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Lo strano caso dei post di Beppe Grillo che piacciono a Pechino

Luciano Capone

La Cina in poco tempo da orrido regime è diventata un modello. Al garante-influencer una domanda: tutto gratis?

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Roma. Per anni ha definito i giornalisti “pennivendoli”, costruendo sulla retorica della stampa “prezzolata” gran parte del suo successo personale e politico, e ora emerge che chi si è messo in vendita è proprio lui. Beppe Grillo non è il blogger “indipendente”, l’unica voce libera di un sistema informativo corrotto, ma un influencer politico, che si fa pagare per promuovere “contenuti” sul suo blog e sui social network: la Chiara Ferragni della politica italiana (sia detto con massimo rispetto per una influencer e imprenditrice di successo). Il pagamento di 120 mila euro annui da parte dell’armatore Vincenzo Onorato per avere dei post sul blog fa però sorgere una domanda più importante: i post smaccatamente a favore della Cina fatti negli anni da Beppe Grillo sono sempre stati fatti gratuitamente?

 

Secondo quanto riportato dalla Stampa e dal Corriere della sera, l’Ufficio di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia ha segnalato i pagamenti della Moby (la società marittima di Onorato) nei confronti di Beppe Grillo e Davide Casaleggio come sospetti, secondo le norme antiriciclaggio, “sia per gli importi, sia per la descrizione generica della prestazione ricevuta, che per la circostanza di essere disposti a beneficio di persone politicamente esposte” (a differenza, quindi, di quanto sostiene Casaleggio che si definisce “un tecnico”, un semplice cittadino che “dà una mano” al M5s, per le autorità finanziarie è una “persone politicamente esposta”).

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Il contratto con la Casaleggio Associati – l’azienda ereditata da Davide insieme all’Associazione Rousseau, che è la scatola che controlla il M5s – è stato siglato dopo la vittoria del M5s alle elezioni e prevede un piano di comunicazione e di iniziative nell’interesse di Moby: “Sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stakeholder del settore marittimo sulla tematica della limitazione dei benefici fiscali del Registro internazionale alle sole navi che imbarcano equipaggi italiani”. Obiettivo: “Sensibilizzare le istituzioni” e raggiungere “una community di riferimento di un milione di persone”. Il cambio di questo servizio di lobbying, l’armatore versa a Casaleggio Associati 600 mila euro 600 mila euro in tre anni, più 400 mila euro di premi di risultato: in totale 1 milione. Beppe Grillo invece incassa, sempre a partire dal 2018 (anno della vittoria elettorale del M5s) 240 mila euro in due anni srl per dei banner e alcuni articoli nell’interesse dell’armatore committente.

 

Già quanto è emerso è a dir poco imbarazzante e pone interrogativi importanti sulla natura di un movimento che era stato fondato sul mito della “trasparenza” e del francescanesimo: Grillo, in uno dei suoi video-deliri, aveva lanciato un fantomatico software (“Swg 4 Zip War Airganon”) che avrebbe incrociato i dati bancari di tutti i politici per individuare quelli che si sono arricchiti con la politica: “Gli faremo i sequestri come con i mafiosi e poi li mandiamo via dal paese”. Ecco, i bilanci della Casaleggio Associati, guidata dalla “persona politicamente esposta” Davide Casaleggio, ultimamente hanno registrato un boom di fatturato e di utili dopo anni di rosso. E sulla trasparenza, non è possibile sapere chi siano i clienti del garante-influencer e dell’erede-lobbista. Non c’è risposta alla classica domanda grillina: “Chi ti paga?!”.

 

E, a parte il caso Onorato, le domande si moltiplicano su questioni ancora più serie come la politica internazionale italiana. Ad esempio, e qui arriviamo al tema cinese, Casaleggio ha aperto un convegno della Casaleggio Associati con Thomas Miao, ceo di Huawei Italia, l’azienda che punta – nonostante le preoccupazioni atlantiche – sul 5G in Italia. E da un paio di anni sul blog di Grillo compaiono con la frequenza di almeno un post al mese, articolo molto favorevoli sulla Cina, praticamente sdraiati sulle posizioni di Pechino. Alcuni esempio: “Alleviare e sconfiggere la povertà in Cina: Il caso dello Yunnan”, “La Cina vuole diventare leader mondiale dell’auto elettrica”, “L’Italia nella via della seta? Si scatena l’irritazione della ‘casetta bianca’!”, “Cina: agevolazioni fiscali per incoraggiare l’innovazione”, “Il caso di Hong Kong e i tentativi di destabilizzazione”, “Cina e India stanno rendendo la terra più verde”, e via di seguito. Ciò che è ancor più sorprendente è che su alcune questioni Beppe Grillo ha completamente ribaltato le sue posizioni. Ad esempio sui diritti umani sul blog pubblicava articoli a favore del Tibet e della minoranza uigura nello Xinjiang: “Il mondo continua le sue guerre, i suoi stermini a cinque cerchi. Il Tibet e lo Xinjiang sono finiti sotto il tappeto degli sponsor”, scriveva nel 2008 ai tempi delle Olimpiadi di Pechino. E ancora: “La Cina ha intenzione di far partire la fiaccola olimpica proprio dal Tibet, dalla cima dell’’Everest. E’ come se la Germania la facesse partire da Auschwitz”. Denunciava: “Diecimila uiguri sono scomparsi in una notte”, ipotizzando “una gita nelle carceri cinesi” o “uno sterminio di massa, stile Fosse di Katyn in Polonia nella seconda guerra mondiale”. Il Tibet è scomparso dalle attenzioni di Grillo e, recentemente, il suo blog è tornato a parlare degli uiguri in un post in cui da minoranza oppressa diventano terroristi: “Il nostro silenzio sulla piaga del terrorismo in Xinjiang”.

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Il mese scorso Grillo ha incontrato l’ambasciatore cinese a Roma e nessuno sa cosa si siano detti. In ogni caso sarebbe interessante sapere se gli articoli e i contenuti redazionali del suo blog sulla Cina sono la posizione politica del Garante del primo partito italiano o il lavoro dell’influencer. Se cioè Grillo fa l’interesse della Cina gratis oppure a pagamento.

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