Matteo Salvini e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Elogio del Partito degli ops

Claudio Cerasa

Imprenditori, giornalisti. La meraviglia degli amici del populismo stupiti dagli effetti del populismo

C’è un partito invisibile, piccolo, minoritario, ma delizioso, che da qualche mese ha cominciato a prendere forma attorno alla mostruosa alleanza di governo. E’ un partito trasversale, formato da volti con passione politica, anche se distanti dalla politica, uniti da un filo conduttore che coincide con un tema destinato a diventare sempre più centrale all’interno del dibattito pubblico del nostro paese: scusateci tanto, su questi simpatici mattacchioni arrivati al governo ci siamo sbagliati, erano veramente dei mattacchioni e noi ci siamo fatti infinocchiare.

 

La tessera numero uno del Partito degli ops, dello scusate ci siamo sbagliati, è il direttore dell’Huffington Post Lucia Annunziata, che qualche settimana fa, con simpatia, si è definita “una deficiente” per aver sottovalutato i rischi veicolati dal populismo. Con la stessa sincerità, pochi giorni dopo, l’ex direttore del Fatto quotidiano, Antonio Padellaro, sulle stesse colonne del giornale ufficiale della Casalino Associati, ha espresso un desiderio al limite della disperazione: “Vorrei per Virginia Raggi un’ultima chance perché l’ho votata e non vorrei sentirmi un coglione”.

 

La stessa disperazione l’aveva mostrata qualche settimana prima di Padellaro Paolo Flores d’Arcais, altro fan pentito dei grillini, secondo il quale “per anni ci è stata raccontata la favola che i 5 stelle rappresentavano un argine all’estrema destra mentre oggi si sono trasformati nel taxi che ha portato l’estrema destra addirittura al governo”. E qualche settimana dopo lo stesso ha fatto la star dei sociologi italiani Domenico De Masi, che dopo essere stato un gran sostenitore del M5s è arrivato a dire, pochi giorni fa, che la fase storica vissuta oggi dall’Italia è simile all’epoca “pre fascista”.

 

Il Partito degli ops è ben nutrito sul lato grillino – e quanti ops anche a Torino dove come ha ricordato giovedì scorso sul Foglio Valerio Valentini la stessa classe dirigente oggi in rivolta contro l’Appendino per le sue posizioni sulla Tav, da Confartigianato alla Cna, aveva riempito di elogi in campagna elettorale Luigi Di Maio che sulla Tav ha posizioni identiche a quelle del sindaco di Torino – ma lo è anche sul lato leghista ed è sufficiente fare un giro tra gli imprenditori del nord-est e del nord-ovest per capire la dimensione del grande Ops trasversale.

 

I primi a ribellarsi contro la Lega sono stati gli industriali del Veneto, che a luglio hanno messo in circolo una lettera sottoscritta da seicento imprenditori, firmata dal presidente di Confindustria Veneto Massimo Finco e indirizzata proprio a Matteo Salvini: “Vi abbiamo votato, ma così ci rovinate. Per due immigrati in meno vi siete venduti ai 5 stelle. Ci sentiamo traditi”. Gli ultimi a farlo sono stati gli imprenditori di Assolombarda guidati da Carlo Bonomi che dopo aver coccolato a lungo in campagna elettorale sia la Lega sia il Movimento 5 stelle hanno accusato a metà ottobre il governo di “cercare il dividendo elettorale e non la crescita”.

 

Il Partito degli ops merita di essere elogiato per la tardiva presa di coscienza dei suoi iscritti ma è un partito che ci offre anche uno spunto di riflessione utile a ricordare un concetto che dovrebbe essere basilare: il vero problema del Movimento 5 stelle e della Lega non è essere entrati in contraddizione con i propri nobili ideali ma è il contrario, ovvero aver fatto di tutto per mantenere le proprie pazze promesse. Vale quando si parla di attacco alla democrazia (l’abolizione della democrazia rappresentativa è parte del programma grillino). Vale quando si parla di valorizzazione delle incompetenze (Raggi non è una mela marcia ma è l’essenza del grillismo). Vale quando si parla di politiche contro le imprese (l’abolizione del Jobs Act era nel programma della Lega). Vale quando si parla di assistenzialismo via reddito di cittadinanza (che sotto un altro nome, reddito di dignità, era una promessa anche della Lega). Vale quando si parla di provvedimenti destinati a destabilizzare il paese (Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha detto a Repubblica che “è chiaro che l’approccio dei mercati e della Commissione sarebbe stato diverso se avessimo diminuito le tasse invece di aumentare le spese”, ma è stata proprio la Lega, Ops!, ad aver scelto di usare i miliardi che le spettavano in manovra per abbassare non le tasse ma l’età pensionabile). Il partito degli Ops va elogiato per aver riconosciuto i propri errori. Ma gli Ops continueranno a essere molti se non si avrà il coraggio di ammettere che il problema dei populisti non è la loro incompatibilità con i colleghi di governo ma è semplicemente la loro incompatibilità con la realtà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.