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Pietre e articolo 9, l'emergenza cultura è un fossile anti-Renzi

Maurizio Crippa
Beni culturali e Costituzione, l’ideologia double-face di una unica Conservazione. Il professor Tomaso Montanari si oppone allo smantellamento dell’art. 9 e promuove la manifestazione romana “E’ emergenza cultura”.
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“Se sei bello, ti tirano le pietre”
(Gian Pieretti, “Pietre”, 1967)

 

Tomaso Montanari è nato nel 1971 ed è molto più giovane della Costituzione più bella del mondo, quella di cui non si può cambiare una virgola così come dell’Italia non si può spostare una pietra. Perché il paesaggio-bene culturale (variante: bene comune) è l’altra faccia di Giano Costituente, o l’altro lato del tombino. E’ lo specchio immoto della Costituzione. Montanari è ordinario di Storia dell’arte moderna alla Federico II di Napoli, è un attivista politico-culturale (neo presidente di Libertà e Giustizia), ha un blog sul sito di Repubblica che si chiama Articolo 9 (della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”). E’ il promotore, tramite regolamentare Appello, della manifestazione di oggi a Roma, “E’ emergenza cultura”, indetta per opporsi al paventato smantellamento dell’art. 9 (appunto) e di conseguenza, essendo la faccenda double-face, del patrimonio artistico e territoriale che sotto quel mantello giace, combaciante e prospero. Colpevoli? Matteo Renzi e di Dario Franceschini (“sta facendo più danni di Bondi”) tramite lo Sblocca Italia, la riforma Madia e quella dei Beni culturali, segnatamente la decisione di scindere la tutela del patrimonio dalla sua valorizzazione (i sovrintendenti dei Beni culturali diventerebbero dei “sottoprefetti”, si denuncia).

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Nel 2013 Montanari scrisse per Minimum Fax uno scintillante pamphlet, Le pietre e il popolo, in cui denunciava non soltanto il degrado, ma soprattutto lo svilimento commerciale della cultura: il valore civico dei monumenti negato a favore del loro potenziale turistico ed economico; la “valorizzazione” del patrimonio culturale che trasforma le città d’arte in lunapark gestiti da avidi “usufruttuari”, scriveva. “Avidi”. E tanto basti. Va bene, lui parlava del saccheggio immondo della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Ma perché darne la colpa – questo faceva, Montanari – al renzismo? Come fosse peggio dello zdanovismo, o del vandalismo?

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Il professor Tomaso Montanari


 

Il motivo della forzatura ideologico-culturale c’è. L’età di Montanari non c’entra, eppure è un elemento illuminante: perché indica il perdurare e il tramandarsi tra generazioni di “professionisti della cultura” degli stessi pregiudizi, inamovibili come pietre ai Fori. La manifestazione di Roma, oltre all’appoggio di Sinistra italiana, civatiani, grillini e sindacati, si fa lustro delle adesioni di Salvatore Settis (anche lui L&G),  ma soprattutto archeologo e Sommo Conservatore (nel senso della conservazione). Autore di Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente scritto assieme a Paolo Maddalena, e Se Venezia muore. Poi c’è appunto Maddalena, ex Corte costituzionale, e Massimo Bray, ex ministro della Cultura e dalemissimo. La compagnia di giro che quanto è conservatrice in materia di architettura istituzionale, tanto lo è in scienza del paesaggio e storia dell’arte. Certo, Renzi è uno che ha scritto “soprintendente è la parola più noiosa del vocabolario”, come accusa Montanari. Eppure Fabio Donato, un economista dell’Università di Ferrara esperto in management della cultura, tempo fa ha coniato una formula perfetta: “dead museum walking”, per indicare quelle istituzioni culturali che magari non crollano, ma non hanno nessuna energia progettuale. Basta preservare, con una logica perversa: l’importante è che le pietre stiano al loro posto. Immote, pazienza se inutili.

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