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Lettere

Il soldato del Vangelo. E la morale e il diritto in questa guerra

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

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Al direttore - “L’aumento della spesa per le armi al 2 per cento è una pazzia, mi sono vergognato”. Così Papa Francesco. Ma perché il Pontefice, allora, non imita Leone I quando convinse Attila a non attaccare Roma? Vada sul Dnepr ad attendere Putin e lo persuada a ritirare le truppe dall’Ucraina.
Giuliano Cazzola

“Se la religione cristiana condannasse totalmente le guerre, nel Vangelo, ai soldati che chiedevano un consiglio di salvezza, si sarebbe dato quello di abbandonare le armi, e di fuggire la milizia. Invece fu loro detto: ‘Non fate violenze a nessuno; contentatevi della vostra paga’. Perciò non viene proibito il mestiere del soldato a coloro cui viene comandato di contentarsi della paga”. (Sant’Agostino, Epistola 138)



Al direttore - Dopo l’Associazione nazionale magistrati, anche il Consiglio superiore della magistratura e il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri “bocciano” la riforma Cartabia sulla giustizia. Sono anche contrari ai referendum del Partito Radicale e della Lega. Il loro No è l’argomento finale e decisivo: la riforma Cartabia va fatta; e i referendum bisogna cercare di vincerli.
Valter Vecellio

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Il ritornello, purtroppo, è sempre lo stesso: nessuno mi può giudicare, nemmeno tu.


 

Al direttore - E’ dubbio, quando si discute di guerra, che sia opportuno formulare giudizi moraleggianti. Anche perché alla morale di uno si contrappone quella dell’altro, salvo credere che ne esista solo una: e siccome nessuna morale vince sull’altra per forza propria, è gioco forza (si scusi il plurimo bisticcio) che sia soltanto la forza a decidere le ragioni della vittoria dell’una sull’altra. Ora l’impostazione moraleggiante dilaga, e inevitabilmente conduce a quel che ormai è palese: conduce, del tutto incongruamente, a indugiare sulle presunte responsabilità ucraine. Magari non sempre con l’intento, ma sempre con l’effetto, di fornire argomenti scriminanti all’aggressore. Dalle presenze nazionaliste e neofasciste nei ranghi militari ucraini, sino alla villa presidenziale a Forte dei Marmi, comprata chissà come da una specie di micro-oligarca che alla fin fine, come spiega certo  provincialotto giornalismo investigativo, non è diverso rispetto a quelli legati al Cremlino, è tutto un affastellare ragioni e prove per cui, d’accordo, i russi hanno aggredito, ma anche gli ucraini, insomma… C’è un fraintendimento molto profondo e radicato alla base di questa impostazione. E cioè che l’aggredito meriti di non essere bombardato – pressappoco – secondo che adempia pienamente, o no, ai doveri democratici e secondo che si uniformi, o no, alla linea di dirittura morale pretesa da chi assiste all’aggressione. Potremmo anche lasciar perdere il fatto che, se davvero fosse questo il criterio da seguire, allora tante guerre che molti considerano ingiuste sarebbero un po’ meno ingiuste, e tante guerre che molti giudicano, se non giuste, almeno inevitabili, si rivelerebbero in realtà le più ingiuste di tutte. Ma non si può lasciar perdere il fatto che dovrebbe essere semmai il diritto, non la moralità di chi lo rivendica, a decidere le ragioni di condanna di un’aggressione armata. A meno di ritenere – per esempio – che il diritto all’incolumità personale dipenda dalla condizione che chi lo invoca sia buono, o che l’inviolabilità del domicilio valga a patto che l’appartamento sia ben ordinato secondo i dettami prestabiliti da altri. Se pure, contro il vero, si sostenesse che l’Ucraina del gennaio 2022 era una specie di autocrazia oppressiva, popolata da forsennati nazionalisti e presieduta da un megalomane, ancora questo non basterebbe – ci pare – ad assolvere  la responsabilità dell’aggressore. E il dovere altrui di aiutare l’aggredito a difendersi non dovrebbe misurarsi sulle doti di chi subisce la violenza, ma sulle violazioni che commette chi la esercita. Vi sono d’altronde, a irrobustire la tesi della “giusta” difesa in armi, i pensieri e gli scritti di due grandi filosofi liberali e progressisti del nostro tempo come l’americano Michael Walzer e Norberto Bobbio. Il primo non concordava con coloro che “sostengono che la guerra sia soltanto l’extrema ratio. A ben vedere, infatti, che si dia un ‘estremo’ è un’idea metafisica: non si raggiunge mai l’‘estremo’, si può sempre trovare un’altra giustificazione all’aggressore, si può sempre richiedere un altro incontro o inviare un’altra nota diplomatica”; e ancora: “Ci sono forme di tirannia, a cui è necessario opporsi con la forza ed eventualmente anche con la guerra: non riconoscere questo, costituisce un limite politico del pacifismo”. Norberto Bobbio, sulla scia di Gandhi, ammirava le tecniche della non violenza, ma non credeva che fossero affatto efficaci, perché queste tecniche paralizzano l’avversario, ma non lo riducono all’impotenza.  Un gandhiano per eccellenza (il compianto, per chi scrive, Marco Pannella) denunciava un certo tipo di pacifismo che “… prepara nuove vittime dei tiranni. Un pacifismo che permise a Hitler e a Stalin di costruire un esercito potente e assassinare milioni di uomini…”. Parole che valgono per l’oggi e che dovrebbero tenere ben presenti coloro che si dicono democratici, liberali, socialisti, radicali, progressisti.

Bobo Craxi, Iuri Maria Prado

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