Donne che ballano da sole

Lo “scandalo” Sanna Marin. Perché una donna libera e vincente è ancora intollerabile

È evidente che la questione del ballo della premier finlandese sia e di genere e di generazione, cioè di età, e solo in ultimissima analisi politica. Il ballo di Salomè ha altri scopi e li raggiunge, ed è sempre lì che si ritorna, duemila anni dopo. Alla donna che si mette in mostra a fini seduttivi

Quanto spazio occupa Sanna Marin? Quanto spazio fisico, istituzionale, simbolico, estetico, di genere tocca a una politica trentaseienne di gradevolissimo aspetto e ottime capacità di governo prima che il mondo le si rivolti contro? E’ attorno a questo punto che ruota tutto lo scandalo per i balli a feste private o in discoteca della premier finlandese (ormai ne viene pubblicato uno al giorno, sembra che abbia solo amici esibizionisti, vanitosi e impiccioni, dovrebbe fare una piccola riflessione su questo aspetto della propria vita sociale) e, per converso, aumentano le donne che, nel nord Europa ma non solo, scendono al suo fianco, postandosi su Instagram e taggandola mentre ballano scatenate alle proprie feste, in spiaggia, in ufficio durante la pausa pranzo, in mutande e reggipetto davanti allo specchio come nella famosa battuta di Joan Cusak in “Una donna in carriera”.

 

Riprendersi mezze nude mentre si buttano fuori le tensioni o si ammira la propria linea più o meno perfetta “non farà di noi Madonna” (correva il 1988 e mrs Ciccone non era ancora la sessantenne deturpata dal chirurgo che ogni estate inscena le tarantelle in Puglia o in Sicilia), ma rappresenta un momento di liberazione, e al tempo stesso un’occupazione dello spazio, fisico e mentale e simbolico, per le quali le donne vanno lottando da secoli, ovunque, in tutta evidenza anche nella Finlandia presuntamente civilissima e avanzata che oggi, e non serve a niente che noi qui in Italia ci si compiaccia tanto di vederli così retrogradi, cioè così simili a noi, accusa la sua premier di “ancheggiare sensualmente” mentre balla. 

 

Si rischia sempre una reprimenda, un apprezzamento sgradito, uno sguardo di troppo. È una questione trasversale alle età, alla storia, alle etnie

    
Il presunto scandalo della Marin che danza, da sola, in coppia con un influencer, con un’amica, divertendosi, in un momento privato, una donna giovane e bella che saltella qui e là e fa le boccucce e le boccacce come tutte noi anche ben oltre i suoi trentasei anni, è un tema che riguarda qualunque altra, ed è per questo che ha trovato adesione in tutte. Chiunque di noi ha rischiato qualcosa perché ballava: uno sguardo di troppo, una reprimenda, un apprezzamento sgradito. E’ una questione trasversale alle età, alle epoche, alla storia, alle etnie. Perché la reazione, perlopiù maschile, al ballo femminile, è la stessa ovunque, da sempre, nel Nord Europa come in Giappone dove, in caso si incrociassero le gambe in metropolitana, ci si potrebbe beccare uno schiaffone sull’interno coscia da un maturo signore perché si è occupato uno spazio maggiore di quello che ti è consentito dalla società, come ricorda la traduttrice in inglese di Simone de Beauvoir, Lauren Elkin, in un delizioso saggio appena uscito in Italia per Einaudi, Flâneuse - Donne che camminano per la città, che è già una chiara forzatura del concetto perché la flânerie è stata ed è, notoriamente, attività di osservazione-contemplazione-ammirazione della vita per maschi borghesi benestanti e poco-facenti dai primi dell’Ottocento in poi. Leggete le memorie di George Sand, la troverete che cammina rasente i muri di Parigi con sua figlia per mano fino a quando capisce che con i pantaloni e la giacca maschili si potrà prendere delle libertà di movimento impossibili a qualunque altra donna. E dopotutto, anche adesso, quante donne avete visto ciondolare per strada senza un’occupazione o uno scopo precisi, fosse pure fare la spesa o andare a prendere i figli a scuola? 

