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Quel che resta della morale

Le lacrime di Sanna Marin. Non conta quello che fai ma quello che si vede sugli smartphone

Ginevra Leganza

Il caso finlandese svela la cifra del nostro tempo, nauseato da decenni di moralismo. Logorato. Ormai incapace di vera riflessione, di dibattito e dialettica. Perché al social-tritacarne, oggi, fa da controcanto l’intellettuale che ha paura di sembrare anziano

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L’homo Zuckerberg ha superato l’homo Gutenberg. Ed è cambiato il mondo. Perché nella metafisica compiuta in uno smartphone non c’è posto per la morale. Per la filosofia dei gesti e delle virtù. Lo ricorda quest’estate Sanna Marin, a Helsinki. La premier finlandese che ospita nella sua residenza due influencer in topless. E poi balla e attorciglia due o tre maschi nelle sue spire, nessuno dei quali maschi è il marito. In tutte le sue intemperanze Sanna Marin non è difesa da un codice di libertinaggio. Da qualcuno che inneggi, col Marchese De Sade, alle disavventure della virtù. Né la soccorre un asse cartesiano della “morale provvisoria”… Magari per spiegare a noialtri che la devozione totale allo sposo è un obbligo incerto (mica vale a tutte le latitudini).

 

La premier finlandese ospita nella sua residenza due influencer in topless. Balla e attorciglia due o tre maschi nelle sue spire, nessuno dei quali  è il marito

 

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Fra gli oppositori c’è chi chiede le dimissioni, certo, ma non è Malebranche: nessuno lamenta il mancato rispetto di un ordine posto dal Cielo. Assenti pure gli spinoziani per dirci che bene e male non sono concetti divini ma enti di ragione: cose umane, troppo umane. E all’appello manca ancora chi veda in lei una ballerina sull’orlo del nulla. Una che trasvaluti tutti i valori. Sia pure sotto il fragore ignorante di un tunz-tunz. Insomma, non c’è più la morale, non ci sono i filosofi. E anche i politici sono un po’ sottotono. Ma non per questo, nel nuovo mondo, mancano le critiche. E’ solo che a firmarle sono i figli dell’homo Zuckerberg, appunto. Quelli con la testa orientata dal click. 

 

Nel caso emblematico finlandese, la ministra capo socialdemocratica si difende. Esattamente come una liceale sgamata a fumare in cortile: “Mi stavo solo divertendo”, dice, “non mi sono mai drogata in vita mia, farò il test”. E poi piange: “Anch’io sono umana”. Il solito adolescentismo politico. Dal Papeete Beach al Mar Baltico.  Ma il punto di tutta la faccenda non è questo. Perché il punto, oggi, non è quel che si fa ma quel che si fa quando si è visti. E in questo nostro tempo digitale e tribale, il punto è più precisamente quello che si fa quando si è visti e sputtanati. Meglio ancora: visti, sputtanati e – se proprio si è campioni – auto-sputtanati al mondo. E poi vilipesi. (Ché se non ti vede nessuno non esisti, come l’albero che cade nel deserto). 

 

Non ci sono i filosofi. Ma non per questo, nel nuovo mondo, mancano le critiche. E’ solo che a firmarle sono i figli dell’homo Zuckerberg

 

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Ora, nel passaggio dall’analogico al digitale, è successo un fatto. Dopo millenni di straordinarie fatiche per opporci alla banalità del pollice opponibile e imparare così a leggere e scrivere, è successo che sembriamo precipitati in un abisso evolutivo. Con lo scroll neoprimitivo e il telefonino quale nuovo ciottolo di selce. Perché quel che invero succede ogni giorno – e che il caso Sanna Marin ripropone su scala globale – è il meccanismo mentale di cui siamo vittime e carnefici. Con l’homo Zuckerberg che più che un homo è un redivivo ominide. E la filosofia morale che latita. 

 

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La premier fa il giro del mondo. Bella, alta, ballerina. Gioiosa e flessuosa come una tigre bianca. Muove i fianchi davanti a uno schermo, si compiace sovrappensiero del suo corpo perfetto. Senza pensare che così facendo più che alla storia va consegnandosi all’Instagram story. Il video è ripreso dal quotidiano finlandese Iltalehti e dato in pasto ai miliardi di utenti social, tanto per cominciare, che per ogni commento postato ne producono mille e poi cento e poi ancora mille. Ma sul modello delle teste di Idra. In un contagio vorticoso d’interazioni ferocemente conformiste. In Finlandia l’accusano, com’è fisiologico. C’è un po’ di movimento fra sostenitori e detrattori (“Il paese soffre prezzi record dell’elettricità, ed è così che il primo ministro trascorre il suo tempo”, scrivono gli infelici ai margini della propria stessa esistenza). Mentre qui da noi il commento medio è all’incirca: “E se avesse conosciuto il Bunga bunga…”. L’annosa menata. 

