La giornalista israeliana Amira Hass (Ansa) 

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Tra Israele e Hamas. La parola ai critici dei propri discutibili rappresentanti

Adriano Sofri

Amira Hass, giornalista israeliana solidale con la causa palestinese, racconta i bombardamenti di Israele sulle famiglie di Gaza. L'errore di trattare Hamas come il rappresentante delle vittime che contribuisce a causare

E’ difficile trovare argomenti interessanti in chi è convinto che nel conflitto israelo-palestinese la ragione stia intera da una parte, e per quella militi con un partito preso senza riserve – “senza se e senza ma”, che continua a essere il più stupido degli esorcismi. Gli argomenti più interessanti vengono da chi, stando dalla parte che crede giusta, è disposto a vedere e denunciare le responsabilità dei suoi pretesi rappresentanti. Amira Hass, che scrive per Haaretz da Ramallah, è solidale con la causa palestinese: la leggiamo regolarmente su Internazionale, che ieri ha tradotto un suo articolo di scrupolosa documentazione sui modi in cui le autorità israeliane decidono degli obiettivi dei bombardamenti (“A Gaza Israele cancella intere famiglie palestinesi”).

 

Il suo articolo del giorno prima si intitolava “Hamas è entrata nei tornei maggiori”. Le cedo la parola: “L’esercito che Hamas ha costruito, la sua tenuta nonostante il blocco e gli omicidi, la capacità di sorpresa militare e l’abilità di gettare milioni di israeliani nella paura, l’hanno promosso alle leghe maggiori, che la politica regionale e globale deve prendere in considerazione. E proprio per questo è impossibile trattare Hamas come il rappresentante delle vittime, ed è impossibile esentarlo da domande come: la sua risposta militare all’escalation israeliana del mese di Ramadan a Gerusalemme, non ha forse troncato sul nascere un movimento politico popolare contro lo sfratto dei palestinesi a Sheikh Jarrah? E ha tenuto conto del terribile prezzo che stanno pagando i civili della Striscia di Gaza? […]

 

Il regime di Hamas, così efficace nella costruzione di un esercito, non ha investito nella costruzione di rifugi per i civili. La fornitura di una rete di sicurezza e delle provviste più elementari di cui ora hanno bisogno i residenti dipendono solo dagli aiuti delle organizzazioni internazionali, guidate dall’Unrwa / L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente /. Hamas sa bene che la parte maggiore del fardello della ricostruzione (lenta e snervante) sarà a carico dei paesi stranieri e dell’odiato governo di Ramallah.

 

E’ difficile credere che i capi di Hamas e della sua ala militare non abbiano messo in conto la probabilità che Israele rispondesse alla loro audacia con colpi molto più letali, che sarebbero costati la vita a molti civili, e non solo ai membri delle organizzazioni militari palestinesi. Si può dare per scontato che Hamas sapesse che Israele avrebbe risposto al vago ultimatum di Mohammed Deif / uno dei capi del braccio armato di Hamas / con la massiccia distruzione di infrastrutture civili e non solo militari.

 

Non c’è dubbio che Hamas è entrato, pienamente consapevole, in una nuova campagna in cui la sua capacità di difendere i suoi cittadini era nulla. Esso usa deliberatamente le sue capacità militari e lo choc internazionale provocato dalla vista della distruzione, per promuovere il suo ruolo di rappresentante politico dell’intero popolo palestinese. E Israele continua a spianargli la strada: sia nel tagliar fuori la Striscia di Gaza dal resto del paese, sia nella sua letale e sfrenata politica militare”.

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