decide in altro modo.

Prima domanda: si può chiedere ai gestori dei servizi essenziali di continuare la loro attività (sanità, polizia, esercito, media, filiera alimentare, servizi di nettezza urbana, e così via) e non chiederlo al Parlamento? Seconda domanda: è preferibile avere un Parlamento zoppo o nessun Parlamento? La Costituzione, poi, impone la “presenza”, ma non precisa che la “presenza” debba essere nell’emiciclo dei due rami del Parlamento. E ci si può allora chiedere se non sia possibile consentire collegamenti telematici con i componenti che sono nell’impossibilità di essere fisicamente presenti, previa delibera delle stesse assemblee che fissino ambito, modalità e durata di questo modo particolare di assicurare la “presenza”.

 

Dà un quadro ottimistico di una situazione difficile. E le carceri?

Le condizioni delle carceri dipendono da fattori legislativi e amministrativi. Una politica legislativa che ha privilegiato le sanzioni penali. Un’amministrazione gestita al centro da non specialisti: metterebbe un professore di ingegneria aeronautica al volante di un aereo?

 

Facciamo l’ultimo passo, quello fuori d’Italia.

La situazione ha rivelato la relativa debolezza dell’Organizzazione mondiale della sanità. Quello delle epidemie e delle pandemie è un problema mondiale, che va affrontato a livello globale, dando più poteri alla relativa organizzazione.

 

E l’Europa?

Triste vicenda. La presidente della Commissione europea prende un impegno deciso, e nei modi più consoni alle circostanze. La presidente della Banca centrale europea se ne esce con un’affermazione opposta. La prima consente all’Italia di fare maggiore ricorso al debito, la seconda dichiara che non è suo compito di sorreggere i titoli del debito pubblico. Forse mai si è visto un banchiere centrale provocare crolli di Borsa. Possibile che un banchiere centrale abbia così poco il senso del tempo, che non si renda conto che non bisogna solo dire le cose giuste, ma occorre anche dirle al momento opportuno? Tanto più che non è neppure una tecnica della banca, ma invece proprio una politica, più volte ministro. Anche qui, guardando al futuro, bisogna che questa pluralità di voci sia portata a unità, non limitando i poteri della Banca centrale, ma assicurando un certo grado di cooperazione ai vertici, per tener conto di chi rappresenta l’Unione e dell’autorità alla quale bisogna credere. Dopo tutto, il motto dell’Unione europea è “unita nella diversità”.

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