 

Il problema dei metri quadrati a nostra disposizione ci riguarda tutte, dall’infanzia (stai composta, tieni i gomiti accostati al corpo…)

    
Ben prima del ballo, che postula l’occupazione di uno spazio importante e di un’esibizione molto visibile e celebratoria del corpo, il problema dei metri quadrati a nostra disposizione ci riguarda tutte, dall’infanzia (stai composta, tieni i gomiti accostati al corpo, incrocia le caviglie, non accavallare le gambe e soprattutto non scavallare). La Signora Dalloway, una che “flirta con la strada”, è una eccentrica, come la sua autrice, Virginia Woolf; Charlotte di “Lost in translation” cerca a Tokyo uno scopo e un contatto che non trova e finisce per rinchiudersi in hotel ad ascoltare nastri di self help. Per caso mi è ricapitato fra le mani Proprietà espropriata, atto unico di Tennessee Williams del 1946 da cui vent’anni dopo venne tratto “Questa ragazza è di tutti” con Natalie Wood: che fa la protagonista, la ragazzina perdutissima Willie, quando la incontriamo per la prima volta? Sta ballando e dondolandosi in equilibrio sulla strada ferrata che costeggia la sua casa e cerca di continuare a farlo per tutto il dialogo con il coetaneo Tom. Confini, porte che si chiudono, spazi limitati, case di bambola. Ricordate il monologo che qualche anno fa Stefano Bartezzaghi scrisse per Paola Cortellesi sulla violenza delle parole che lastricano il cammino delle donne (“un passeggiatore è un uomo che passeggia. Una passeggiatrice, una mignotta”)? Ecco.

 

Camminare è già una faccenda da gestire con attenzione. Dunque, se occupiamo metri quadrati ballando per carità. Ballare da sole non parliamone nemmeno: lo spettro di Aiché Nanà, di Salomè, di Jane Avril anche senza i ritratti di Toulouse Lautrec è sempre dietro l’angolo, pronto a balzare sul palcoscenico con tutto il suo portato di perversione, di indeterminatezza, di movimento. Perché una cosa è il ballo rituale, celebratorio, di gruppo o della sacerdotessa tramite della divinità e comune a tutte le religioni antiche e alla mitologia, le apsaras hindu sono lì per questo e va bene che ballino anche a seno nudo; un’altra è lo scatenarsi di una donna singola e sola senza scopo apparente se non quello di divertirsi. Il ballo femminile tollerato, anzi promosso, favorito e celebrato è il balletto occidentale classico, in realtà una disciplina durissima di cui questo si ammira: la rigida grazia, l’estrema difficoltà, i piedi deformati e piagati nelle scarpette come quelli del Cristo in croce. 

