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Il partito di Conte, la nuova Dc a cinque stelle e altre faide grilline

Valerio Valentini

Sempre più senatori e deputati del M5s preferiscono il premier al leader Luigi Di Maio

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Roma. Nella buvette deserta, Ugo Grassi sorseggia una spremuta d’arancia. Quando il collega Andrea Cioffi lo intravede, subito gli chiede come mai non abbia partecipato alla riunione. E allora Grassi si stringe nelle spalle, ribadisce il suo ormai conclamato disagio nel restare in un partito che non riconosce più: “Se il movimento non è quello che mi era stato presentato quando mi si chiese di candidarmi all’uninominale di Avellino, devo essere io a tornarmene a casa o non piuttosto il capo politico che ha stravolto le regole?”. E il riferimento è a Luigi Di Maio, che fiutando l’aria di tempesta s’è presentato, a sorpresa, alla riunione del gruppo dei senatori, convocati al piano terra di Palazzo Madama. Una visita, quella del ministro degli Esteri, che vale un po’ a mostrare comprensione nei confronti del malumore della truppa, e un po’ a riprendere in mano le redini di una pattuglia che ormai è fuori controllo. E infatti non appena lui termina il suo intervento, rinnovando per l’ennesima volta la promessa di una nuova struttura interna del M5s, con tanto di “facilitatori” e “team del futuro”, ecco che si alza Elena Fattori, che la sua dissidenza la pratica da oltre un anno, e lo incalza con inaudita durezza: “Anche sulle restituzioni dei nostri soldi manca trasparenza”. E’ la miccia che innesca il malessere, fatto di risentimenti e frustrazioni personali, oltre che dal disorientamento generale in questo tumultuoso cambio di quadro politico.

 

E infatti mentre Mario Giarrusso, pure lui assente (“Giustificato”, dice, “perché ero in commissione Antimafia”), guida la fronda di chi vede in Giuseppe Conte “colui che vuole normalizzare il M5s”, Sergio Puglia, che pure figura tra i fedelissimi di Di Maio, loda il premier per gli stessi motivi: “E’ un grande, Conte. Solo con uno col suo profilo poteva traghettarci da un’intesa con un partito di estrema destra a un accordo con un partito di quasi sinistra come il Pd. Di Maio? No, Luigi non avrebbe potuto guidarla, questa operazione: è troppo connotato come ‘grillino’. Conte invece, pur professando i nostri valori, non sventola la nostra bandiera. Con lui possiamo diventare la nuova Dc”.

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Ed è in fondo un ragionamento non troppo diverso da quello che anche tra i corridoi di Montecitorio serpeggia. Lì, a guidare la fronda in favore del premier, è il chirurgo palermitano Giorgio Trizzino. Il quale, insieme ad altri eletti negli uninominali, come il commercialista tarantino Nunzio Angiola o il pastore oristanese Luciano Cadeddu, vuole porre all’attenzione di tutto il gruppo le sue istanze governiste, “evitando – dice – di passare per carbonari”. Ed è anche per questo che, a quanto pare, la prossima settimana verrà organizzata una cena, per confrontarsi e sfogarsi, e un po’ anche per contarsi.

 

Col pallottoliere, del resto, i deputati grillini dovranno avere a che fare nei prossimi giorni, quando saranno chiamati a rinnovare il direttivo del gruppo. I candidati a guidare la truppa erano undici, all’inizio; poi, dopo un lavorio di retrobottega, le cordate si sono ridotte a tre. “Menomale, perché altrimenti sarebbe stato ridicolo”, sospira Marco Rizzone, che concorre come tesoriere nella squadra che vede Raffaele Trano capogruppo. “Rischiavamo di essere più candidati che elettori”, sorride Sergio Battelli, che sostiene la corsa a capogruppo di Anna Macina, che dovrà vedersela anche con Francesco Silvestri. Una competizione interna che, se da un lato non esplode in proteste plateali come è avvenuto col documento dei 70 senatori, dall’altro scava solchi profondi. E così finisce che, tra gli aspiranti segretari e delegati d’Aula, si presentino in 19, con tanto di faida interna tra i siciliani. E intanto, nella battaglia per trovare il successore a Federico D’Incà, ex questore divenuto ministro, si scateni una baruffa tale da richiedere perfino l’intervento, oltreché dello stesso ministro, anche del presidente Roberto Fico, che telefona ad Alessandro Amitrano per invitarlo a ritirare la sua candidatura: “Tu, del resto, sei già segretario”. E Amitrano obbedisce. Sebbene, sulla questione dei “doppi incarichi”, sorgano altre polemiche. Perché, oltre all’ex sottosegretario dello Sviluppo Davide Crippa, rimasto deluso dalla mancata riconferma, al ruolo di questore si candidi anche Francesco D’Uva, che pure sarebbe, fino a dicembre prossimo, capogruppo.

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