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E Renzi disse: "Qui qualcuno vuole rompere..."

Valerio Valentini

L'ex premier scrive ai suoi: "Su Mes, Autostrade e nomine la maggioranza sbanda". Il risiko delle commissioni (con Iv che soffre), le tensioni tra Conte e Di Maio, i dubbi di Franceschini

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Certo, a metterli uno in fila all'altro, fanno quasi impressione. Nodi irrisolti che s'aggrovigliano in un viluppo di litigi, incognite, baruffe. E quando Matteo Renzi, poco dopo le tre del pomeriggio, li elenca ai suoi parlamentari, si capisce che l'aria sul governo s'è fatta fosca assai. "Mes, Autostrade, Autorità di garanzia e Commissioni. Purtroppo su questi temi la maggioranza sta sbandando fin troppo. Sembra che qualcuno voglia tirare o rompere la corda". E del resto, per ciascuno degli argomenti indicati dall'ex premier, di fibrillazione ce n'è fin troppa, nei corridoi di Montecitorio. Solo che non si capisce bene chi sia a voler propiziare l'incidente. Sul Mes si voterà mercoledì, in Parlamento, quando Giuseppe Conte riferirà alle Camere per un'informativa in vista del Consiglio europeo del 17 luglio: Emma Bonino ha depositato una mozione che impegna il governo a richiedere senza indugi i prestiti del Fondo salva stati, e non c'è nessuno, né a Palazzo Chigi né al Nazareno, che si sia premurato di stabilire, e comunicare, come scampare all'imboscata. Nel Pd il nervosismo è ai massimi livelli, sul tema: "Una decisione di merito va presa", ci ha detto oggi Bruno Astorre, segretario del Pd laziale e senatore vicino a Dario Franceschini. "Anche perché qui al Senato i numeri della maggioranza sono talmente risicati che l'ambiguità e l'incertezza del governo sui temi più importanti aumenta in modo pericoloso il rischio di incidenti". Renzi ai suoi non ha ancora dato disposizioni, ma è evidente che il gruppo di Italia viva sarà fortemente tentato di appoggiare la mozione di Più Europa. 

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Certo, a metterli uno in fila all'altro, fanno quasi impressione. Nodi irrisolti che s'aggrovigliano in un viluppo di litigi, incognite, baruffe. E quando Matteo Renzi, poco dopo le tre del pomeriggio, li elenca ai suoi parlamentari, si capisce che l'aria sul governo s'è fatta fosca assai. "Mes, Autostrade, Autorità di garanzia e Commissioni. Purtroppo su questi temi la maggioranza sta sbandando fin troppo. Sembra che qualcuno voglia tirare o rompere la corda". E del resto, per ciascuno degli argomenti indicati dall'ex premier, di fibrillazione ce n'è fin troppa, nei corridoi di Montecitorio. Solo che non si capisce bene chi sia a voler propiziare l'incidente. Sul Mes si voterà mercoledì, in Parlamento, quando Giuseppe Conte riferirà alle Camere per un'informativa in vista del Consiglio europeo del 17 luglio: Emma Bonino ha depositato una mozione che impegna il governo a richiedere senza indugi i prestiti del Fondo salva stati, e non c'è nessuno, né a Palazzo Chigi né al Nazareno, che si sia premurato di stabilire, e comunicare, come scampare all'imboscata. Nel Pd il nervosismo è ai massimi livelli, sul tema: "Una decisione di merito va presa", ci ha detto oggi Bruno Astorre, segretario del Pd laziale e senatore vicino a Dario Franceschini. "Anche perché qui al Senato i numeri della maggioranza sono talmente risicati che l'ambiguità e l'incertezza del governo sui temi più importanti aumenta in modo pericoloso il rischio di incidenti". Renzi ai suoi non ha ancora dato disposizioni, ma è evidente che il gruppo di Italia viva sarà fortemente tentato di appoggiare la mozione di Più Europa. 