  
Quando, lo scorso luglio, l’Ecole des Sables senegalese ha portato in scena al Festival di Spoleto la coreografia del Sacre du Printemps di Stravinsky, che pure era ballato già in origine a piedi nudi, in una propria interpretazione, il pubblico ne è uscito entusiasta e sconvolto: mai si sarebbe aspettato di comprendere fino in fondo il significato della composizione, fermo com’era da un secolo alla sua progressiva disincarnazione. Perfino le signore bennate di oggi sanno che verranno riprese, neanche troppo bonariamente, dai mariti o dai figli se dovessero agitarsi troppo o se, Dio non voglia, decidessero di “condurre” loro l’eventuale ballo lento, o il valzer: che fai, conduci tu? La donna si fa condurre, ne va dell’onore del cavaliere, anche a rischio di farsi pestare i piedi o di essere trascinata per la pista come una scopa elettrica che poi, in effetti. Nell’estate del needle spiking, le presunte punture dello stupro, il tempo di distrarsi un attimo e zac, le ragazzine hanno ricominciato a muoversi in gruppo in discoteca, casomai qualcuna ricevesse la famigerata puntura, il pinchazo come lo chiamano in Spagna dove è scattata l’emergenza e, come la bella addormentata, cadesse addormentata e disponibile al bacio dell’amore, simbologia spiccia e ovvia di un risveglio sessuale. Nessuna osa più mettersi in mostra sulla pista, per il timore di risvegliare istinti che, l’atroce video dello stupro della signora rumena per strada diffuso scelleratamente da Giorgia Meloni lo testimonia, non hanno nemmeno bisogno di “sensuali ancheggi” per mettersi in atto: basta che la malcapitata si trovi per strada alle sette del mattino o anche, come si dice, semplicemente nel momento e nel posto sbagliati. Non è stato il solo assalto negli ultimi mesi, e temiamo che non sarà l’ultimo. Ma se camminare da sole a volto e testa scoperta in pieno giorno, conquista poco più che centenaria per le donne occidentali, purtroppo persa per quelle afghane e in genere per tutte le donne dei paesi islamici, sta tornando a essere attività ipoteticamente pericolosa, una questione di sicurezza in molte città, ballare è e resta pratica sovversiva quasi ovunque. Per trovarla accreditata a una donna perbene bisogna appunto ricondurla nell’alveo della mitologia o della religione antica. Benché negli Anni Sessanta i Jesus People, cioè i carismatici, facessero riferimento agli scritti dell’Antico Testamento per giustificare il legittimo desiderio di ballare, il fatto che il testimonial scelto fosse il re Davide che balla davanti all’Arca dell’Alleanza non giova particolarmente alla causa femminile, visto che le donne della Bibbia, a partire di Miriam sorella di Aaronne, danzano solo in gruppo, a maggior gloria delle gesta maschili e degli interventi miracolosi di Dio (l’Esodo è piuttosto chiaro: “Prese in mano il tamburello e tutte le donne uscirono dietro a lei coi tamburelli e con danze”). Le donne danzano tutte insieme, danzano in tondo con l’innocenza delle bambine, ed elevano il suono e i canti per una causa lontanissima dal proprio divertimento e tanto più dal loro benessere, del tutto ininfluente anzi pernicioso: il loro è un impulso che viene dal Signore e a lui riconduce. Il ballo di Salomè è altra cosa, ha altri scopi e li raggiunge, ed è sempre lì che si ritorna, duemila anni dopo. Alla donna che si mette in mostra a fini seduttivi e manipolatori. Pescate a caso nella storia del cinema, e ovunque ci sia una femmina prossima alla perdizione o a un moto di sfida che ne preannuncia la perdita di onorabilità c’è un momento di climax rappresentato da un ballo in solitaria, di solito corollato da un gruppo di uomini che battono le mani come foche eccitate: “Gilda”, “Pioggia”, “Mambo”, “Riso amaro”. Il momento della danza della donna di facili virtù è un cliché talmente antico, banale e scontato che quando una quindicina di anni fa Jessica Biel ne inscenò uno nella scena madre di “Easy Virtue” (facili virtù, appunto, in italiano un banale “Matrimonio all’inglese”, come peraltro era banale il film, che comunque ebbe molto successo), non ci si voleva credere: davvero la cinematografia inglese era rimasta inchiodata all’epoca della Hollywood di Gloria Swanson? 

  
Ecco, è questo che stupisce di tutte le chiacchiere attorno al caso di Sanna: che non si riesca a progredire mai, nemmeno di fronte allo scintillante curriculum della premier finlandese, nemmeno davanti al suo decisionismo contro Putin e i cittadini della Federazione russa, nemmeno di fronte all’evidenza che la generazione politica di oggi nulla spartisce con quella di ieri che, come qualcuno ha tirato fuori come al solito in Italia, repubblica che nasce e morirà democristiana, andava anche in spiaggia in giacca e cravatta “per rispetto”. Visto che da anni siamo abituati a politici scravattati (il premier spagnolo Sanchez l’ha addirittura vietata questa estate in aula per risparmiare sull’aria condizionata) e perfino ballonzolanti in t shirt sbrindellata in spiaggia, è evidente che la questione del ballo della premier Marin sia e di genere e di generazione, cioè di età, e solo in ultimissima analisi politica, esattamente come di genere erano state le critiche sul suo blazer troppo scollato sulla copertina di un magazine finlandese, le mise per i festival rock, il presunto gioco di sguardi con Emmanuel Macron dopo il vertice dell’Unione a Versailles, robaccia. La verità è che una donna, in vista o meno, che balli e si diverta, libera e vincente, è ancora e semplicemente intollerabile. 
 
 

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