Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Gialloverdi per sempre

Valerio Valentini

Così cresce la voglia di rendere sempre più organica l’alleanza grilloleghista. “Anche sui territori”, dicono nel M5s

Roma. Se è vero che il momento in cui si risolve la crisi è quello in cui l’intesa si rafforza, allora Matteo Salvini e Luigi Di Maio s’affretteranno, nelle prossime settimane, a perfezionare il piano su cui, da tempo, vanno ragionando insieme ai loro consiglieri. “Mescolare ancora meglio il giallo e il verde? Verrebbe fuori il blu, che è un bel colore”, sorride, scherzando, il deputato grillino Davide Tripiedi. Rendere organica, insomma, un’alleanza nata per necessità, cominciando a sperimentarla anche sui territori: è questa la proposta che Michele Dell’Orco, sottosegretario del M5s ai Trasporti, ha fatto ai suoi colleghi leghisti.

 

"Cominciamo dal Piemonte", ha prospettato Dell’Orco qualche giorno fa, su un divanetto del Transatlantico, ad alcuni deputati del Carroccio. “Lì, del resto, noi non andremo molto oltre il dieci per cento”, ha proseguito il vice di Toninelli, alludendo alle imminenti elezioni regionali del 26 maggio prossimo. E dunque, era il senso del discorso, tanto vale unire le forze, magari dopo il voto. Una suggestione, forse. E però, in ogni caso, una suggestione a cui stanno cedendo in molti, nel M5s, a giudicare dalle parole convinte con cui Gianluca Castaldi, senatore del M5s molto vicino al cerchio ristretto dei fedelissimi di Di Maio, analizzava giovedì scorso l’evolversi della grottesca baruffa grilloleghista sulla Tav. “Forse succederà anche in Piemonte, sì, ma di certo potrebbe succedere in Abruzzo”, diceva il grillino di Vasto, dimostrando di avere già fatto bene i conti dopo il voto locale del 10 febbraio scorso. “In Consiglio regionale la Lega ne ha eletti dieci, noi ne abbiamo portati sette. Insieme, fanno la maggioranza”, spiegava. E mentre lo faceva, dava mostra di avere buona contezza dell’evoluzione della supposta crisi in atto. “Vedrete che Conte, da grande giurista qual è, saprà estrarre un coniglio dal cilindro anche stavolta, come quando risolse la trattativa sulla manovra con la Commissione europea. Magari i bandi partiranno, dicendo che però possiamo fermarli in ogni momento”. Pronosticava sul garbuglio della Torino-Lione, insomma, con la stessa sicumera con cui auspicava “un processo di progressiva integrazione tra Lega e M5s, per cui questa intesa diventi strutturale”.

  

E a pochi passi da lui, negli stessi istanti il leghista Stefano Candiani, uno degli uomini più ascoltati da Salvini, riusciva a vedere nella polemica sulla Tav addirittura un “momento positivo” per il futuro della maggioranza. “Queste difficoltà, come pure quelle sul Tap e sull’Ilva, stanno insegnando ai grillini che quello che conta è confrontarsi con la realtà. Anche la Tav sarà un percorso di maturazione per il M5s, dove qualcuno sta capendo che è un bene liberarsi di certi estremismi”, diceva il sottosegretario all’Interno, nel mentre che i teleschermi del Salone Garibaldi, alle sue spalle, mostravano in Aula il volto livido del grillino Alberto Airola, il vorticoso gesticolare del senatore No Tav che parlava degli interessi delle “euromafie” dietro alla costruzione della ferrovia tra Torino e Lione.

 

Il suo piano di battaglia, del resto, Salvini lo ha chiaro in mente sin dalla nascita del governo: puntare sulle ambizioni governiste di Luigi Di Maio, avvicinare sempre più il capo grillino, e insieme a lui la fazione più moderata del suo partito, alle posizioni della Lega, sperando che il malessere dell’ala oltranzista del M5s, quella vicina a Roberto Fico, si traduca presto in un esodo più o meno massiccio. Favorire la scissione, insomma: è questo il piano del segretario del Carroccio, sicuro che, al momento della verità, la voglia di conservare la poltrona porti la maggioranza delle truppe parlamentari a restare insieme all’“amico Luigi”, per il quale ancora domenica, dopo averlo intimamente detestato per il suo oltranzismo sulla Tav, ha speso parole di apprezzamento: “E’ leale e sincero, mi ha anche fatto gli auguri di compleanno”. Tutta ammuina, forse: almeno così dice in Transatlantico chi, specie dalle parti di Forza Italia, spera in un ritorno del figliol prodigo alla casa del centrodestra, facendo notare come un governo nato dall’improvvisazione possa cadere in ogni momento in maniera imprevedibile. E non è affatto improbabile, certo, che dopo le europee Salvini decida di passare all’incasso, traducendo in voti concreti il consenso virtuale che gli riconoscono i sondaggi. E però l’entusiasmo con cui, tra gli uomini di governo della Lega, si è accolto il risolversi della polemica sulla Tav, quelle esultanze via WhatsApp tra ministri e sottosegretari per “i quattro anni al governo che ancora ci aspettano”, fanno pensare che davvero l’ipotesi di ricongiungersi a Forza Italia venga considerata ai piani alti di Via Bellerio come un male a cui rassegnarsi solo in mancanza totale di alternative, e che forse anche per questo nell’unico momento in cui il governo ha vacillato davvero, a inizio gennaio, nessuno sia riuscito a convincere Salvini dell’opportunità di tornare alle urne. “Certo, anche i grillini devono fare un bel passo avanti”, commentano con prudenza nel Carroccio, “devono smetterla di andare in fibrillazione alla minima difficoltà”. Ma quando si parla di alleanze sul territorio, anche nella Lega confermano che “sì, gli abboccamenti ci sono stati”. E forse è anche per questo che in Piemonte Riccardo Molinari, segretario sabaudo e capogruppo alla Camera delle camicie verdi, aspetterà fino all’ultimo – o quantomeno fino all’indomani del voto in Basilicata – per ufficializzare il nome del candidato del centrodestra che sfiderà Sergio Chiamparino: spetterebbe a Forza Italia, quel candidato, ma nella Lega non è stata ancora del tutto deposta la tentazione dello strappo: andare soli, e poi magari aprire ai Cinque stelle. Seguendo, insomma, il consiglio di Dell’Orco, e non solo di Dell’Orco. “In Piemonte forse, in Emilia quasi sicuramente”, commentava ieri un manipolo di leghisti nel cortile di Montecitorio. E in Emilia si vota a novembre.

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