 

Ma dopo i perdigiorno dell’Instagram il video è dato in pasto a più seri commentatori. A quelli con la spunta blu sul profilo. Magari artisti, intellettuali, twittologi. Ed è qui che casca l’asino. 

 

Un cultore di Pasolini scrive su Repubblica: “Una premier giovane, bella e intelligente è un insieme di qualità insopportabile per l’ideologia machista che vive nell’invidia di voler essere al posto suo”. Ed ecco che il caso finlandese svela la cifra del nostro tempo, nauseato da decenni di moralismo. Logorato. Ormai incapace di vera riflessione morale. O meglio, di discussione filosofico-morale. Di dibattito. Di dialettica. Perché al social-tritacarne, oggi, fa da controcanto l’intellettuale che ha paura di sembrare anziano. E se per lui l’anfitrione di Arcore era solo un perverso da inumare nel “viagra di marmo” – come Recalcati definì il mausoleo dello scultore Pietro Cascella – tutt’altro standard adotta oggi con Sanna Marin. Pura giovinezza che esonda, dice. Ma, appunto, i tempi son cambiati. 

 

Prima comandamento del nuovo moralizzatore: potrai picconare i vecchi pervertiti, ma mai ti scaglierai contro i giovani (pena: il girone dei boomer). L’intellettuale, quindi, non volendo sembrare vecchio savant, chiude il caso in una formula (certo non freschissima): Girls just wanna have fun. In questi giorni lo hanno scritto in tanti, non solo il professore su Repubblica. Sanna Marin, giovane donna, voleva solo divertirsi. E va bene. Ma, appurato lo spasso, non si riesce ad andare oltre. Né sui social né sui giornali. Perché se dieci anni fa il Bunga bunga suscitava comunque veemenza dialettica e pamphlettismo, sul partygate di Helsinki – si parva licet – non si sa proprio che dire. Sanna Marin, la ragazza perfetta, si stava solo divertendo. Ma appunto: se per codificare il divertentismo berlusconiano poteva spuntare un filosofo come Mario Perniola a evocare Lautréamont, Sexpol e il Sessantotto, con Sanna Marin non c’è neppure chi si chieda: ma come, non erano duri puri e luterani lassù in Finlandia? Niente oltre l’ovvio. Sanna just wanna have fun. Ma va’. 

 

Fra carta e social la differenza è in lessico e registro linguistico. Identico il contenuto. Su internet si raduna la folla. I tribali che lanciano fiori o pietre a seconda del caso. Su carta, invece, i capitribù che fiori o pietre legittimano. In uno svelamento della natura dell’homo Zuckerberg, esasperato nel linciaggio come nell’ammirazione (“Giù le mani da Sanna Marin” è un altro refrain). E per spiegare la sua essenza non basterebbe l’antropologia di René Girard, perché il nuovo mondo nasce in spirito di “capro espiatorio”. Con agnelli da osannare o scannare a seconda delle circostanze. Ci siamo liberati dalla censura pesante, vivaddio, ma in compenso è riemerso un sistema da primitivi. 

 

Su internet si raduna la folla. I tribali che lanciano fiori o pietre a seconda del caso. Su carta, invece, i capitribù che fiori o pietre legittimano

 

Non è il tempo dei ministri del buoncostume, questo. Non accade più che davanti a un sexy movimento del bacino ci si comporti come con un didietro a suo tempo osteggiato per blasfemia. “Non avrai altro jeans all’infuori di me”: era scritto sul manifesto di Jesus ritraente un sedere infilato in hot pants. Un didietro infuocato. Come un falò attorno al quale si disponeva tutta la morale italiana degli anni Settanta. Proprietaria di quel sedere era Donna Jordan; autore della foto il suo fidanzato, un giovanissimo Oliviero Toscani. Ebbene, dopo che il pretore Vincenzo Salmeri – il noto chiappofobo palermitano – sequestrò la foto della pubblicità Jesus, in Italia fioccarono satire e polemiche. Due su tutte, quelle di Vincino e Pasolini. Il primo firmava una vignetta su L’Ora: “Non avrai altro pretore all’infuori di me”.

 

Il secondo un meno laconico, densissimo articolo sul Corriere della Sera. Un trattato su Chiesa, borghesia e slogan. Pasolini sosteneva che quella di Jesus era una lingua inconsapevolmente umanistica. Una lingua storica e non tecnica in quanto riprendeva il decalogo. Mentre di solito gli slogan erano figli di un “mondo inespressivo, senza particolarismi […] perfettamente omologato”. Più o meno come il mondo espressivo ereditato dai suoi epigoni (“machismo”, “invidia”, “sistema eteropatriarcale”). E ancora, non è questa l’epoca dell’oltraggio alla pubblica decenza, come al tempo del “caso prendisole”. Prima degli hot pants dei Settanta venne il bolerino dei Cinquanta. Protagonisti Oscar Luigi Scalfaro ed Edith Mingoni in Toussan.