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Autostrade è un festival dell'irragionevolezza. Per i parlamentari del Pd e di Iv, la presa di posizione di Conte contro i Benetton, con un'intervista barricadera data a Marco Travaglio alla vigilia del Cdm che dovrebbe affrontare proprio quel tema, è una specie di contradanza in cui il premier si lancia per rispondere alla strategia del logoramento adottata da Luigi Di Maio, che coi suoi incontri fintamente segreti con Gianni Letta e le sue interviste filoamericane in cui smentisce la linea di Palazzo Chigi sul 5G, sembra sempre più propenso a voler liquidare Giuseppi. Il quale, appunto, si difende adottando toni da grillino delle origini, ricevendo non a caso il plauso di quell'Alessandro Di Battista che, sfruttando il gioco di incastri che si creerà sulle nomine per le Autorithy, punta perfino a ottenere un nuovo seggio alla Camera. Nicola Zingaretti, in questo clamore, fa quel che può. E cioè attende, tentenna, aspetta che tutti gli altri dicano la loro. Poi, nel tardo pomeriggio, pubblica una nota in cui, pur condividendo a parole la linea della fermezza di Conte contro i Benetton, nei fatti sembra sposare semmai la proposta di chi, come Renzi, punta semmai a far entrare Cdp nell'azionariato di Atlantia, così da togliere alla famiglia veneta il controllo formale di Aspi. Del resto, quando in mattinata Goffredo Bettini aveva fatto sapere che il Pd era pronto a sostenere la revoca, era stato Franceschini a lasciar trapelare, nelle chiacchiere coi ministri e i parlamentari a lui più vicini, la sua insofferenza: "Non è questa la nostra strategia". E del resto Conte, per quanto abbia fatto dell'ecumenismo cerchiobttista la sua cifra, non può essere tutto e il suo contrario: non può accontentare Dibba e soddisfare pure Franceschini.

 

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E poi, appunto, ci sono le commissioni parlamentari. A due giorni dalla chiusura della trattativa, il risiko resta un’equazione che non torna, come che la si rigiri e che la si rivolti. Perché mercoledì sono previste le votazioni decisive a Montecitorio e Palazzo Madama (col subbuglio che sempre rende tribolate le vigilie delle votazioni a scrutinio segreto), e la quadra ancora non si trova. Italia viva chiede tre presidenze alla Camera e al Senato; Pd e M5s sono disposte a lasciargliene solo due. E, quel che più conta oltre alla quantità, e il peso specifico di quelle presidenze: la Bilancio alla Camera i dem la ritengono incedibile (il candidato è Fabio Melilli, franceschiniano di AreaDem), Luigi Marattin può al massimo aspirare alla Finanze, assai meno prestigiosa. Raffaella Paita potrebbe prendere la Trasporti, o magari Gennaro Migliore la Esteri, in ogni caso meno importanti della Affari costituzionali, dove pure s’era pensato a Maria Elena Boschi. Al Senato la sinfonia è analoga, e non è un bel sentire per i renziani: la Bilancio resta al M5s, la Affari Costituzionali andrebbe al dem Dario Parrini. Alla Finanze potrebbe finire Mauro Marino, di Iv, ma deve contendersela fino alla fine con Luciano D’Alfonso del Pd. Anche Riccardo Nencini e Annamaria Parente ambiscono a Trasporti e Lavoro: e se per il primo qualche speranza c’è, per la seconda la strada pare sbarrata dalla fermezza con cui il M5s rivendica quella presidenza.

 

Un quadro che deve apparire alquanto fosco, agli occhi di Matteo Renzi. Ed è per questo, allora, che catechizza i suoi parlamentari, li mette in guardia dai disegni belligeranti di "qualcuno che vuole tirare o rompere la corda". E nel pomeriggio scrive ai deputati e senatori di Iv: "Noi siamo seri, saggi e responsabili come sempre. Chiedo a tutti di tenere i nervi saldi. A naso chiuderemo tutto mercoledì pomeriggio, last minute. Mi assumerò personalmente la responsabilità del risultato". Come a dire, insomma, che qualcuno a cui era stato promessa l’apoteosi dovrà ricredersi, e forse resterà deluso. E forse allora il timore di Renzi è anche questo: un voler mettere le mani avanti coi suoi. 

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