(Ansa)

Il Figlio

La parola più bella in Islanda è: ostetrica. Un libro

Gaia Manzini

Un inno alla magia della vita, in cui ogni singolo elemento è connesso con gli altri e lo è in modo da invocare uno sguardo umano più umile e meno vanaglorioso. La vita degli animali (Einaudi), il nuovo romanzo di Ava Ólafsdóttir

La nascita. L’incipit, l’irrompere di una voce che prima non c’era. Che poi la nascita è tutto fuorché un momento poetico: è sangue, urla, fatica, terrore che tutto si strappi. Ricordo ancora l’ostetrica violenta, scortese, che mi ha assistito al parto. Come mi sarei ricordata di una mano gentile – il segreto è tutto nelle mani – se ci fosse stata. Il venire al mondo è una manovra operata ad arte, un movimento fluido, una coreografia di gesti sapienti. 

 

“Nel 2013 gli islandesi hanno votato la parola più bella della loro lingua. È stato scelto un sostantivo di nove lettere: ljósmódir, ostetrica. Nella motivazione della commissione giudicante si dice che il vocabolo riunisce due fra le parole più belle: madre e luce.” Così si legge nel nuovo romanzo dell’acclamata autrice islandese Ava Ólafsdóttir, La vita degli animali (Einaudi). In questo libro c’è ghiaccio ovunque e buio sempre, perché dal buio nasce tutto (“l’essere umano cresce nel buio come una patata”). C’è Dýja, giovane ostetrica, e una zia che non c’è più, zia Fífa, che faceva l’ostetrica a sua volta; e dietro di loro una catena di quattro generazioni di donne che esercitavano la stessa professione, perché al vizio di aiutare la vita non si riesce mai a rinunciare: è una catena che non si può spezzare. Le ostetriche hanno a che fare tutti giorni con l’inizio, con l’esistenza che comincia piena di buoni auspici, piena di bellezza. È dopo che tutto si complica. All’inizio assomigliamo alle balene. I cuccioli fanno uscire prima la coda, poi hanno bisogno di aiuto per arrivare in superficie e prendere il loro primo respiro, altrimenti annegherebbero alla nascita. Un’altra balena deve allora sopraggiungere, per assistere la madre quando partorisce. Le balene si servono dunque di ostetriche, come gli esseri umani.

 

Dýja ha deciso di diventare ostetrica facendo dello straordinario evento della nascita la sua missione. Da qualche tempo occupa l’appartamento al centro di Reykjavík che Fífa le ha lasciato in eredità, tra mobili e oggetti del passato. In un armadio trova scritti, articoli, considerazioni. Trova il dispiegarsi di un’apparente contraddizione di chi aiuta gli uomini a nascere, ma ha nell’uomo una sfiducia inalienabile: nella sua arroganza, nella sua capacità di prendersi cura della vita che lo circonda. Gli animali del titolo siamo noi e le api, molto più importanti dell’uomo. Noi e le balene. Noi e gli uccelli, alcuni dei quali in via di estinzione, come molti pesci. Noi e le aquile, capaci come alcuni uomini di una vita discreta e appartata; noi e le capre, e anche le scimmie che come noi praticano il sesso per fare la pace. Un’ostetrica può a buon conto essere una cantrice della vita tutta, animale e vegetale, senza via preferenziali, tanto più che “un pomodoro ha solo qualche gene in meno dell’uomo”

 

Fuori si è alzata la tempesta, sono previste temperature polari, black-out. In casa c’è Dýja alle prese con lo scatolone lasciato dalla zia e il suo scritto più importante: La vita degli animali. Più si va avanti a leggere e più quella sembra essere la vera eredità lasciata alla nipote: uno sguardo diverso sulla vita, lo sguardo filosofico di una zia che cita Pascal. “Non scorgo che infinità da tutte le parti; esse mi racchiudono come un atomo e come un’ombra che dura solo un istante senza ritorno”. Quello che compone Ólafsdóttir attraverso le parole di Fífa è un inno alla magia della vita, in cui ogni singolo elemento è connesso con gli altri e lo è in modo da invocare uno sguardo umano più umile, meno vanaglorioso. Proprio perché un’ostetrica sa  che l’uomo è il più fragile, il più inerme degli animali. Il più sensibile, che non si riprende mai dall’essere nato. Solo chi sa relativizzare, chi mantiene vivo il suo io fanciullo troverà l’armonia con il mondo. Solo chi rimane bambino si abitua alla luce.

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