 

Fra denunce e improperi per le spalle scoperte della signora, il giovane parlamentare diccì accentrava il dibattito. L’episodio, avvenuto in via della Vite, nel ristorante romano “Da Chiarina”, narrava – secondo alcune versioni – di uno schiaffo incassato dalla Toussan. La vicenda si protrasse sinché il padre di lei volle sfidare a duello il bigottismo di lui. Scalfaro rifiutò, suscitando l’indignazione di Totò che gli scrisse una lettera aperta ripresa dall’Avanti!. “Il sentimento cristiano, prima di essere da Lei invocato per sottrarsi a un dovere che è patrimonio comune di tutti i gentiluomini, avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi Amici di fare apprezzamenti sulla persona di una signora rispettabilissima…”, firmato Principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis. E questa stessa storia di donne avvenenti e politici bacchettoni fu poi ricamata da Fellini nel suo episodio in Boccaccio ’70.

 

Ma torniamo a noi. Assieme agli infelicissimi crociati anti-culo e decolté, oggi, si son persi per strada i filosofi. I quali sotto sotto son tutt’uno coi satiri. In compenso ci è rimasto un gaio nichilismo che con Sanna Marin si limita a sillabare: embè? Si stava solo divertendo. Non c’è censura, che bello. Ma neppure filosofia, satira, onore cavalleresco, onirismo. Resta solo una Instagram story cui segue immediata la ritirata (“Non mi sono mai drogata, farò il test”). Resta l’illogico tifo tribale. E restano poi le donne finlandesi che postano balletti con scritto: “Solidarietà a Sanna”, che si stava solo divertendo. Per carità. Se la memoria non inganna anche un meno avvenente Matteo Salvini si sarà molto divertito. E non solo al Papeete, dove comunque ci è cascato un governo. Ricorderete tutti la foto pubblicata dalla fu concubina Elisa Isoardi, in corrispondenza dell’acme politica del guerriero. Era il 2018 e il neoministro dell’Interno veniva sbandierato nella massima intimità con un selfie. A letto. In posa presumibilmente postcoitale. La fidanzata annunciava così la rottura, con istantanea e caption da giovinetta: “Non è quello che ci siamo dati a mancarmi, ma quello che avremmo dovuto darci ancora”. (Che poi per scrivere una frase del genere sotto una foto del genere devi essere un genio: lui con occhi chiusi e lei con sorriso grato e maliziosetto. A fantasticare coi follower su quanto ancora avrebbero potuto darsi in quello stato di grazia). E se gli scandali passati, coi Pasolini e i Totò, facevano la storia del costume, questi ultimi fanno poco più che piazza. 

 

Le vecchie indecenze suscitavano trame, racconti, film. Trattati di filosofia e sociologia. Forse perché subivano sedimentazioni leggendarie: in pochi avevano contatti diretti col fatto. E quindi si poteva congetturare tantissimo. Oggi che premier e vicepremier hanno contatti diretti con tutti, postano e son postati, ci sbattono sotto gli occhi figli mogli mariti pranzi merende cene, oggi che frequentano amici e s’innamorano di donne col vizio dell’indiscrezione, è ovvio che tutto sia cambiato. Non abbiamo più misteri. E anche filosofi e artisti, in quest’esplosione di fotogrammi, sono a corto di fantasia. 

 

Soluzioni? Chissà. Giusto un consiglio non richiesto ai prossimi capri espiatori. Da che social è social, il miglior modo per non diffondere un clippino resta di evitare il clippino stesso. E vabbè. Ma se proprio non ci si riesce – scagli la pietra chi non conosce la vanità – forse sarebbe bene non frequentare amici sbadati o sputtananti amanti. E forse ancor meglio sarebbe mettersi l’anima in pace. Accadesse il peggio, critiche e contumelie arriverebbero a valanghe. E per un motivo molto semplice, di stampo quasi machiavellico. Una landa globale come il social – se non è sotto dittatura di un algoritmo – non può essere governata. Sarà sempre zeppa di neoprimitivi alla ricerca di agnelli. E forse, anziché invocare l’algoritmo, difendersi dalle accuse e metterla dunque sul piano dell’etica (…bella che morta), bisognerebbe metterla sul piano dell’estetica. Perché non verrà più Pasolini a scriverci trattati. Nessun Cartesio e Malebranche in questo nostro tempo a corto di morale e pieno di cliccanti ultrà… Nessuno scudo d’arte e filosofia. E allora, anziché scapicollarsi per un test anti coca, sarebbe forse il caso di mollare i tribali a sguazzare nel loro limo. Fra tweet e TikTok. Smettendo di fare le reginette della scuola colte in fallo e diventando regine adulte. Senza più lamentarsi. Senza dare spiegazioni. Consapevoli della volatilità del digitale dove il punto – e mettiamo pure un punto – non è quel che si fa ma quel che si fa quando si è visti. E smascherati. 


 

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